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Tre “capitoli” per il dissesto

Negli Stati Uniti le procedure fallimentari sono regolate dall’Us Bankruptcy Code. Tre i capitoli rilevanti. Il problema sostanziale nasce dal fatto che i comuni non possono essere liquidati sotto il Chapter 7. E se il piano di ristrutturazione non viene votato dai creditori la procedura è ambigua: il giudice fallimentare può, in teoria, imporre un aumento delle imposte, la vendita delle attività e dei cespiti, il taglio delle spese. Ma non è mai successo. La migliore garanzia per il creditore sembra essere il potere del governo locale di gestire alcune imposte.

Se in Italia c’è una legge che ha già portato alcuni comuni a dichiarare il dissesto, cosa succede all’estero? Qui ci concentriamo solo sugli Stati Uniti, il modello preso ad esempio quando, qualche anno fa, si cominciò a discutere delle procedure di dissesto per gli Stati sovrani. Le notizie che riportiamo provengono da due articoli che segnaliamo in calce.

Il Bankruptcy Code

Le procedure fallimentari sono regolate negli Stati Uniti dall’Us Bankruptcy Code. Tre sono i capitoli rilevanti del codice: il Chapter 7, che comprende le procedure per la liquidazione; il Chapter 11, che regolamenta le procedure per la riorganizzazione aziendale; infine il Chapter 9, che discute appunto il dissesto degli enti locali.
Il Chapter 7 riguarda le imprese (le “corporation”) e gli individui. Quando dichiara il fallimento sulla base del Chapter 7 l’impresa cessa di esistere e il suo attivo viene liquidato e ripartito tra i creditori, sulla base della Absolute Priority Rule. È una regola che impone al liquidatore di: a) pagare innanzitutto le spese amministrative di bancarotta; b) poi pagare i creditori; c) infine distribuire ciò che resta agli azionisti. La regola vale anche per il fallimento degli individui, per i quali si distinguono cespiti liquidabili e cespiti non liquidabili. Per tutti – individui e imprese – ogni debito che non viene coperto attraverso la liquidazione viene cancellato. L’obiettivo della procedura è quello di evitare il “dilemma del prigioniero” nel quale si cadrebbe, dato l’incentivo individuale di ogni creditore a richiedere il pagamento del suo credito quando comincia a percepire che le attività non sono sufficienti a coprire il pagamento di tutti i creditori; un po’ come nei bank run. Equivale, di fatto, al nostro fallimento.
Il Chapter 11 regolamenta le procedure di riorganizzazione aziendale per le imprese. Permette in particolare alle imprese di pagare tutti i (o parte dei) debiti attraverso i profitti futuri, invece che attraverso i fondi ottenuti liquidando le attività. Con il Chapter 11 i manager dell’impresa mantengono la gestione, mentre il giudice fallimentare fa da semplice supervisore della procedura. Molte delle norme presenti nel Chapter 11 servono per aiutare l’impresa a migliorare la sua situazione di cassa di breve periodo: si impedisce per esempio ai creditori di intentare nuove azioni legali nei confronti dell’impresa; si blocca la maturazione di nuovi interessi sul debito fino a che non è stato adottato un piano di riorganizzazione e poi si impone di seguire il piano per i pagamenti; si consente all’impresa di ottenere nuovi prestiti, perché tali prestiti ottengono la priorità nel rimborso rispetto a tutti gli altri crediti in quanto vengono considerati tra le spese amministrative della procedura. Attraverso una procedura nota come “cramdown”, inoltre, il giudice fallimentare può imporre l’adozione del piano di riorganizzazione anche in presenza dell’opposizione di un intero gruppo di creditori. È una sorta di amministrazione controllata.
Il Chapter 9 regolamenta il dissesto degli enti locali; non degli stati o delle contee perché sono enti sovrani, e la Costituzione americana impedisce al governo federale di interferire col governo di stati sovrani o loro suddivisioni. Peraltro nessuno stato può adottare la sua normativa sulla bancarotta perché, sempre sulla base della Costituzione, gli stati non possono adottare leggi che interferiscono con i contratti e la normativa sulla bancarotta ovviamente interferisce nei contratti tra i comuni e i loro creditori. È basato sul Chapter 11, ma ne differisce in diversi aspetti. Intanto perché un comune (una Municipality) deve ottenere il permesso dello stato e la scelta deve essere volontaria da parte della giunta locale. Il comune non deve poi essere in grado di ripagare i debiti così come si presentano, mentre le imprese possono chiedere la procedura di dissesto anche se hanno un po’ di soldi in cassa per ripagare alcuni debiti. Il comune deve anche tentare, prima di chiedere la procedura, di risolvere il problema finanziario attraverso un piano di ristrutturazione del debito. Inoltre, a differenza dei manager, la giunta comunale non può mai essere sostituita, perché si realizzerebbe una interferenza nella sovranità dell’ente. Infine, solo la giunta comunale ha il diritto di proporre un piano di ristrutturazione, mentre questo diritto è negato ai creditori.

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I casi concreti

Come nel nostro paese, anche negli Stati Uniti, il problema sostanziale nasce dal fatto che i comuni non possono essere liquidati sotto il Chapter 7. Se il piano di ristrutturazione non viene votato dai creditori la procedura è ambigua: il giudice fallimentare può, in teoria, imporre un aumento delle imposte, la vendita delle attività e dei cespiti, il taglio delle spese. Tutto ciò non è mai successo. E nei pochi casi discussi nella letteratura, i giudici fallimentari hanno rifiutato i piani di ristrutturazione facendo riferimento al potere coercitivo degli enti locali di raccogliere imposte. Insomma, dagli Stati Uniti il messaggio che sembra emergere è che la migliore garanzia per il creditore di un comune sta nel potere del governo locale di gestire alcune imposte.
Tra il 1972 e il 1984 solo tre piccole città hanno richiesto la procedura prevista dal Chapter 9, mentre diverse centinaia di consorzi pubblici l’hanno utilizzata. Fino ad oggi, Bridgeport nel Connecticut e Orange County in California sono state le città più grandi a far appello al Chapter 9. La richiesta di Bridgeport è stata rifiutata perché, pur avendo l’ente locale la più alta aliquota sull’imposta patrimoniale, non aveva esaurito tutte le sue possibilità di prendere a prestito e quindi non era insolvente. Come fa notare White, gli Stati hanno un interesse generale a prevenire i loro comuni dal richiedere il dissesto, perché consentire l’accesso alla procedura segnala che lo stato non è disponibile a ripianare i debiti di altri enti locali in situazione di dissesto, e ciò porta a un aumento dei tassi di interesse sui prestiti per tutti i comuni all’interno dello stato. In altre parole, i governi locali verrebbero valutati per quello che sono e non con il rating dello stato.

Per saperne di più

McConnell M. W. e Picker R. C. (1993), When Cities Go Broke: A Conceptual Introduction to Municipal Bankruptcy, University of Chicago Law Review.
M. J. White (2002), Sovereigns in Distress: Do They Need Bankruptcy?, Brookings Papers on Economic Activity.

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  1. stefano pozzoli

    In realtà il quadro statunitense è assai più complesso, almeno se si guarda ai rimedi proposti nei confronti dei dissesti, più che alle procedure tecniche di bancarotta. New York City, ad esempio, che è il caso più eclatante di dissesto negli USA, ha oggi una normativa simile a quella degli stati. Ove il bilancio chiuda in perdita il sindaco viene sostituito da una commessione straordinaria che viene nominata in contemporanea con il sindaco.
    altro elemento di rilievo, i debiti se li pagano i cittadini di New York e nessun altro…

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