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L’eredità previdenziale

Il tavolo delle pensioni sembra incapace di rivolgere uno sguardo al futuro. La dinamica demografica è lenta, ma i suoi effetti sul sistema previdenziale si faranno sentire drammaticamente quando i baby-boomers italiani inizieranno a lasciare il lavoro. Aspettare che anche l’Inps vada in disavanzo prima di agire è sicuramente inefficiente e miope. Ed è anche iniquo verso le generazioni future, che saranno chiamate a sostenere l’intero costo dell’invecchiamento della popolazione. Se le risorse ci sono, utilizziamole pensando ai giovani di oggi.

Al tavolo delle pensioni sembra di essere ormai all’ultima cena. Nessuno sguardo al futuro, nessun pensiero al domani. Al posto d’onore nessun convitato di pietra, ma Lorenzo il Magnifico con il suo “chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza”.

 

Un esercizio di contabilità

 

Se ci sono i fondi necessari – l’ormai mitico tesoretto – è possibile eliminare scaloni e anche scalini. L’idea, esplicitata il 5 luglio su La Repubblica da Luciano Gallino nella sua “Lettera aperta all’Inps” è di una disarmante semplicità, è molto efficace. Purtroppo, i calcoli riportati sono fuorvianti e la logica difficilmente condivisibile.

Concentrandosi sul flusso di cassa del sistema previdenziale – entrate correnti, ovvero le contribuzioni dei lavoratori, e uscite correnti, ovvero le pensioni – Gallino sostiene che nel 2007 ci saranno sufficienti risorse per pagare le pensioni dei lavoratori dipendenti. Ogni eventuale squilibrio di cassa è da imputare alle prestazioni assistenziali o ad altri sistemi diversi dall’Inps, ad esempio, dirigenti d’azienda, Fs, artigiani. Perché dunque chiedere proprio ai lavoratori dipendenti – per altro tradizionale elettorato del centrosinistra – di pagare il conto attraverso un allungamento della vita lavorativa? L’esercizio di contabilità presentato da Gallino si basa su una divisione ex-post e alquanto arbitraria tra assistenza e previdenza. (Si veda, su questo punto, la risposta di Boeri e Brugiavini a Eugenio Scalari). 

 

E una logica sbagliata

 

Ma se anche la contabilità fosse giusta, la logica di fondo non lo sarebbe. Questa tesi si basa su una visione statica, se non miope, del sistema previdenziale: se ci sono abbastanza risorse per far fronte agli impegni di oggi, non serve cambiare. Ma cosa faremo tra qualche anno, quando il rapporto tra lavoratori contribuenti e pensionati si ridurrà drasticamente e non ci saranno le risorse sufficienti per pagare le pensioni – almeno non generose come adesso? Saremo disposti ad accettare una sostanziale riduzione degli assegni? Non sembra, visto che l’aggiornamento del coefficiente di rivalutazione previsto dalla riforma Dini è fortemente osteggiato. Preferiremo forse aumentare l’aliquota contributiva, già oggi la più alta d’Europa, o ricorrere in misura ancora maggiore alla fiscalità generale? Gallino non sembra preoccupato da questa seconda alternativa. Gli esperti internazionali – Fondo monetario internazionale, Ocse – ma anche i mercati finanziari, un po’ di più.

La dinamica demografica è lenta, ma i suoi effetti sul sistema previdenziale si faranno sentire drammaticamente quando i baby-boomers italiani inizieranno ad andare in pensione. Aspettare che (anche) l’Inps vada in disavanzo prima di agire è sicuramente inefficiente e miope: quale padre di famiglia non risparmierebbe parte del suo reddito corrente se sapesse che un magro futuro lo attende? Ma aspettare è anche iniquo. Verso le generazioni giovani e future, che saranno chiamate a sostenere l’intero costo dell’invecchiamento della popolazione. Se non oggi, infatti, un forte aumento dell’età di pensionamento si registrerà tra venti o trenta anni, quando i giovani lavoratori di oggi che si avvicineranno all’età di pensionamento con carriere contributive spesso brevi e discontinue, e dunque con pensioni basse, non potranno certo permettersi di pre-pensionarsi a 55 o 60 anni, come era accaduto ai loro padri (e madri).

