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E’ GIUSTO PUBBLICARE I VOTI DEGLI STUDENTI AI PROFESSORI?

NO, NON E’ GIUSTO PUBBLICARLI

Recentemente, come riportato anche da Repubblica (edizione milanese) alcune organizzazioni studentesche della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano, hanno richiesto la pubblicazione  delle valutazioni espresse dagli studenti sui loro Professori. Nel campo favorevole a questa proposta si distinguono due argomentazioni reiteratamente espresse: i docenti che vengono valutati male avranno un incentivo a migliorare; i docenti che praticano l’assenteismo saranno smascherati. Non voglio,qui, entrare nel merito della validità di queste specifiche motivazioni, riservandomi di farlo altrove. Piuttosto, mi preme esprimere alcune considerazioni di carattere etico-politico.
Credo che sia un dovere di ciascuno avere ben chiaro quali siano i limiti che un’organizzazione, come l’Università, lo Stato, o anche un’impresa, sia essa pubblica o privata, deve porsi nella ricerca di strumenti di controllo e di stimolo della produttività. Una volta fissati tali limiti è lecito cercare il modus operandi più efficace. Il provvedimento in questione è, chiaramente, fondato sull’idea seguente: un docente che privatamente prenda visione della bassa valutazione da parte dei suoi studenti non ha un incentivo sufficiente a  migliorarsi, mentre se la sua posizione relativa, sottolineo, relativa, rispetto al resto del corpo docente è resa pubblica, il suo atteggiamento cambierà. Sarebbe quindi la vergogna di essere stato esposto come meno abile a fungere da stimolo. Può darsi che, a mio avviso imprudentemente, la pubblicazione dei voti avvenga in alcune Facoltà in Italia (a me non risulta), ma ciò non dovrebbe indurre all’imitazione.
Sottolineo che, naturalmente, è il provvedimento che va rifiutato, non l’intenzione di migliorare l’efficienza dei docenti. In un approccio di Economia Politica è ben noto che il raggiungimento dell’efficienza, talora, è in conflitto con altre considerazioni, quali l’equità o la morale. Per fare un esempio estremo: la legge, rispettando la visione morale prevalente nella società, per fortuna, vieta che i donatori di organi siano pagati, eppure il mercato dei trapianti di reni potrebbe funzionare in modo più efficace se i donatori venissero compensati pecuniariamente (l’equilibrio sul mercato porterebbe a un prezzo che uguaglia domanda e offerta). Questo è un caso in cui l’efficienza, giustamente, viene sacrificata alla morale.
Nel caso della pubblicazione dei voti ai docenti vi è un serissimo, seppur meno tragico ed eclatante, problema morale di salvaguardia della dignità umana, di quella sfera di riservatezza e, oserei dire, di fragilità della persona umana. Credo che il rispetto della persona sia un punto fermo della nostra legislazione proprio perché i cittadini hanno diritto a non vedere invase certe sfere che possono fare della loro fragilità uno strumento di abuso, ricatto, pressione, sofferenza psichica.
Purtroppo duole constatare che proprio su queste leve fa perno l’idea che la pubblicazione dei voti possa migliorare l’efficienza dell’insegnamento.
A mio avviso, questo provvedimento è, in un Paese sempre più “borderline” come il nostro, uno di quei distratti passi verso la barbarie che è necessario a tutti i costi evitare.
Che si usino strumenti accurati di valutazione del rendimento individuale è una necessità oramai acclarata e imprescindibile in tutte le Istituzioni che servono interessi pubblici, necessità sulla quale concordo pienamente. Nessuno è intoccabile e non devono esistere caste privilegiate né dentro né fuori delle Università. Ma, mentre la valutazione dell’istituzione o delle sue articolazioni può, come avviene sempre più di frequente, essere resa pubblica, quella individuale deve restare “ad uso interno”. Naturalmente facendo in modo che questo “uso interno” ci sia davvero e sia efficace. Che tutti debbano essere messi alla gogna affinché gli scansafatiche siano smascherati è un procedere incivile, con un costo sociale (il costo sociale è la somma di tutti i costi privati) che supera di gran lunga i benefici. E’ auspicabile che si cerchino strade meno rozze per risolvere un problema così rilevante.
Naturalmente, immagino che chi è favorevole alla pubblicazione abbia un punto di vista etico diverso da quello qui espresso. Favorirebbe il dibattito vederne articolate le argomentazioni per poterle apprezzare.

