Si ha contrasto di interessi fra un venditore e un compratore quando la convenienza a evadere dell’uno trova un ostacolo nella convenienza a rendere nota la transazione al fisco da parte dell’altro. Ecco alcuni esempi. Dalla situazione attuale di una convergenza di interessi a evadere alla piena deducibilità dal reddito imponibile del compratore della spesa sostenuta. L’ampiezza dell’intervallo di contrattazione tra i due attori dipende criticamente dalle rispettive aliquote dell’Irpef. Mentre in diversi casi lo Stato non incassa alcun gettito. Si ha contrasto di interessi fra un venditore e un compratore quando la convenienza a evadere delluno trova un ostacolo nella convenienza a rendere nota la transazione al fisco da parte dellaltro. Le modalità attraverso cui il sistema fiscale può generarlo possono essere analizzate mediante alcuni esempi. Situazione attuale: nessun contrasto, anzi convergenza, di interesse a evadere Consideriamo il caso di un venditore (si pensi a un artigiano o un libero professionista) che vende una sua prestazione del valore di 100 a un consumatore finale. Se a fronte di questa operazione sostiene costi per 20, il suo profitto, al lordo delle imposte, è pari a 80. Se la sua aliquota Irpef è il 40 per cento il venditore dovrà quindi pagare unimposta pari a 32 e gli resterà un profitto netto di 48. Detrazione al 19 per cento: interesse allevasione da parte del solo venditore; ancora nessun contrasto Ipotizziamo adesso che, dietro presentazione della ricevuta fiscale, il consumatore possa beneficiare di una detrazione fiscale (cioè una riduzione dellimposta pagata) e che, in analogia a quanto già oggi avviene per spese considerate meritevoli (sanitarie, di istruzione, per interessi passivi relativi al mutuo prima casa, eccetera), la detrazione sia pari al 19 per cento dellammontare della prestazione stessa. Deduzione integrale: contrasto di interessi Si potrebbe pensare che il riconoscimento di una detrazione del 19 per cento abbia un esito potenzialmente così insoddisfacente nel combattere levasione e, quindi, per le casse dello Stato, perché lincentivo offerto allacquirente è molto basso: non lo compensa neppure pienamente dellIva da pagare.
Sul prezzo della prestazione è dovuta lIva con laliquota ordinaria del 20 per cento. Poiché lIva è a carico del consumatore finale, il prezzo lordo della prestazione sale per lui a 100*(1+0,20)=120. Il consumatore sostiene quindi un onere di imposta (Iva) pari a 20.
Lo Stato incassa complessivamente 32+20=52.
In questa situazione levasione è conveniente per entrambi i soggetti coinvolti: accettando di pagare senza richiedere fattura (evasione totale), il compratore risparmia 20 di Iva e fa risparmiare al venditore 32 di Irpef.
Lo Stato non incassa alcun gettito.
Se loperazione fosse pienamente dichiarata a fini fiscali, il venditore dovrebbe pagare, come nel caso precedente, unIrpef di 32. Il consumatore pagherebbe unIva pari a 20 ma beneficerebbe di una minore Irpef di 19.
Lo Stato otterrebbe un gettito complessivo netto di 33.
Linteresse per il compratore a evadere limposta verrebbe praticamente annullato: il suo onere complessivo si ridurrebbe solo all1 per cento. Resterebbe alto quello del venditore.
Questultimo sarebbe allora incentivato a cercare un accordo con il compratore per non fare emergere fiscalmente loperazione, proponendogli uno sconto sul corrispettivo in cambio della sua complicità. Nel nostro esempio il massimo sconto che il venditore può concedere al compratore è pari a 32, lIrpef che non versa allo Stato. Se dovesse praticare uno sconto superiore a tale ammontare levasione non gli darebbe più alcuna convenienza.
In caso di accordo (collusione) fra le parti, il guadagno connesso allevasione (pari alla sottrazione dellintero gettito allo Stato e cioè 33) verrebbe ripartito fra compratore e venditore, e allo Stato non andrebbe alcun gettito.
Ipotizziamo allora che al compratore sia offerta la piena deducibilità della spesa sostenuta dal suo reddito imponibile.
Se loperazione fosse pienamente dichiarata a fini fiscali, il venditore dovrebbe pagare, come nel caso precedente, unIrpef di 32, mentre il consumatore pagherebbe unIva pari a 20 ma beneficerebbe, se ipotizziamo per lui unaliquota marginale Irpef del 25per cento, di una minore Irpef di 25. Il consumatore otterrebbe quindi un sussidio dallo Stato, a sostegno della sua “onestà”, pari a 25-20=5.
Il gettito complessivo netto per lo Stato sarebbe pari a (32-5)=27.
In questo caso il compratore avrebbe un sicuro interesse a ottenere la ricevuta dal compratore, che continuerebbe ad avere invece interesse a non rilasciarla (da qui il termine “contrasto di interessi”).
