Lavoce.info

Le compensazioni non sono la panacea

Il fondo per le compensazioni è il cardine della strategia del governo per superare i problemi di accettabilità per le grandi infrastrutture energetiche. Rappresenta un importante cambiamento di rotta rispetto alla filosofia del decreto “Sblocca centrali” e della Legge obiettivo. Ciononostante, la fiducia nelle compensazioni appare eccessiva. Sarebbe forse utile affiancare agli “oneri di localizzazione”, gli “oneri di partecipazione”, risorse destinate a finanziare tutte le attività preliminari di dialogo, ascolto e ricomposizione del conflitto.

Negli ultimi mesi, la discussione sulla necessità di realizzare rigassificatori di Gnl in Italia è stata particolarmente accesa. Emerge un generalizzato apprezzamento per l’approccio proposto dal ministro Bersani, che introduce un concetto interessante anche se per alcuni aspetti non nuovo: quello delle compensazioni a favore delle comunità che ospiteranno nuovi terminal e nuove infrastrutture energetiche in generale.
In particolare, in Finanziaria viene istituito un fondo con una dotazione iniziale di 50 milioni di euro (e fino a 100 milioni) per il periodo 2007-2011, da utilizzare “a copertura di misure di compensazione a favore di Regioni ed enti locali interessati dalla realizzazione di nuove infrastrutture energetiche di rilevanza nazionale”.
Due questioni appaiono meritevoli di essere descritte e commentate.

L’istituzionalizzazione delle compensazioni

Oltre alla consueta negoziazione tra proponente e attori sul territorio, viene aperto un nuovo fronte che coinvolge Regioni e ministero. Si tratta di misure aggiuntive in quanto nulla può impedire, al contrario tutto fa presagire, che la capacità negoziale di una comunità (si tratta di una risorsa politica) porti le parti ad accordarsi per una compensazione più elevata rispetto a quanto il ministero è pronto a mettere sul piatto. (1)

La concorrenza tra territori

La Finanziaria 2007 non tratta questo aspetto esplicitamente, ma, come anche ripreso da molti osservatori già a valle della pubblicazione del disegno di legge Bersani, è chiaro il tentativo di creare un regime di concorrenza tra enti locali. Un vecchio, ma sempre attuale articolo di Howard Raiffa già nel 1985 trattava la questione in maniera esemplare: nel suo discorso ipotetico, Raiffa cercava di creare concorrenza sul piano della willingness to accept, con il duplice obiettivo di realizzare l’opera e di pagare il meno possibile in termini di compensazione. (2) Nella Finanziaria entrambi gli obiettivi vengono perseguiti, anche se il primo appare più stringente per ridurre la forte dipendenza da Russia e Algeria.

Presupposti deboli

I presupposti sui cui poggia il nuovo corso sono però un po’ deboli e senza azioni correttive è difficile che il provvedimento sia efficace.

Innanzitutto, il ricorso alle compensazioni come strategie per superare i problemi di accettabilità locale. Da diverso tempo i proponenti di opere – dagli inceneritori alle autostrade, dagli impianti eolici alle antenne per telefonia mobile – promettono alle comunità locali compensazioni in denaro o opere di pubblica utilità, anche per nulla connesse al progetto principale. (3) Queste strategie hanno fino ad oggi avuto scarso successo e il loro stesso fondamento etico è dubbio, minacciato da scarsa trasparenza e privilegi solo per alcuni attori. Le compensazioni non tengono in piedi un progetto, ma eventualmente rappresentano un piccolo tassello di un percorso progettuale molto più ampio di quello che riguarda la singola opera.
La sostituibilità tra i territori. Una situazione di concorrenza presuppone che gli offerenti siano numerosi e che il servizio offerto da ciascun produttore sia indistinguibile da quello di altri. Nel caso in oggetto, l’offerta la fanno le comunità, che offrono territori con caratterizzazioni differenziate in termini di assetto fisico, economico, sociale e politico. Questi territori non sono sostituibili e quelli veramente candidabili sono pochi, forse troppo pochi perché vi sia concorrenza. Con poca offerta e tanta domanda, il prezzo, ovvero le compensazioni, sarà spesso insufficiente per convincere i territori ad accettare l’infrastruttura. In altri casi – ad esempio impianti a biomasse, impianti di separazione e stoccaggio dei rifiuti – la situazione è diversa e l’approccio ispirato ai mercati concorrenziali potrebbe sortire effetti interessanti.
Il luogo delle decisioni. Un terzo nodo è rappresentato dal ruolo assegnato alle Regioni che, per le comunità locali, sono distanti quasi come il governo centrale dai luoghi dove si vorrebbero realizzare gli impianti. Viene quindi proposta una sussidiarietà a metà che porta il processo decisionale in mezzo al guado. (4) Le Regioni potrebbero invece giocare il ruolo dei facilitatori. (5)