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Paolo Garella

PERCHE’ E’ NECESSARIO PUBBLICARLI

Raccolgo l’invito del Signor Garella ad argomentare alcune ragioni a favore del provvedimento. Non essendo un esperto del settore, mi è difficile trovare dati aggiornati, perciò faccio quello che posso con numeri che dovrebbero essere a sfavore della mia tesi (divertente che quando uno cita dei numeri un altro riesca sempre a dimostrare che sono sbagliati). La retribuzione media dei lavoratori italiani è pari a circa 22000 EUR (anno 2007, da varie fonti che citano un rapporto Eurispes), mentre la retribuzione dei professori universitari italiani (di seguito PUI) al livello piú basso (anno 2004, [1]) è pari a circa 47600 EUR, per la prima fascia, e circa 36000 EUR per la seconda; spero di non sbagliare i calcoli ma: 47600/22000 = 2.16… e 36000/22000 = 1.63… [1] A fianco di questo confronto osservo che non mi risultano: un numero di incidenti sul lavoro dei PUI significativo rispetto a quello di altre categorie; PUI in cassa integrazione, in mobilità o in esubero; PUI costretti riqualificarsi completamente; PUI licenziati perché l’ateneo è in crisi finanziaria; PUI licenziati perché l’ateneo viene acquistato, svuotato del valore, infine lasciato fallire; PUI licenziati perché l’ateneo ristruttura e taglia cinquantenni e sessantenni. In piú, i PUI possono continuare l’attività fino a 70 anni godendo della massima retribuzione nell’ultimo periodo (forse non il piú produttivo). I PUI di prima fascia vivono un oggettivo potere nell’ambiente lavorativo, che consente loro un certo agio nell’affrontare le proprie "sofferenze psichiche". Accoglierò volentieri delle smentite. Nel complesso il trattamento dei PUI è non male per un’istituzione che deve "porsi dei limiti". Mettere nella stessa pentola della trasparenza delle prestazioni istituzioni pubbliche e aziende private è fuori luogo; l’Università, poi, è proprio un’altra categoria. Chiedo: qual’è il ruolo dell’Università a finanziamento pubblico? La mia opinione: quello che non può essere ricoperto dai privati, vincolati a seguire il mercato reale: creare e difendere un ambiente in cui le idee circolino liberamente e che ponga al centro di tutto la competizione libera e onesta sulla materia. Il lavoro dell’universitario a finanziamento pubblico deve essere di tipo imprenditoriale in uno speciale mercato a parte: si concede a una persona la possibilità, per un numero di anni non infinito, di sviluppare e trasmettere le proprie idee, finché è in grado di farlo con qualità comprovata. Le prestazioni sul "mercato" si manifestano in tre modi principali: qualità delle pubblicazioni, quantità di finanziamenti privati raccolti, valutazione della didattica. Questo mercato deve essere presente ovunque, tra gli atenei e all’interno dello stesso ateneo; il buon universitario deve essere disposto alla competizione aperta su tutto. La classificazione "università di ricerca" e "università di insegnamento" non può essere presente (in Italia) se il finanziamento è pubblico; lo dimostrano vicende di splendore assoluto come quella di Sviluppo Italia. Ciò deve valere anche per gli studenti: essere studente universitario significa vivere il diritto/dovere di competere onestamente sulla materia, esporre coraggiosamente le proprie idee originali, dimostrando ciò che si è capaci di fare. Una didattica di scarsa qualità è un impedimento enorme alla propria capacità di competere. Chi cerca di dimostrare le proprie capacità, implicitamente si mette in competizione con tutti; i PUI come accolgono il confronto? Heh… che differenza con quanto scrisse il Professor Rota[2], al punto che l’impostazione stessa del rapporto PUI/studenti è un falso ideologico; e non è un problema di soldi. [2] La pubblicazione delle valutazioni degli studenti è uno dei pochi strumenti, complementare alla formazione di un piano degli studi personalizzato, a disposizione per difendere la propria capacità di competere; si deve almeno sapere chi insegna male, chi è poco in aula e si fa sostituire da dottorandi e assegnisti impreparati, chi non accetta il confronto su approcci alternativi alla materia. Invece di secretare i risultati della valutazione, essa dovrebbe essere estesa in modo da essere maggiormente centrata su competenze e autonomia raggiunte al termine del corso. In piú occorrerebbe la possibilità di partecipare, anche negli anni successivi e post-laurea, a un dibattito sulla formazione dei programmi dei corsi, per poter dire la propria su quanto gli argomenti svolti si siano dimostrati validi o meno. Servono altri strumenti nello stesso spirito: se un barbiere mi taglia male i capelli: vado da un altro; se un professore insegna male: perché, una volta scelto un indirizzo di laurea, sono costretto a seguire il suo corso quando nello stesso ateneo quel corso è offerto anche da altri docenti? Chi insegna male deve restare senza studenti, non ci devono essere quote garantite. E chi decide quali corsi sono retribuiti? Il rifiuto della pubblicazione delle valutazioni rientra nell’ottica: non si deve sapere perché cosí chiudiamo la porta e aggiustiamo le cose tra di noi. Questa è la negazione della competizione aperta e onesta. Purtroppo, in conseguenza di un costume che nei fatti è principio di non responsabilità, gli studenti possono trovarsi in situazioni di vulnerabilità che diventano "uno strumento di abuso, ricatto, pressione"; situazioni che possono invadere la vita privata (!) e quindi diventare un "problema morale di salvaguardia della dignità umana, di quella sfera di riservatezza e, oserei dire, di fragilità della persona umana." Chiedo perdono per l’esposizione rozza: gli studenti pagano le tasse; i PUI mangiano (anche) con quei soldi. Allora perché uno studente deve svolgere lavoro nero? Ad esempio redazione ed editoria elettronica per pubblicazioni, didattiche e non, che alla fine vedranno il nome del PUI sulla prima pagina? E chi resta a rispondere al telefono del Dipartimento in Agosto? Mh, non c’è un tesista? La proposta di pubblicazione delle valutazioni è stata avanzata anche nella recente campagna elettorale studentesca al Politecnico di Milano; si vedrà se le intenzioni dichiarate diventeranno azioni…