Aumentare l’età di pensionamento, tramite incentivi ma soprattutto disincentivi, già da oggi e magari – se, come sostiene Gallino, l’Inps è in attivo e dunque le risorse ci sono – istituire un fondo pensione che agevoli il finanziamento delle pensioni dei baby-boomers, come accaduto negli Stati Uniti già negli anni Ottanta, rappresenterebbe invece un’eccellente eredità che una classe politica non certo giovane – o un gruppo di persone di persone con figli e nipoti – potrebbe lasciare alle generazioni future.

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20 commenti

  1. AM

    E’stato triste leggere l’articolo di L.Gallino. Alla luce della tradizione tipicamente torinese di riformismo illuminato, mi pare si possa parlare di un vero e proprio “tradimento dei chierici”

  2. Davide

    Scusi l’ignoranza, ma ritardare il pensionamento, soprattutto in un colpo unico, non potrebbe avere degli effetti negativi sull’entrata nel mondo del lavoro dei giovani?
    Grazie.

    • La redazione

      L’esperienza ci insegna che non è il caso. Anzi. I paesi che hanno introdotto misure di pensionamento per sostituire lavoratori giovani con lavoratori anziani si sono trovati con un tasso di disoccupazione giovanile più elevato. Questo perchè lavoratori giovani e anziani non hanno le stesse capacità, la stessa abilità e tipicamente hanno mansioni diverse. inoltre
      per finanziare le pensioni-baby sono stati aumentati i contributi, il che aumento il costo del lavoro e riduce la domanda di lavoro da parte delle imprese.

  3. marco

    Egregio Prof. Galasso, trovo condivisibile gran parte della sua analisi. Dal’altra parte, però, ritengo eccessiva la sua presa di posizione in merito a quanto considerato recentemente da Gallino sulla questione della separazione fra previdenza ed assistenza. Peraltro, un punto di criticità ben evidenziato anche dall’allora Commissione Onofri in tema di riforma della spesa sociale (doc. di base 1, p. 14). La copertura fiscale delle misure assistenziali (all’interno di un processo di ri-organizzazione strutturale delle stesse) significherebbe anche un maggior impegno a reperire risorse aggiuntive mediante una forte azione di contrasto all’evasione. Cordialmente

  4. Paolo Cesario

    oltre al presente articolo ho letto con interesse anche gli articoli citati ed i relativi commenti.
    mi sembra che emergano alcuni punti che non possono essere affrontati in modo disgiunto:
    1 la produttività, per le nuove tecnologie, aumenta, quindi un lavoratore più produttivo può subire maggiori oneri pensionistici; tale produttività però non và al lavoratore, non va alle pensioni e (pare) neanche al datore di lavoro; c’è quindi qualcosa di non chiaro.
    2 un lavoratore invecchiando costa di più di quanto aumenti la sua produttività per l’esperienza acquisita (indipendentemente dall’impatto delle nuove tecnoloogie): giustamente costa di più (al di là del merito) perchè deve sobbarcarsi costi sociali maggiori
    ovvero perpetuare la comunità. E’ quindi naturale che il mondo del lavoro tenda a estrometterlo a favore dei giovani dovendosi sobbarcare un costo addizionale sociale e non produttivo (per molti lavori, oltre una certa età la produttività può addiritttura diminuire con costo sociale ancora maggiore dper il datore di lavoro).
    3 i costi di tipo “assicurativo” vanno assimilati a quelli pensionistici.
    4 spesso la gente non ha voglia di fare più il lavoro che fa da trent’anni, ma farebbe volentire altre cose comuque utili.
    CONCLUSIONE: occorre fare in modo che:
    – chi paga il lavoro paghi effettivamente quello che compra in modo che il lavoratore non più giovane non venga escluso (il maggior costo sociale deve andare alla collettività).
    – la collettività deve gestire una dinamica del posto di lavoro perchè ognuno possa essere utile fino all’età limite; se il lavoro da anziano sarà meno produttivo, il costo ulteriore sarà sociale.
    – la parte sociale del salario deve variare col carico sociale: quando i figli diventano autonomi, la parte sociale del salario diminuisce.
    – occorre scoprire dove va a finire il valore dell’aumentata produttività se no tanto vale abbandonare le nuove tecnologie.
    saluti
    plc

