L’Europa è per lo più incapace di usare il suo peso economico e decisionale nella governance globale. Perché non parla con una “voce unica”. Ciò accade anche per la difficoltà dei paesi dell’Unione di definire un meccanismo di decisione interno che permetta di giungere a una posizione esterna comune. Ma la rappresentanza unica europea nelle istituzioni finanziarie internazionali e nei gruppi informali rimane condizione essenziale per una maggiore responsabilizzazione dei nuovi attori. E per l’euro c’è la necessità di definire una politica da “valuta chiave”.

Tutti gli scenari a lungo termine confermano che nei prossimi quindici-venti anni si assisterà a un calo significativo del peso economico dell’Europa e a un aumento di quello dei nuovi paesi emergenti: Cina, India, Russia, Brasile (i Brics). Da un lato, la ascesa dei nuovi paesi determina il risultato, positivo, di aggiungere nuovi motori alla crescita mondiale, dall’altro si producono squilibri sui mercati energetici, sulla sostenibilità ambientale e sulla stabilità finanziaria.

Il peso dell’Europa

Non si può negare che, nel sistema globale, ci si trova di fronte a una carenza di governance. Questa è parzialmente colmata da una proliferazione di risposte di tipo regionale o bilaterale, a cui si accompagna una delegittimazione delle istituzioni internazionali. Si tratta di risposte alimentate dalla strategia degli Stati Uniti, che consiste nel dare più spazio ai Brics, sia privilegiando i rapporti bilaterali sia promovendo una riforma della governance delle istituzioni internazionali che ne faccia aumentare il peso decisionale.
Ma questa strategia presuppone che il peso dell’Europa sia ridimensionato, almeno sulla carta. Non deve apparire paradossale, quindi, che siano gli Stati Uniti a essere sostenitori di una rappresentanza unica dell’Europa presso le istituzioni di Bretton Woods, Fondo monetario e Banca mondiale. Come risponde l’Europa? Se si valuta la rappresentanza dell’Europa nelle istituzioni internazionali come somma delle rappresentanza dei suoi paesi membri si nota che ha un peso decisionale decisivo. Non solo. Se si calcola il peso dell’Europa come “swing voter” si giunge alla conclusione che se agisse con una sola voce, sarebbe il soggetto decisivo nella stragrande maggioranza dei casi. (1) Ma l’Europa si è dimostra largamente incapace a usare il suo peso economico e decisionale nella governance globale.
Vanno fatte delle distinzioni. In questi anni l’Unione Europea è stata, almeno in parte una “agenda setter” nel commercio internazionale. (2) E la voce unica dell’Europa nelle questioni commerciali si manifesta anche in presenza di preferenze nazionali diverse, legate alla diversa specializzazione produttiva: si pensi alle posizioni su agricoltura, tessile, servizi avanzati, e così via.
Diverso è il caso delle relazioni macroeconomiche e finanziarie dove la presenza europea è in gran parte identificata con quella dei singoli Stati. Nel G7 ci sono quattro paesi membri dell’Unione, ma è difficile sostenere che la sua agenda sia guidata da un chiaro orientamento europeo. La natura degli squilibri globali è tale da richiedere un rinnovamento della struttura di governance. Per affrontare il problema, il Fmi ha costituito un gruppo di consultazione informale composto da Stati Uniti, Giappone, area euro, Arabia saudita e Cina, i principali protagonisti degli squilibri globali.

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La necessità di una “voce unica”