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Marco Maggi

* Ex studente Politecnico di Milano

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IL PREZZO DEL PREGIUDIZIO

22 commenti

  1. Diego Minoia

    E’ giusto che i giocatori diano i voti all’arbitro (magari dopo che lo stesso li ha ammoniti?) E’ giusto che gli imputati diano i voti ai giudici (magari dopo che gli stessi li hanno condannati?) E’ giusto che gli studenti diano i voti ai professori (magari gli stessi che li hanno stimolati allo studio e, in mancanza di risultati, li hanno poi bocciati o promossi con un voto basso?). Nessuno deve sfuggire al giudizio (prima di tutto della propria coscienza) ma ognuno ha i suoi giudici "deputati": l’arbitro avrà la Federazione, il giudice avrà il CSM, il professore avrà il Rettore. E’ vero, se in Italia ognuno facesse il proprio dovere con serietà non servirebbero queste forme di democrazia demagogica. Ma questo non giustifica l’uso di sistemi da ordalia pubblica. Se non ci si fida della professionalità dei controllori, che i controlli vengano affidati ad Istituzioni terze che diano garanzie a tutti (a chi commissiona i controlli ed a chi viene sottoposto agli stessi) di svolgere il loro compito in modo professionale ed eticamente ineccepibile. Mi pare la scoperta dell’acqua calda … ma in Italia sembra che lo scaldabagno non l’abbiano ancora inventato!