Anche in questo caso però si aprirebbe un ampio margine di contrattazione fra le parti. Il venditore può infatti proporre al compratore uno sconto sul prezzo della prestazione, che lo compensi per il sussidio fiscale a cui rinuncia non usufruendo della deduzione. Nellesempio, ciò avverrebbe con uno sconto almeno pari a 5. Se il compratore accettasse, il gettito per lo Stato sarebbe, anche in questa ipotesi, azzerato dallevasione.
Lo spazio per la possibile collusione tra le due parti è piuttosto ampio: lo sconto praticato dal venditore potrà andare dal minimo di 5 a un massimo di 32 (ammontare che, come nel caso precedente, rende indifferente il venditore tra evadere o meno, in quanto esattamente pari al suo debito Irpef).
Lampiezza dellintervallo di contrattazione dipende criticamente dalle aliquote dellIrpef del venditore e del consumatore. È ad esempio interessante notare che, nel caso in cui le aliquote marginali di imposta fossero invertite (40 per cento quella del compratore e 25 per cento quella del venditore) il riconoscimento di una deduzione integrale annullerebbe il gettito per lo Stato anche in caso di assenza di evasione. Limposta dovuta dal venditore sarebbe infatti pari a 20 (il 25 per cento di 80) e al compratore verrebbe riconosciuto un sussidio di identico ammontare (unIva da pagare di 20 meno una deduzione di 40, 20-40 = – 20).
Se poi, laliquota del venditore si ponesse a un livello inferiore al 25 per cento o quella del compratore a un livello superiore al 40 per cento, in assenza di evasione lo Stato registrerebbe addirittura un gettito negativo: il sussidio, pagato al compratore per la sua onestà, che è tanto più elevato quanto più alta è la sua aliquota marginale, non sarebbe compensato dalla somma dellIva e dellIrpef pagata dal venditore (che è tanto minore quanto minore è laliquota marginale del venditore stesso). In questo caso, paradossalmente, allo Stato converrebbe levasione fiscale.
Ovviamente il fatto che lincentivo riconosciuto al compratore sia tanto più elevato quanto più alta è la sua aliquota marginale andrebbe adeguatamente valutato sotto il profilo dellequità fiscale.
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Un bel giochino, non c'e' che dire. Quasi il dilemma del prigioniero. Peccato che questa dimostrazione perseguita fino in fondo abbia un corollario pratico paradossale e un po' insensato : quello di eliminare la contabilità obbligatoria per qualsiasi tipo di impresa.... e qualsiasi documento probatorio ovviamente. Certo, così si diminuirebbero sistematicamente i costi di conto... Invece il C.d.I funziona bene se solo l'aliquota marginale venisse rimodulata a dovere (e difatto un tempo la detrazione di certe prestazioni funziono' non poco, salvo che quando venne ridotta nessuno aveva alcun interesse ad esporla).
Le considerazioni degli autori secondo me hanno il difetto di trascurare una manifestazione molto diffusa di evasione da parte dei dettaglianti; mi riferisco alle ipotesi di mancato rilascio di scontrino/ricevuta fiscale a seguito di vendita di beni (o fornitura di servizi) per i quali il consumatore finale corrisponde comunque l'IVA. Senza criminalizzare la categoria, un esempio si ha quando, recandoci al bar, paghiamo 1,20 (1,00 + 20%) per il caffè (prezzo di listino già comprensivo di IVA con supposta aliquota del 20%). In questo (frequente) caso l'unico a guadagnarci è il furbo barista. Ora, in caso di vantaggi fiscali (siano essi deduzioni dall'imponibile o detrazioni dall'imposta), per il consumatore ci sarebbe senz'altro interesse a vincere le sue timidezze e pretendere lo scontrino; difficilmente in queste situazioni si intavolerebbe un accordo collusivo tra fornitore e consumatore come descritto nell'articolo e comunque, qualora un'intesa ci fosse, si avrebbe almeno una più equa ripartizione dell'evasione tra le parti. Inoltre, avrei piuttosto rimarcato l'inutilità di quelle situazioni tale conflitto c'è; sempre a titolo di esempio si pensi alle spese mediche.
Maria Cecilia Guerra e Alberto Zanardi il tema sembra di grande interesse visto il numero di commenti inviati. Nessuna soluzione è in sé perfetta nella lotta all'evasione fiscale e occorrono più modalità che operino sinergicamente (contrasto d'interessi, controlli fiscali e barriere burocratiche). In base a quale è la causa maggiore di evasione occorre impiegare una idonea modalità. Se il fattore prevalente dell'evasione è il numero di evasori totali allora un sacrificio a breve nelle entrate, impiegando il conflitto d'interessi, sarà compensato da futuri benefici, se invece l'evasione dipende maggiormente da false basse dichiarazioni occorre rafforzare controlli mirati. Il sistema americano descritto sembra avere un importante effetto quello di equiparare le responsabilità davanti il fisco dei lavoratori autonomi e imprese con quelle dei lavoratori dipendenti. La riduzione dell'evasione fiscale non è voluta dalla politica solo per problemi di consenso o anche per timori di ripercussioni negative sul sistema economico? Ridurre l'evasione significa lotta reale alla criminalità organizzata ed equità nella distribuzione dei servizi sociali basati su dichiarazione fiscale.