Leggi anche:  Transizione energetica tra dilemmi e incertezze

Correttivi necessari

La proposta del ministro Bersani non è quindi priva di elementi interessanti, non cedendo alle facili e ingenue tentazioni della Legge obiettivo e del decreto “Sblocca centrali” in quanto a imposizione dall’alto delle scelte. Ma manca ancora di alcuni elementi importanti che potrebbero creare un ambiente più fertile per la realizzazione di impianti di pubblica utilità, senza che vengano sacrificati benefici e garanzie delle comunità locali.
Uno di questi è il corretto inserimento dell’opera in un contesto territoriale che ha delle specificità tali da richiedere un percorso lungo e partecipato affinché queste emergano correttamente. (6) Il disposto della Finanziaria è al momento ambiguo, prevedendo risorse “destinate al finanziamento di interventi di carattere sociale da parte dei comuni a favore dei residenti nei territori interessati”. Sarebbe opportuno che il ministro dello Sviluppo economico, con i decreti attuativi previsti in Finanziaria, definisse requisiti processuali anziché di contenuto per gli interventi degli enti locali finanziabili col fondo – compensazioni.
Mi riferisco in particolare ai processi partecipativi e negoziali che potrebbero essere attivati anche per creare un contesto chiaro e trasparente che metta in luce i legami tra il progetto e gli attori locali, senza privilegi. In questo caso nella proposta contenuta nella Finanziaria sarebbe utile affiancare agli “oneri di localizzazione”, gli “oneri di partecipazione”, risorse destinate a finanziare tutte le attività preliminari di dialogo, ascolto e ricomposizione del conflitto.

(1) Gli “oneri di localizzazione” possono essere considerati simili alle “royalty sul vento” che sono diventate la prassi nella negoziazione tra i comuni che accettano impianti eolici e i proponenti. La differenza principale, ma forse non così sostanziale come indicato nella relazione che accompagna il Ddl, sta nel fatto che le compensazioni per i rigassificatori sono a diretto beneficio per i cittadini, in quanto sono erogate, in un regime di invarianza di gettito per la finanza pubblica, sotto forma di minori imposte locali sull’energia elettrica e il gas naturale.
(2) Raiffa H., 1985, A hypothetical speech, to a hypothetical audience about a very real problem, Harvard – Mit Program on Negotiation working paper series, Cambridge, Usa. Raiffa immaginava di essere di fronte a una platea di cittadini interessati ad ascoltare le ragioni del sì per un impianto di smaltimento di rifiuti: queste ruotavano intorno ai benefici che la comunità avrebbe avuto accettando l’impianto e che, in caso contrario, sarebbero invece ricaduti su altre comunità con bisogni analoghi in termini di attrezzature sportive, servizi per gli anziani, scuole, eccetera.
(3) Forse qualcuno ricorderà il caso del terminal di rigassificazione di Monfalcone di metà anni Novanta. Per ottenere il sì la Snam offrì ricche compensazioni, ma neanche questo fu sufficiente a scardinare il fronte del no – capeggiato da Ripa di Meana che poi troveremo alla testa di moltissimi comitati contro l’eolico – che nei giorni caldi rafforzò rapidamente i ranghi arrivando a battere il fronte del sì in un referendum che sovvertì ogni previsione.
(4) Province e comuni devono essere coinvolti maggiormente e responsabilizzati per decisioni che altrimenti abbandoneranno non appena il vento degli oppositori si farà sentire più forte.
(5) L’altra questione rilevante è rappresentata dal ruolo molteplice che apparati della pubblica amministrazione rivestono in queste vicende: controllori, oppositori, beneficiari delle compensazioni e talvolta azionisti di qualche società a parziale controllo pubblico. Una commistione che rende lo scenario, per i cittadini, sicuramente più torbido.
(6) Si tratta di un elemento comune anche ad altre opere considerate essenziali quali viabilità, gestione dei rifiuti, fonti energetiche rinnovabili, porti e approdi.