  2. Giampiero M. Gallo

    Sono da anni sostenitore dell’opportunità di pubblicare le valutazioni degli studenti e addirittura di estendere le valutazioni al di là di quello che viene fatto ora (studenti frequentanti e di solito verso la fine delle lezioni, quando l’autoselezione e’ massima). Se ci guardiamo intorno, abbiamo tantissimi colleghi che non mettono cura nell’insegnamento, che riciclano da anni lo stesso sapere, che magari impongono le proprie dispense agli studenti; docenti che mandano l’assegnista o il dottorando di turno a girare diapositive, che cambiano le regole del gioco (chiedendo per esempio agli esami argomenti non coperti ‘per buttare fuori’). Tipicamente sono quelli che quando se ne parla in Consiglio di Facolta’ sono i primi a insorgere invocando la Costituzione repubblicana. Le mie valutazioni alla New York University sono online http://www.nyu.edu/cas/ceg/ (digitare Gallo). Sono contento quando va bene, cerco di migliorare quando va male. Non guardo quelle della mia Universita’ perche’ le reputo un rito stanco e mal strutturato. Proprio perche’ non le guarda nessun altro.

  3. Sagliano Salvatore Antonio

    Sono d’accordo sulle ragioni che sostengono il "sì" alla pubblicazione dei voti ai professori universari dagli studenti, e rispondo all’obiezione del commento precedente proponendo un’idea secondo la quale sarebbe opportuno che queste valutazioni vengano date nel momento in cui termina il corso di lezioni, o in ogni caso prima di una qualsiasi prova d’esame o d’esonero, onde evitare che il fenomeno del "voto vendetta". Penso che tutti gli studenti siano in grado di valutare la disponibilità che il professore offre, la chiarezza delle sue lezioni, il suo impegno allo stimolo della partecipazione, l’interesse che riesce a trasmettere per la sua materia, l’utilizzo di strumenti didattici che facilitino il compito dell’insegnamento, e quant’altro. E ogni studente non potrebbe che vedersi avvantaggiato nello studio se la qualità dell’insegnamento lo supporta, pertanto valutazioni positive potranno sicuramente essere di incentivo, mentre sarebbe anche molto corretto che valutazioni negative non diventino segnale di "professore impreparato". Tutti i professori sono sicuramente preparati, ma, se ci sono alcuni che mostrano ulteriori qualità, è giusto che vengano messi in luce.

  4. Giovanni Rossi

    Sono un docente di scuola secondaria superiore ed insegno negli ITIS da quasi 24 anni, sono favorevole ad un sistema di valutazione dei docenti, a tutti i livelli, che tenga conto anche della valutazione degli studenti; personalmente da almeno una decina di anni, mi sottopongo volontariamente, attraverso un questionario anonimo che faccio riempire ai miei allievi ad un giudizio di valutazione complessiva del mio operato, che tiene conto sia della didattica che delle relazioni personali. E’ ovvio che un sistema di valutazione oggettivo deve tener conto anche di altri strumenti di verifica, che testino il livello di preparazione, l’ attenzione alla didattica, la propensione all’ aggiornamento e le competenze maturate in ambito professionale; il problema centrale però stà nel sistema di reclutamento e le prospettive di carriera, legate alla meritocrazia e non alle parentele politiche o familiari, come le cronache spesso indicano.

  5. Paolo

    Premetto che sono un laureando di una facoltà scientifica. Il provvidemento andrebbe esteso e agevolato perchè è uno dei pochi strumenti che hanno gli studenti per migliorare il proprio sistema. Si tratta di ragazzi di venti, ventidue anni, che possono esprimere una certa maturità. Tali valutazioni vengono consegnate PRIMA dell’esito degli esami, quindi non sono un ricatto. Esprimono il parere dell’intera classe studentesca, non solo di una parte che può essere faziosa, e permettono ai nuovi studenti di scegliere quali corsi seguire e quali no. Non si tratta di "rovinare la carriera" come alcuni professori della mia università sostengono. Anche se così fosse, ben venga. Molti di questi sono ultrasettantenni, i giovani ricercatori scalpitano, se i primi non sono adatti ad insegnare, bene, largo a chi è più capace. E che si sappia, in modo da dare un peso reale alla faccenda, e non lasciarla cadere come una chiaccherata da bar fra docenti.