  5. Antonio Piacentini

    Ho letto con interesse l’intervento del Prof. Gallino su “La Repubblica” per lo sforzo di ricondurre a qualche ragione questo dibattito sulle pensioni, tutto concentrato sullo scalone. I numeri dell’Inps sembrerebbero smentire (dice il Prof.) la minaccia di imminenti catastrofi previdenziali, con problemi forse dal 2040 in poi.
    La riforma previdenziale è un passaggio politico complesso, tuttavia le leggi intervenute negli ultimi anni hanno di fatto alleggerito gli assegni futuri ed allungato l’età pensionabile. Perchè, chiedo, si è usciti da un buon livello di discussione sul futuro della previdenza complementare (il fondo per i baby boomers?) ed ora si nega la possibilità di migliorare lo scalone? se quella legge crea disagi non è “riformista” trovare delle soluzioni alternative? per chi perde il lavoro o chi non sta bene di salute per esempio; per molti invece continuare a lavorare potrebbe essere già una scelta indipendentemente dallo scalone. Posso sul punto rinviare ad un mio piccolo appunto su: http://www.antoniopiacentini.ilcannocchiale.it
    Grazie per l’attenzione.

  6. Luca

    Sì, però dell’assistenza usufruiscono tutti i cittadini, mentre nel conto della previdenza versano solo i lavoratori (soprattutto dipendenti) assicurati. Come la mettiamo con l’equità? A meno che non si voglia consolidare ciò che è ormai un dato di fatto: i contributi previdenziali non sono più contributi ma una delle tante tasse pagate, ancora una volta, soprattutto dai lavoratori dipendenti. Si abbia il coraggio di dirlo! Oppure se lo Stato non vuole più pagare le pensioni è sufficiente eliminare immediatamente la tassa-contibuti (ovviamente restituendo gli importi già versati) ed ognuno s’arrangi come può: vi sembra un modo di pensare ai giovani? Anche su questo argomento sarebbe ora di dire basta! basta con l’ipocrisia! Qui nessuno pensa a nessuno: infatti finirà che per gli anziani rimarrà lo scalone (fregati!) e per i giovani non ci sarà ugualmente nulla (fregati da chi?).

  7. Fabio Pancrazi

    Un provvedimento che non mettesse da subito tutti i pensionandi (a breve o futuri che siano) sullo stesso piano, non potrebbe definirsi equo. Quindi il cosidetto scalone che innalzerà l’età pensionabile da 57 a 60 anni di età non è iniquo perchè la stessa riforma Maroni ha anche degli scalini che innalzano gradualmente l’età pensionabile: alle classi 1951/1952/1953 e via via ai più giovani lo innalza di ben 5 anni! Altro che i 3 dello scalone! Allora evitiamo la lotta tra poveri: lasciamo le cose come stanno o mettiamo da subito e per tutti quota 97 o 98 (età anagrafica sommata alla contribuzione). Questo sarebbe equo e, forse, fattibile finanziariamente, coi soldi di tutti!

    • La redazione

      Non è solo una questione di fattibilità finanziaria, ma di scelta di come allocare delle risorse scarse.