Le condizioni sembrerebbero mature per passare a una rappresentanza unica della Unione Europea o, quanto meno dell’area euro, nelle istituzioni finanziarie internazionali e nei gruppi informali, G7 compreso. Questo passo avrebbe il pregio di accrescere il peso decisionale dell’Europa e di migliorare la governance globale aumentando il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei nuovi attori. Ma ciò non avviene. Perché?
Si possono avanzare due spiegazioni. La diversità delle preferenze e la “dysfunctional governance”. Diverse preferenze nella politica macroeconomica impedirebbero ai paesi europei di raggiungere una posizione comune nelle sedi internazionali. Si tratta di una ipotesi poco convincente se si tiene conto che la creazione dell’euro, per definizione, comporta una unica linea di condotta nella politica monetaria e che il Patto di stabilità, con tutti i suoi limiti, impone una convergenza nella condotta della politica fiscale.
Questo ci porta alla ipotesi della inefficienza del meccanismo decisionale. (3) Nel caso delle relazioni macroeconomiche si tratta della difficoltà da parte dei paesi dell’Unione di definire un meccanismo di decisione interno che permetta di giungere a una posizione esterna comune. Per dirla in altri termini, è inutile istituire la rappresentanza unica presso il Fmi se il direttore esecutivo europeo non riceve istruzioni efficaci e tempestive dalle sue autorità.
Fino ad ora il “passaggio di sovranità” non è avvenuto. La ragione per cui non avviene è in realtà semplice. Passare a una rappresentanza unica comporta una redistribuzione del potere all’interno del gruppo dei paesi europei. In particolare, i paesi più grandi dovrebbero cedere, almeno sulla carta, una parte del potere decisionale che oggi detengono, per esempio tramite il loro posto nel G7.

L’euro, una valuta chiave

Le pressioni verso una voce unica continuano però a crescere, a cominciare dagli stessi mutamenti del quadro globale. Lo spostamento di potere economico e il passaggio a modelli di governance regionale o bilaterale diminuisce il potere decisionale dei singoli paesi europei, nessuno dei quali può, da solo, aspirare al ruolo di player globale. Inoltre, se non si vuole fare del multilateralismo solo di facciata, la rappresentanza unica rimane condizione essenziale per un maggiore coinvolgimento dei “new players” nelle istituzioni internazionali.
La seconda fonte di pressione deriva dal ruolo dell’euro. Il peso della moneta unica come valuta chiave sta crescendo. La fase iniziale del life cycle di una valuta chiave, di solito, ne vede l’apprezzamento. Si pone quindi la necessità della definizione di una politica di cambio, quanto meno nella forma debole di un approccio concordato con gli altri paesi chiave alla gestione degli squilibri globali. Anche se alcune decisioni in merito sono di competenza della Bce, esse hanno implicazioni per la gestione della politica macroeconomica e la distribuzione dei costi di aggiustamento all’interno dell’Europa. Ne derivano decisioni che non si possono lasciare unicamente alla autorità monetaria e richiedono un mutamento della governance economica dell’area dell’euro. Inoltre, l’allargamento dell’Unione prevede non solo che i nuovi paesi membri adottino l’euro, ma comporta fenomeni di “eurizzazione” nei paesi che aspirano a entrare nell’Unione o che comunque fanno parte dell’area di influenza economica. Ciò rafforza la necessità di definire una politica da “valuta chiave” che ha ripercussioni per le relazioni con le altre aree valutarie del pianeta.
Infine, un governo unico della finanza europea centralizzato dovrebbe andare di pari passo con il completamento del mercato finanziario europeo lungo le linee del Financial Sector Action Plan. Attualmente, ci sono sia vuoti che sovrapposizioni nel governo della stabilità finanziaria in Europa, con più di ottanta agenzie coinvolte nella supervisione e nella regolazione dei mercati finanziari e, allo stesso tempo, con scarsa informazione su quello accade nelle principali piazze finanziarie europee. Si tratta di un chiaro caso di inefficienza, che aumenta i costi di “compliance” per gli intermediari.

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(1) Si veda L. Bini Smaghi, “IMF Governance and the Political Economy of a Consolidated European Seat”, in Edwin Truman (ed), Reforming the IMF in the XXIst Century, Institute for International Economics, 2006.
(2) Lamy, Pascal (2004), Trade Policy in the Prodi Commission : An Assessment, November.
(3) Vedi Jean Pisani-Ferry “The Accidental Player: The EU and the Global Economy”, testo preparato per la conferenza all’Indian Council for Research on International Economic Relations, Delhi, 25 novembre 2005.*

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