  6. Lucio Sepede

    Il ruolo del professore in genere e di quello universitario in particolare è molto delicato perché attraverso il suo lavoro passa la qualità della formazione delle classi dirigenti, il livello di innovazione del sistema e la qualità morale dei giovani. Pertanto è indispensabile che il loro operato sia valutato in modo sereno, preciso e completo anche attraverso la pubblicazione delle valutazioni degli studenti su aspetti quali la presenza in aula, la capacità di saper creare un clima anticonformista di discussione e di lavoro intenso, la disponibilità nei confronti degli studenti. E lasciamo perdere la fragilità umana e il diritto alla riservatezza dei professori. Chi è più fragile il professore o lo studente? Eppure nessuno si è mai posto il problema della riservatezza dei voti dati agli studenti di qualsiasi età. In conclusione il lavoro del professore è un bene pubblico perché è stategico per il futuro del paese ed è molto critico per lo sviluppo professionale e morale dei giovani e pertanto deve essere sottoposto alla pubblica critica. Chi non se la sente si scelga un altro mestiere, sapendo che nel privato è molto difficile trovarlo.

  7. Riccardo

    Scrivo in quanto studente universitario in procinto di laurearmi.Mi sento chiamato in causa nella discussione non solo in quanto universitario ma anche per il fatto che la mia università (preferisco omettere per ora il nome per privacy) fa ampissimo uso di questo strumento. Ci tengo a precisare il mio punto di vista: reputo molto efficaci ed importanti tali valutazioni, ma considero impropria la loro pubblicazione in quanto tali dati si possono facilmente mal interpretare o distorcere. Infatti, cosa abituale, noto che i voti dati da noi studenti ai professori non sono proprio oggettivi e spesso risentono in modo preponderante della difficoltà dell’esame. Quel che accade è proprio che i voti attribuiti siano mediamente più elevati per esami percepiti dagli studenti come più facili da passare e che richiedano meno mole di lavoro. Il timore è che se davvero tali questionari fossero pubblici vi sarebbe un incentivo da parte del docente ad abbassare il livello delle lezioni e non vi sarebbe controllo sulla qualità. Considerate in particolare che in ogni università il docente ha una enorme discrezionalità nella scelta del testo d’esame.

  8. Alessandro Spinelli

    Le valutazioni date agli studenti sono vincolate dalla normativa sulla privacy, e non possono essere pubblicate con nome e cognome. Sui vari siti internet dei docenti si trovano solo i voti riferiti al numero di matricola dello studente, che e’ come dire che i voti restano anonimi. Siamo sicuri che le valutazioni sui docenti debbano invece essere pubbliche, con nome e cognome? Tali valutazioni sono gia’ note ai presidi di facolta’, direttori di dipartimento e quant’altro: se crediamo nella loro efficacia e nella loro veridicita’, implementiamo dei meccanismi di feedback; dubito che la pubblicazione dei risultati sia uno di questi.

  9. paolo zanini

    La questione del giudizio degli studenti meriterebbe anche un approccio pragmatico: osservare le esperienze fatte ed analizzarle per valutare se il giudizio espresso dagli studenti è effettivamente distorto da elementi di conflitto (come sembano temere molti detrattori della pubblicità dei dati) o se la qualità di questo giudizio è invece, anche grazie all’elevato numero di studenti, sostanzialmente buona e credibile. Quest’ultima è l’idea che mi sono formato interessandomi di alcune situazioni. Fossi un professore universitario temerei molto di più la richiesta di "produttività": al di là della difficoltà di misura della qualità delle idee, queste per svilupparsi hanno spesso bisogno di ampi spazi di vuoto che contrastano con l’idea abituale di produttività. La qualità di un servizio, come di fatto è l’insegnamento (non il giudizio, che può essere altro) è un dato molto più semplice.

  10. Vincenza Capursi

    Ritengo doveroso rendere noti i risultati delle opinioni (e non voti!) sulla valutazione della didattica per la "salvaguardia della dignità umana" degli studenti , che dal 1999 (e in alcuni Atenei dal 1993) sono sottoposti ogni anno al tormentone della compilazione del questionario sulla didattica, maturando, a mio avviso, il diritto di conoscere i risultati delle loro valutazioni. Non va inoltre dimenticato il rispetto da parte della istituzione Università, in tema di valutazione, del principio sacrosanto dell’accountability, principio etico di una governance trasparente e affidabile, condiviso da tutti i Paesi europei, e non solo. Se il docente universitario è così "fragile", che dire della valutazione della ricerca fatta dal CIVR che riportava il nome e cognome dei docenti autori dei prodotti di qualità? Che dire dell’introduzione in alcuni atenei di soglie per l’individuazione dei ricercatori attivi per una distribuzione mirata dei fondi di ricerca che si assottigliano sempre più? In entrambi i casi per esclusione si individuano tutti i docenti che non hanno i requisiti richiesti. Mi auguro non siano tutti in terapia dallo psichiatra!

  11. Mattia

    Prima di tutto la valutazione viene fatta (nel mio corso di laurea) prima del primo appello in cui è possibile sostenere l’esame, quindi non è possibile "punire" il professore per una bocciatura… Secondo i professori universitari godono di privilegi praticamente assoluti, soprattutto nei cfr. degli studenti; addirittura nel nostro corso (una laurea sanitaria di primo livello) i professori medici (alcuni scandalosamente scadenti) si permettono di dire che noi (e i tecnici già laureati) siamo stupidi e ignoranti (anche con termini più coloriti…): a parte la banale considerazione che essendo stati loro i docenti è almeno in parte colpa loro, mi pare che la fragilità psicologica è un problema più per noi che per loro… Inoltre, con notevole difficoltà, è possibile consultare i risultati delle valutazioni solo aggregati per dipartimento, per cui i peggiori professori (e i migliori) sono nascosti dalla media: come possono essere spronati a migliorare? Però sarebbe utile che le valutazioni non siano obbligatorie, e davvero anonime (dobbiamo indicare età, sesso e titolo di studio, e siamo ca. 40 in corso): risponderebbero solo studenti davvero interessati a far migliorare le cose.

  12. Marco La Marca

    Premesso che io concordo con la pubblicazione dei voti (in breve: allora non si dovrebbero pubblicare nemmeno i voti degli studenti, per evitare di esporre le bocciature, per esempio!) mi permetterei di fare un passo in più. A mio modesto avviso, infatti, ben più importante di tale strumento di premio/gogna è il valore che il Consiglio di Facoltà assegna a quelle valutazioni. Cerco di spiegarmi meglio: il docente che riceve valutazioni ripetutamente positive (negative) viene premiato (punito)? E’ qui che, secondo me, si gioca la partita: se la valutazione è solo uno strumento psicologico, la sua efficacia non può che essere limitata.

  13. Carlo Minganti

    Quando lavoravo negli Stati Uniti, un Assistant Professor (il primo livello della carriera dell’insegnamento universitario) del Dipartimento dove mi trovavo è stato licenziato allo scadere dei tre anni del contratto. Due sono stati i motivi. Gli studenti del suo corso avevano espresso un giudizio negativo sul suo operato ed i suoi progetti di ricerca erano stati un po’ fallimentari. Questo gli ha chiuso le porte delle Università americane, ma gli ha lasciato la possibilità di andare ad insegnare in un College di provincia o di cercarsi un lavoro nell’industria. E’ chiaro che la valutazione degli studenti è importante, ma non può essere ovviamente il solo elemento di giudizio. Il mio esempio è quello di un professore che non è bravo ad insegnare e non è nemmeno tanto bravo nella ricerca. La decisione non fu pubblicizzata e fu presa dall’amministrazione del dipartimento. Ma questo tipo di valutazione è di qualche utilità in Italia dove non mi sembra che sia il dipartimento ad assumere e licenziare i professori?