  8. pietro gori

    Egregio Galasso,

    Nel leggere il suo articolo mi viene subito da pensare a tutte quelle generose pensioni che servono a mantenere i figli disoccupati, precarizzati e variamente flessibilizzati…
    Guardare ai sistemi anglosassoni come ad un modello da imitare (meno pensioni, maggiore eta’ pensionabile, piu’ part-time, disgregazione sociale) significa non conoscere quei paesi, dei quali si e’ probabilmente visto solo il campus, con retta pagata da papa’…
    In un orizzonte dinamico, le pensioni dipendono dai contributi, i contributi dall’occupazione, e l’occupazione, per i comuni mortali (e per i liberisti?) dagli investimenti.

    Magari in un prossimo articolo qualcuno della Voce mi spieghera’ il nesso tra risparmi di cassa pensionistici e investimenti.

    Anch’io sono stato al campus ma purtroppo, di sicuro per mia colpa, quale esso sia non l’ho imparato

    Cordiali saluti

    • La redazione

      Caro Gori, mi dispiace deluderla, non solo nei paesi anglosassoni si va in pensione più tardi, ma anche nei paesi scandinavi e persino in quelli mediterranei (Spagna). Avrà difficoltà a trovare un paese nel quale si va in pensione prima che da noi (solo in Belgio ci sta alla pari)!

  9. riccardo boero

    Egr. Professore

    trovo che l’aumento forzoso (o con disincentivi) dell’eta` di pensionamento sia la misura piu’ iniqua che si possa immaginare.
    La maggior parte dei lavoratori infatti, progetta la propria carriera sulla base della stabilita` della data di pensionamento. Solo i rari detentori del cospicuo privilegio della non-licenziabilita` (funzionari, insegnanti..) non vengono danneggiati dall’innalzamento dell’eta` di pensionamento, anzi rimandano a piu’ tardi il calo di introiti conseguente al pensionamento.
    Per tutti gli altri, (non dimentichiamo che oggi in Italia lavora un ultracinquantenne su 3), si allargherebbe fortemente il periodo privo di redditi tra l’inevitabile licenziamento verso i 50 e il miraggio della pensione, allontanato sempre di piu’.
    Capisco che un professore universitario sostenga la soluzione dell’innalzamento dell’eta` pensionabile. Cicero pro domo sua.
    Ma la soluzione piu’ equa sarebbe un passaggio deciso (ora che l’INPS e` in avanzo) a un sistema unicamente (o prevalentemente) contributivo. In questo modo gli aggravi sarebbero distribuiti in modo equo e proporzionale agli introiti goduti una volta in pensione
    Grazie di una cortese risposta.

    • La redazione

      Passaggio al contributivo: sta proponendo l’applicazione della riforma Dini da subito per tutti? Se è così mi trova d’accordo. Ma tenga presente che chi andrebbe in pensione a 57 avrebbe un pensione con un tasso di sostituzione molto basso. Quindi avrebbe un forte incentivo a ritardare il
      pensionamento.

  10. Gualtiero

    Quello di Luciano Gallino non è affatto un esercizio arbitrario di contabilità ma un doveroso richiamo alla realtà . E’ proprio astraendo dalla realtà che le cure proposte diventano arbitrarie . E’ forse migliore l’approccio propagandistico di Padoa Schioppa che ha sostenuto esserci un rapporto fra gli andamenti contingenti delle entrate fiscali e le misure (necessariamente di lungo periodo) da definire nella trattativa sulle pensioni ? Certo , la distinzione fra spesa assistenziale e previdenziale se fatta ex post non migliora il disavanzo pubblico (che è attuale).Ma questo non è un buon motivo per sorvolare sui dati di fatto. Il costo del lavoro dipendente ( in sostanza il reddito che il lavoratore ha prodotto in un determito periodo di tempo ) si può distinguere in oneri diretti ed indiretti per l ‘ impresa.E’ pacifico che gli oneri indiretti debbano servire per pagare le pensioni di chi ha prodotto quel reddito e non le pensioni degli invalidi civili , le pensioni sociali , gli sgravi contributivi di vario genere , che come ha evidenziato Gallino ammontano a 74 mld di euro. A questi costi si deve fare fronte con le entrate fiscali del Paese, perchè diversamente si realizza un arbitrario trasferimento di reddito e non una legittima redistribuzione . Ma poichè si sceglie di ridurre gli oneri contributivi di imprese spesso poco competitive( fra cui anche il giornale per cui scrive Eugenio Scalfari) ;non si può esigere che gli evasori paghino le tasse (vedi retromacia su studi di settore ) ecc… , allora non resta che agire sulle pensioni . Un intervento Riformatore sulla previdenza è probabilmente opportuno , ma con un respiro di lungo periodo , partendo sempre dai dati di fatto e considerando tutte le variabili in campo.

  11. Leonardo Piliego

    La miopia risiede, invece, nel fatto che la questione delle pensioni si è ormai ridotta a una “guerra fra poveri”: danneggiamo i 57enni di oggi (e il discorso vale tanto di più per i cosiddetti “usurati”) o i pensionati di domani? In realtà, entrambe le rivendicazioni delle due categorie sono sacrosante: i primi chiedono di vedersi riconosciuto il diritto di andare in pensione nel momento in cui l’hanno, da sempre, previsto (e, spesso, ardentemente atteso); i secondi chiedono di percepire al momento della quiescenza una pensione dignitosa, così come è ora per i loro padri. Ed amareggia ancor più il fatto che tale guerra viene assecondata da personalità della politica, quali il Ministro D’Alema, con un background culturale vicino al mondo del lavoro.
    L’esistenza di MIGLIAIA di voci di costo nel bilancio dello Stato inutili, non prioritarie ( vedi deduzioni fiscali per l’acquisto di frigoriferi) o persino dannose per la collettività (vedi i finanziamenti per gli autotrasportatori ), per non parlare degli sprechi della pubblica amministrazione, non possono che rendere moralmente inaccettabile questa guerra su “quale fra le due rivendicazioni è prioritaria”.
    Pertanto, uno Stato che si rispetti deve trovare le risorse per far fronte ad entrambe.

    • La redazione

      Non mi è chiaro dove pensa di trovare le risorse necessarie. Temo che eliminare le deduzioni fiscali per l’acquisto dei frigoriferi non basterà.
      Forse aumentando ulteriormente i contributi?

  12. Renato

    Sono un dipendente universitario e attivista sindacale, purtroppo minoritario sulla questione previdenza. In particolare non capisco una cosa:
    1) perchè ci si scandalizza sugli scaloni e scalini, quando nessuno ha detto niente allorchè con la riforma Dini moltissini sono passati dal sistema a compartecipazione a quello contributivo, anche qui in base a criteri puramenti anagrafici.
    2) perchè in tutti gli altri paesi l’età pensionabile è più alta e nessuno ha un debito apragonabile al nostro? Sono tutti pazzi? Non hanno sindacati? sono paesi dittatoriali?
    E’ chiaro che tutti vorremmo goderci la pensione ancora giovani, ma ciò è compatibile con i conti e con la calcolatrice? Comunque preferisco lavorare di più che avere una pensione da fame.
    Infine, mi pare che in questo modo si svalorizzi il lavoro, come attività che dovrebbe avere significato e valore. La Repubblica italiana è fondata sul lavoro … o sulla pensione?

  13. riccardo boero

    Non e` equo alzare rapidamente l’eta` pensionabile, perche’ cio’ pesa in modo profondamente diverso (iniquo) sulle varie categorie di lavoratori.
    Il dipendente pubblico ci guadagna: perche’ percepisce il salario (piu’ alto della pensione) per qualche anno in piu’
    Il dipendente privato, che a 50 anni si trova statisticamente disoccupato (in Italia lavora un ultracinquantenne su 3, quasi sempre dipendente pubblico o libero professionista), vede allungarsi smisuratamente il periodo durante il quale non gode di alcun reddito, dopo aver progettato la sua vita in funzione di un’eta` pensionabile che non viene poi rispettata, e quando è ormai troppo tardi per formarsi a nuove competenze.

  14. Leonardo Piliego

    Chiaramente la citazione dell’acquisto di frigoriferi era a titolo puramente esemplificativo… così come, immagino, il suo suggerimento di aumentare i contributi, una provocazione…
    La mia critica al suo articolo risiede nel fatto che mi sembra riduttivo presentare la questione previdenziale come un mero scontro intergenerazionale ed inoltre che esso cade nel sempre più frequente limite di valutare ed esprimere opinioni sull’argomento, prescindendo completamente sia dal contesto complessivo (cioè la società italiana) in cui la riforma della previdenza si andrà a collocare, sia da elementari nozioni di giustizia o anche di mera opportunità.
    Sarò demagogico (preciso che ho 27 anni, quindi non sono parte in causa), ma lei come si sentirebbe nella condizione di un operaio che si vede innalzata di punto in bianco l’età pensionabile di tre anni da cittadini (vale a dire i parlamentari che dovrebbero rappresentarlo) che acquisiscono il diritto alla pensione dopo 30 mesi dal loro insediamento? Io rappresentante delle c.d. “nuove generazioni” non mi sentirò usurpato (come qualcuno pensa dovrei sentirmi) se il Governo deciderà di abolire lo scalone, non riesco proprio a percepirla come un’ingiustizia nei confronti della mia generazione, forse perché sono di tutt’altro genere le reali ingiustizie che essa si trova a subire. E’ per questo che ritengo limitativo esporre la questione come una mera contrapposizione di interessi fra vecchie e nuove generazioni e davvero infimo indicare, come fatto dalla propaganda di alcuni partiti politici, quale nostro nemico il lavoratore 57enne che non accetta di andare in pensione tre anni dopo.

    Segue…

  15. Leonardo Piliego

    In merito al reperimento delle risorse, bisogna, innanzitutto, precisare che lo scalone non fu introdotto per riportare in equilibrio i conti dell’INPS, ma semplicemente per coprire un buco dei conti pubblici;per tale motivo, la copertura finanziaria della sua abolizione potrà provenire,a rigor di logica, anche dalla fiscalità generale.
    Premesso ciò, passiamo al merito: lo stesso Montezemolo, nell’ultima Assemblea di Confindustria, dichiarandosi disposto a discutere di una riduzione degli incentivi per le imprese a fronte di una riduzione delle tasse,ha implicitamente ammesso che gli incentivi riconosciuti alle imprese sono in molti casi tutt’altro che opportuni o,comunque, necessari.
    Inoltre, un recente best seller sugli sprechi della politica ha stimato in più di 2 miliardi di € il solo costo di Camera dei Deputati, Senato e Quirinale. Considerato che in paesi come Francia, Germania e Inghilterra le spese per le istituzioni corrispondenti sono pari a meno della metà, portare l’Italia ai livelli degli altri paesi europei rappresenterebbe già un primo passo (neanche troppo simbolico) per reperire le risorse.
    Pertanto, ribadisco con forza l’idea per cui l’esistenza d’innumerevoli voci di costo nel bilancio dello Stato inutili o non prioritarie, unitamente agli sprechi delle pubblica amministrazione e all’eccessivo costo della politica, rende moralmente inaccettabile questa disquisizione su quale delle rivendicazioni sia da accogliere e quale da respingere. Peraltro, non capisco perché l’innalzamento delle imposte sia considerato comunque di per sé negativo per l’economia e per la collettività. Ad esempio, l’innalzamento dell’ICI per i proprietari di molti immobili, creando un incentivo a immettere sul mercato immobilipotrebbe avere un effetto calmieratore sui prezzi epermettere alle giovani generazioni di acquistare una casa di proprietà con maggiore facilità. Pertanto, non mi sentirei di escludere a priori neanche questo canale di reperimento delle risorse.

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