Leggi anche:  Cosa pensano gli italiani della carne coltivata

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Transizione energetica tra dilemmi e incertezze

Precedente

Due binari per la riforma della Pa

Successivo

Non è ancora l’ora di brindare

  1. Gaetano Criscenti

    Il sistema delle compensazioni, non è certamente la panacea , ma introduce un elemento nuovo: il cittadino non è più semplicemente vessato dalle decisioni , ma può contribuire a decidere se accettarle, ed in questo modo averne un beneficio, oppure rifiutarle.
    Un aspetto fondamentale è il fatto che per le opere che coinvolgono territori delimitati, come possono essere gli impianti per il trattamento dei rifiuti, vi debbano essere valori costantemente positivi per il comune che accetta l’opera, e valori costantemente negativi per i comuni che rifiutano l’opera. Io penso che le compensazioni devono, in questi casi, essere pagate dai cittadini dei comuni che, usufruendo del servizio, hanno scelto di non volere l’opera nei loro territori.
    Sono inoltre convinto che le compensazioni avranno tanto più effetto, quanto andranno ad incidere direttamente e permanentemente sul reddito dei cittadini sotto forma di diminuzione delle tasse o delle imposte .
    Solo così il NIMBY sarà contenuto.

  2. billy0083981

    Due critiche.
    Primo quando si parla di rigassificatori bisogna dire che non sono come un porto o una centrale idroelettrica, essi sono delle bombe. Dovremmo puntare fortemente sulle energie rinnovabili e smettere di pensare al gas, bisogna convincere le persone a moderare i consumi, poi conti alla mano tutto questo gas non serve agli italiani ma solo all’Eni per rivenderlo in europa.
    Secondo, nelle compensazioni bisogna coinvolgere soprattutto chi costruisce e utilizza l’opera e ritenerli unici responsabili dei danni all’ambiente e alle persone, non capisco perchè debba pagare solo la collettività (lo Stato).
    Un’opera pubblica viene costruita per due motivi: o perchè serve alla collettività o perchè vi è l’interesse di qualche gruppo di pressione che vuole fare i suoi affari. In questa storia mi pare si tratti del secondo caso.
    Sull’argomento comunque Report ha dedicato una puntata. Consiglio di vederla

    • La redazione

      Dietro la pubblica utilita’ si celano molto spesso utilità molto private. L’etichetta di “opera di pubblica utilità” aiuta molto il proponente, soprattutto per le infrastrutture di rete, in quanto permette più facilmente l’esecuzione degli espropri. Il problema riguarda non solo i rigassificatori. Credo che un giudizio di pubblica utilità non possa che scaturire da un dibattito ricco e a più voci che permetta di confrontare opzioni alternative, compresa quella del non fare, o del fare qualche cosa di molto diverso.
      Sulle compensazioni credo anch’io che spettino al proponente.