  14. rosario nicoletti

    Avendo insegnato all’università per quasi cinquanta anni, trovo che sarebbe giusto pubblicare i giudizi degli studenti, qualora venisse soddisfatta una condizione fondamentale. Dovrebbero essere abilitati a giudicare quegli studenti che seguono con profitto ed attenzione tutte o quasi tutte le lezioni. Le università italiane sono ben lontane da una situazione del genere; a seconda dei corsi e delle facoltà, la popolazione studentesca è molto varia ed è dubbio che molti di essi siano "studenti". In alternativa, penso che i questionari dovrebbero essere calibrati su due tipi di domande: un tipo su fatti obbiettivi (del tipo: presenza e puntualità alle lezioni, rispetto dei programmi scritti etc) ed un secondo tipo di domande dovrebbe riguardare i giudizi (ad es: chiarezza dell’esposizione). Le risposte su fatti obbiettivi potrebbero tranquillamente essere rese pubbliche; su gli altri argomenti, penso sia necessaria una attenta filtrazione per valutare la attendibilità dei giudizi, che andrebbero comunque considerati dalle autorità accademiche. Scomodare concetti come la fragilità dei professori, la privacy, ed altre problematiche, mi sembra poco utile.

  15. lucrezia

    Sono una libera professionista, ho 50 anni e per tre anni ho frequentato l’università statale di milano laureandomi nel 2006.. Tutto si può dire riguardo ai professori universitari, tranne che siano una categoria fragile. Ho complitato per tre anni quei famosi questionari i cui risultati sono top secret per gli studenti, cosa che reputo vergognosa e da repubblica delle banane. I professori non vogliono essere giudicati perchè appartengono ad una casta e la casta non si mette mai in discussione. In tre anni ho visto di tutto, perfino un famoso professore che arrivava in aula non ancora completamente vestito, cosa che finiva di fare senza vergogna davanti a noi. Ho visto anche professori capaci e preparati, che sono quelli più frustrati per il numero troppo elevato di studenti che partecipano ai loro corsi e che rimangono loro perfetti sconosciuti fino alla fine del corso. Come scoprire le potenzialità, le capacità e l’intelligenza di questi ragazzi? Ben vengano le valutazioni pubbliche e se pulizia si deve fare ricordiamoci che bisogna cominciare dalla testa.

  16. Francesco De Leo

    Spetta al Nucleo di Valutazione d’Ateneo (NVA) anche il compito di rilevare le opinioni degli studenti frequentanti sulle attività didattiche (Art.1 comma 2 Legge 370/99). Scopo principale dell’indagine, le cui risultanze confluiscono in un apposito documento pubblico di valutazione della didattica, è quello di conoscere l’opinione degli studenti riguardo ai diversi aspetti delle lezioni, al fine di rendere agli Organi Accademici informazioni importanti sulle quali basare eventuali interventi correttivi e/o di miglioramento. In presenza di indagini approfondite le cattedre vengono chiaramente individuate con la loro denominazione senza dover ricorrere alle generalità dell’insegnante. In presenza di valutazioni effettuate in modo appropriato e divulgate come previsto non sorgerebbe l’esigenza da parte degli studenti di porre la questione nei termini rappresentati.

  17. Andrea

    Personalmente sono favorevole alla pubblicazione dei risultati dei questionari sulla qualità della didattica. Ma la vera questione è decidere come utilizzare i risultati ottenuti. In un sistema che vuole migliorare il docente dovrebbe essere convocato dal presidente del corso di laurea per motivare un risultato negativo e discutere su come modificare il corso. A quanto mi risulta i risultati vengono trasmessi solo ai docenti e quindi i dati raccolti servono solo a chi ha voglia di prenderne atto, mentre alcune situazioni critiche perdurano, con il comprensibile disappunto degli studenti.

  18. vincenzo spallina

    Perchè pubblicare? Perchè gli studenti non sanno che fine fanno quei questionari che vengono compilati alla fine di ogni corso, e così facendo a perderne è la responsabilizzazione degli stessi verso l’unico strumento che hanno per valutare i corsi. Pubblicare perchè si inneschi quel circolo virtuoso che garantisce concorrenza e incremento della qualità complessiva. Pubblicare e tenere conto che i questionari non sono un voto ai docenti ma la percezione che hanno gli studenti dei docenti; a questo proposito ritengo sia importante tenere conto del giudizio che si da al docente anche successivamente al corso. La valutazione è l’unico strumento che permetterebbe al sistema universitario di poter estripare alcuni baronati a fronte di una nuova classe docente capace di innalzare il livello culturale nelle università e tra gli studenti. E poi la ritengo anche io una questione di trasparenza nei confronti degli studenti stessi che possono usufruire del giudizio dei propri predecessori per scegliere con maggiore consapevolezza i corsi da seguire. Infine credo si possa pensare a legare il giudizio degli studenti sui docenti attraverso i questionari, a forme di incentivi economici.

  19. DECIO

    Se le Università potessero scegliersi i propri docenti e ricercatori con chiamata diretta (senza la farsa del concorso e con più responsabilità), sarebbe giusto. Siccome a causa del concorso pubblico non si possono scegliere docenti e ricercatori con chiamata diretta, dare i voti è inutile!

  20. Matteo Bortolini

    Sono un ricercatore di sociologia nella facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Padova. Ritengo che la mancata valutazione dei docenti universitari, su ogni livello e per ogni aspetto del loro lavoro, sia scandalosa. Certo, sarebbe meglio avere concorsi migliori, una agenzia di valutazione seria, dare ai presidi poteri di sanzione etc. etc. etc. Ma come insegnavano i nonni, coi se e coi ma la storia non si fa. Io ho trovato un modo personale per risolvere la questione: pubblico sul mio sito didattico le valutazioni dei miei studenti, così che chiunque possa vederle e confrontarle. Ciò non cambia nulla dal punto di vista pratico – i miei studenti sarebbero comunque obbligati a seguire il mio corso anche se decidessero che io sono troppo scarso per loro – ma è un modo per dare un microcontributo al miglioramento del carrozzone in cui lavoro 365 giorni all’anno.

  21. Nicola Ciccoli

    Utile e doveroso (altrettanto lo è pubblicare i voti degli studenti, stolidamente impedito in nome di una malintesa privacy). Mi dispiace solo che tutti vedano la cosa nell’ottica "punzione". Io ci vedo l’aspetto incentivante per chi viene valutato positivamente. Non mi interessa dar la caccia ai cattivi ma aumentare la motivazione a migliorarsi. In molti dipartimenti americani si fa un titolo di "miglior professore dell’anno" a giudizio degli studenti. Chi vince il premio ne va giustamente orgoglioso. Non si lavora meglio solo per paura del castigo, anche per ricerca del premio.

  22. Marcello Romagnoli

    Qui la dignità è colpita nel momento in cui il docente non si impegna al massimo per fare buona docenza. In quel momento si automortifica quindi la pubblicazione, che non è una gogna, ben venga se serve a eliminare quei docenti che non hanno voglia di impegnarsi. Direi di più, li costringerei a frequentare corsi di comunicazione appositamente preparati dalle università. Se fossi un docente che ottiene scarse votazioni mi chiederei il perchè e andrei a vadere i colleghi che ottengono giudizi più alti per capire come migliorare. Il non farlo mi mortifica e mi toglie dignità. Plaudo a Matteo Bortolini che già li pubblica. Per esperienza so che i risultati della valutazione degli studenti non ha alcun peso nella carriera dei docenti e ciò è assurdo.

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