  3. nicola c. s.

    Gli adeguamenti infrastrutturali che il Paese ha di fronte sono tanti: rigassificatori, centrali elettriche, linee di trasmissione dell’energia elettrica, inceneritori, strade/autostrade, tunnel, snodi intermodali, passanti ferroviari, etc..
    Creare fondi di compensazione per ognuno di questi potrebbe risultare un processo lungo, fatto di quantificazioni di impatto non ovvie nel breve e soprattutto nel lungo periodo, aperto ad “opportunismi” e dispendioso. Bisognerebbe forse valutare il passaggio ad un approccio diverso: visto che le esigenze sono tante e di varia natura, distribuire la responsabilità e il “peso” degli adeguamenti infrastrutturali in maniera il più possibile diffusa e omogenea sul territorio, tenendo presente le caratteristiche dei singoli bacini. Questo implicherebbe, non solo una visione progettuale molto più ampia e lungimirante dell’attuale, ma anche un coinvolgimento delle Regioni come vero e prroprio livello intermedio di governo, in grado di mediare tra lo Stato e gli Enti Locali e le Comunità a loro sottese. Un disegno istituzionale forse “ambizioso”, ma l’unico (credo) che possa dare rapidità e stabilità ai grandi investimenti infrastrutturali (pubblici e privati). E poi, non è forse questo il federalismo di cui abbiam bisogno? Complimenti per il contributo e grazie, n. c. s.

    • La redazione

      Credo sia mancata ad oggi proprio la visione e il coinvolgimento di cui lei parla. Non mi aspetto delle novità significative a livello centrale, mentre mi pare che a livello regionale qualche tentativo si stia facendo nell’ambito dei percorsi di pianificazione energetica, infrastrutturale, dei rifiuti e cosi’ via.

  4. galdig

    La Finanziaria non prevede fondi per “misure di compensazione a favore di Regioni ed enti locali interessati alla realizzazione di nuove infrastrutture energetiche di rilevanza nazionale”. Il comma (362) è stato modificato per l’opposizione dei Verdi, secondo i quali non era lo Stato ma le aziende a dover “compensare”. Ora il fondo derivante dalla sterilizzazione dell’Iva sui carburanti è destinato a interventi di efficienza energetica e riduzione delle bollette per le fasce svantaggiate.
    Gabriele Masini

    • La redazione

      Il sito della Presidenza del Consiglio putroppo non e’ preciso e parla ancora, per lo meno alla data in cui e’ stato scritto l’articolo, di Fondo per le compensazioni. La modifica proposta dai Verdi mi pare molto sensata.

  5. Matteo Bardelli

    L’articolo induce a riflettere sulla composizione della dotazione finanziaria del fondo di compensazione. è giusto che l’onere sia tutto a carico dello stato o, del privato? O,forse, è più corretto che la contribuzione al fondo sia a carico dei portatori d’interesse?
    Se un “rigassificatore”, un impianto eolico, o una bacino idroelettrico, (ma l’esempio può essere applicato anche ad altre infrastrutture, ecc.) ha, oltre alla valenza economica per il privato che lo eserciterebbe, anche un importanza “strategica” per il Paese, magari nell’ottica di una diversificazione delle forniture energetiche, perché lo Stato (ma discorso analogo può essere fatto per Regioni, Provincie e Comuni nel caso di opere d’importanza locale) non dovrebbe contribuire al “Fondo di compensazione”?
    A mio avviso, una contribuzione pubblica inferiore al 25% potrebbe essere tollerabile e perfino utile se effettivamente l’opera ha una importanza anche per la collettività ma, sarebbe utile un approccio “open” ai processi decisionali ed agli atti in modo che tramite la pubblicità il cittadino/contribuente vede quello che viene fatto e deciso con i suoi “denari”.
    Ringraziandovi, per gli eventuali commenti, vi saluto
    Cordialmente

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén