Dopo le riforme degli ultimi anni, il mercato del lavoro italiano è un sistema estremamente complesso, che prevede scarsi contributi previdenziali per i lavoratori più giovani, per i quali è oltretutto assai difficile il passaggio a contratti a tempo indeterminato. Occorre correggere questa situazione, con pochi interventi ben congegnati e a costo zero. Come fissare un salario minimo e un contributo previdenziale uniforme per tutto il mercato del lavoro, aumentare considerevolmente il periodo di prova e ridurre la lunghezza massima del contratto a tempo determinato.
Da ormai dieci anni il nostro mercato del lavoro è oggetto di riforme marginali volte ad aumentarne il grado di flessibilità. Cè una continuità in queste riforme, le cui tappe più importanti sono state il pacchetto Treu del 1997, la riforma del contratto a tempo determinato del 2001 e la legge Biagi del 2003: sono tutte volte a introdurre “al margine” (per i nuovi assunti) figure contrattuali che riducono la protezione della stabilità dellimpiego. La stessa legge Salvi del 2000, pur immettendo altre rigidità, ha permesso il ricorso al lavoro supplementare nellambito del part-time, contribuendo alla diffusione di una figura contrattuale “atipica”. Effetti transitori
. Questo processo riformatore è stato accompagnato da notevoli, e in parte insperati, incrementi delloccupazione, con la creazione di quasi due milioni di nuovi posti di lavoro, anche in condizioni congiunturali difficili. I due fenomeni la flessibilità al margine e la crescita delloccupazione pur in presenza di stagnazione economica possono essere messi in relazione tra di loro. Come discutiamo in un nostro lavoro recente , le riforme marginali di mercati del lavoro “rigidi” producono un “effetto luna di miele” sulloccupazione aggregata. Come tutte le lune di miele, si tratta però di fenomeni transitori e gli ultimi dati trimestrali sembrano suggerire che anche questa sia in via di esaurimento. I dati positivi del 2005 sulloccupazione sembrano attribuibili unicamente a un effetto statistico, il graduale rinnovo del campione Istat dopo la regolarizzazione degli immigrati.
ed eredità autentiche delle riforme parziali Il mercato del lavoro ereditato da questa serie di riforme ha tre caratteristiche. Primo, è un sistema estremamente complesso. Dopo la legge Biagi, esistono più di quaranta figure contrattuali specificate dal legislatore, con uninfinità di norme, ciascuna applicata a un segmento specifico e minoritario della forza lavoro. Lassunzione di un lavoratore in forma non standard richiede quasi sempre una consulenza del lavoro. Secondo, è un sistema di regole che non guarda al lungo periodo, in quanto i lavoratori impiegati con contratti diversi da quelli a tempo indeterminato, quasi sempre i più giovani, hanno scarsi contributi previdenziali in un sistema pensionistico per loro basato sul metodo contributivo. Di questo passo, accederanno a pensioni che non saranno superiori a un terzo della loro retribuzione media, spesso al di sotto della linea di povertà. Terzo, il mercato del lavoro è un sistema “duale”, in quanto per molti giovani lavoratori è assai difficile completare il “cursus honorum”, ossia il passaggio verso il contratto di lavoro a tempo indeterminato. E molti di questi giovani sono spesso “fuori dal diritto”, nel senso che non gli si vede riconosciuta alcuna delle tutele di legge. Cosa fare per correggere queste storture Riteniamo che il sistema esistente debba essere corretto in tre direzioni principali. Primo, si deve ridurre la complessità. Secondo, si devono garantire standard minimi a qualunque prestazione di lavoro. Terzo, si deve facilitare la transizione verso i contratti a tempo indeterminato. Crediamo sia possibile raggiungere i tre obiettivi con poche riforme ben congegnate e a costo zero.
Semplificare. Oggi abbiamo quarantadue figure contrattuali specificate dal legislatore. La tendenza è allaumento: in ogni legislatura se ne aggiungono di nuove. Lingegneria contrattuale non si fermerà mai. Il mercato inventerà sempre nuove forme contrattuali e, se si mantiene limpostazione attuale, il legislatore dovrà sempre rincorrere il mercato per “standardizzare” questi nuovi rapporti di lavoro. È una strada sbagliata e inefficace. La legge Biagi ha “tipizzato” cinque o sei figure contrattuali talmente specifiche e particolari che non si riescono nemmeno a vedere nei dati a due anni di distanza dalla loro introduzione. Insomma, la legge cè, ma non si vede.
Per offrire tutele vere ai lavoratori e insieme semplificare la normativa, meglio specificare standard minimi applicabili universalmente e lasciare che le parti sul mercato del lavoro elaborino qualsivoglia forma contrattuale, che sarà considerata lecita nella misura in cui risulta compatibile con gli standard minimi. Ciò non significa che si debbano cancellare tutte le figure contrattuali oggi in essere, ma soltanto interrompere un meccanismo che, ai livelli attuali, sta soltanto producendo fiumi di carta (come i fantomatici “progetti” definiti per poter mantenere in piedi le vecchie collaborazioni coordinate e continuative). Bisognerà poi intensificare il controllo amministrativo e sociale per assicurare che i minimi siano rispettati ovunque.
Standard minimi. Devono essere due: standard di salario e standard previdenziali. Occorre specificare un salario minimo, come proposto recentemente con Pietro Ichino, differenziato per età e forse anche per macroregioni, in modo tale che qualunque prestazione lavorativa effettuata in una data macroregione sia remunerata almeno al salario minimo, e tenere conto dei differenziali di produttività fra persone con e senza esperienza lavorativa e dei divari nel costo della vita fra Regioni. Salari minimi esistono in quasi tutti i paesi Ocse, inclusi Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Occorre poi specificare un contributo previdenziale uniforme per tutto il mercato del lavoro. Qualunque prestazione lavorativa deve avere la stessa copertura previdenziale, indipendentemente dal tipo di contratto di lavoro, il che significa uniformare le aliquote contributive. Questi standard previdenziali garantiranno unadeguata copertura previdenziale ai giovani di oggi.
Il cursus honorum. Per facilitare la transizione verso il contratto permanente a tempo indeterminato sono necessarie due riforme. Innanzitutto, si deve aumentare considerevolmente la durata del periodo di prova. Attualmente, è di tre mesi per operai e impiegati e sei mesi per il personale direttivo. Lo si deve portare fino a tre anni, assimilandolo, dopo i primi sei mesi, a un contratto a tempo determinato in quanto a tutela dellimpiego. Uniniziativa simile è stata recentemente presa in Germania dalla Grosse Koalition di Angela Merkel e proposta in Francia in un rapporto dellInsee . Secondo, si deve ridurre la durata massima del contratto a tempo determinato a due anni. Unimpresa che dovesse trasformare un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato non potrà fruire del periodo di prova. In questo modo, i contratti temporanei saranno indirizzati soltanto a prestazioni lavorative veramente a termine, mentre il periodo di prova lungo permetterà alle imprese di decidere con maggior flessibilità lassunzione a tempo indeterminato.
La premessa alle tre proposte avanzate è sostanzialmente condivisibile.
Sulla prima proposta la “esemplificazione”, la Cisl non può che essere daccordo. Quella che viene avanzata è la storica proposta della Cisl la quale ritiene che la legge debba, al massimo, delimitare il campo nel quale le parti sociali hanno la facoltà di determinare le regole pattizie per loro natura più flessibili e adattabili alle varie realtà.
Sulla proposta di uniformare il contributo previdenziale per tutti i tipi di rapporto di lavoro il consenso della Cisl è ovvio, essendo questa la proposta che la Cisl avanza da anni quale strumento per evitare fra le altre cose il dumping da costi sociali.
Più problematico per noi è lapproccio al salario minimo definito per legge. Ancor più problematico se il salario minimo, definito legislativamente, è anche differenziato per età, per regione, o altro. A nostro avviso, questo è terreno in cui le parti sociali debbono restare le uniche vere protagoniste. Come sempre nulla osterebbe da parte nostra ad un successivo recepimento legislativo di quanto rinvenuto dalle parti.
Sul terzo tema proposto dallarticolo, il ragionamento deve essere per forza di cose più complesso. Perché, anche in questo campo, linvasione della regolazione per legge dei rapporti di lavoro ha creato situazioni assai difficili da districare, soprattutto se si perpetua luso della legge per regolare materie così poco omogenee. A nostro avviso, non si possono regolare in modo uniforme situazioni tanto diverse. Sono infatti diversi i mercati di lavoro territoriali, sono diverse le figure professionali, sono diverse le organizzazioni del lavoro fra settori produttivi, fra piccole, medie e grandi imprese, fra pubblico e privato, fra imprese che lavorano nel mercato interno e imprese che operano nel mercato globalizzato. In ogni caso la direttrice di marcia proposta, ovvero quella di restringere larea dei contratti a tempo determinato alle prestazioni lavorative veramente a termine, alla luce delle esperienze maturate, è sicuramente condivisibile. Lallungamento del periodo di prova, non inaccettabile in termini di principio, dovrebbe essere invece modulato contrattualmente dalle parti sociali a seconda delle figure professionali e delle realtà produttive.
Le proposte avanzate da Boeri e Garibaldi sono interessanti e, a mio avviso, devono essere considerate nel programma dellUnione ai fini dellazione del futuro governo. Anzitutto una premessa: per avere buona occupazione non basta regolare bene il mercato del lavoro e la stessa flessibilità; occorre uno sviluppo di buona qualità. Sono convinto che Boeri e Garibaldi condividono questa premessa, ma è bene ribadirla sia per chi mitizza la flessibilità sia per chi al contrario pensa che basti cancellare la legge 30, la cosiddetta legge Biagi, perché il lavoro cresca e migliori. La legge 30 è sbagliata,perché si è concentrata sulle flessibilità “al margine”, per di più confuse, che hanno favorito qualche maggior assorbimento di manodopera, ma per altro verso hanno contribuito alla deludente performance della produttività del lavoro. Boeri e Garibaldi affermano che rispettando questi standard le parti saranno libere di scegliere qualunque forma contrattuale. Laffermazione può essere equivoca. Le differenze fra lavoro subordinato, autonomo, collaborazioni e partecipazioni non si eliminano. Ma certo con adeguate armonizzazioni la scelta fra le varie forme contrattuali è resa più trasparente e meno esposta ad abusi. Anche i problemi di qualificazione dei diversi tipi, che appassionano i giuristi ed aggravano la litigiosità giudiziale, sarebbero molto ridimensionati.
Nel merito ritengo necessarie alcune precisazioni.
Concordo che il sistema previsto dalla legge 30 vada semplificato: la moltiplicazione delle forme contrattuali in entrata non serve a favorire laccesso effettivo al lavoro né dei giovani né degli anziani; rischia di aumentare solo loccupazione di avvocati e consulenti. Non basta però la semplificazione normativa, cioè cancellare qualche forma o definirne meglio qualche altra ( come la legge 30 ha fatto sostituendo le co.co.co. con i contratti a progetto). Il provvedimento essenziale è larmonizzazione dei contributi sociali fra i vari tipi di contratto di lavoro, subordinato, autonomo, collaborazioni, a partecipazione. Questo basterebbe a correggere lanomalia tutta italiana, della proliferazione delle false collaborazioni, ma anche del lavoro falsamente autonomo, e ridurrebbe così non poco larea del lavori cd. non standard.
Proposte in questo senso sono presenti nel programma dellUnione. La loro attuazione, ancorché graduale, pone problemi non da poco, soprattutto di costo; perché occorrerà intervenire con consistenti fiscalizzazioni per non pregiudicare il livello delle pensioni di base dei lavoratori; e per garantire in particolare una adeguata copertura previdenziale ai giovani di oggi, come chiedono anche Boeri e Garibaldi.
Larmonizzazione di altre condizioni di lavoro pone problemi diversi. Personalmente sono favorevole a introdurre qualche forma di retribuzione minima, per i lavoratori subordinati. Darebbe una tutela di base a soggetti che il sindacato e il contratto collettivo fanno fatica a raggiungere. Un salario minimo bene configurato (compito non facile ma possibile) aiuterebbe lo stesso sindacato; si tratta di convincere di questo gli interessati ,cioè i sindacati italiani, che hanno sempre confidato solo nella contrattazione collettiva. Dubito peraltro che questo salario minimo possa valere automaticamente anche per i (diversissimi) lavori autonomi; potrebbe rivelarsi inutile o” forzato”. Se ben ricordo le esperienze straniere di salario minimo riguardano appunto solo il lavoro subordinato. Per il lavoro autonomo, quello vero, i salari del lavoro subordinato possono essere un mero indice di riferimento.
Unarmonizzazione fra i vari lavori è richiesta anche per altre condizioni di lavoro, tutele e diritti; ma non credo che neppure qui si possano immaginare parificazioni meccaniche e complete fra lavoro subordinato ,autonomo e collaborazioni. Nelle proposte avanzate dallUlivo e tradotte nel ddl cd ” Carta dei diritti”( AS.1872) si prevede una modulazione, non una parificazione totale, delle tutele. Alcune, di matrice costituzionale (diritti individuali fondamentali e sindacali, tutele nel caso di malattia, infortunio, maternità), sono comuni a tutte le forme di lavoro. Altre più specifiche sono modulate secondo il principio costituzionale (art. 35) della proporzionalità al bisogno di protezione e di regolazione delle diverse situazioni.
Nellambito del lavoro subordinato, con le semplificazioni proposte, le forme non standard si concentrerebbero in quattro: lavoro a termine, interinale, part- time e contratti formativi (ritengo che qui basterebbe un tipo solo di lavoro misto con formazione, vera e adeguata).
La forma più “difficile”è il lavoro a termine, perchè il suo abuso e anche il suo uso eccessivo,purtroppo frequente, comportano alti rischi di precarietà. Un lavoro a termine può introdurre i giovani al mercato del lavoro; ma se si reitera molte volte nel tempo provoca instabilità inaccettabili e pregiudica sia lautonomia dei giovani sia un uso efficiente delle loro risorse da parte delle stesse imprese.
Per facilitare la transizione verso il contratto a tempo indeterminato possono servire più misure. Una di queste può essere lallungamento del patto di prova, proposto anche in altri paesi, che permetterebbe alle aziende di decidere con più ponderazione lassunzione stabile. Ma credo che sia utile anche un sistema di incentivi- disincentivi;e di questi si parla nel programma dellUnione.
Gli incentivi (tipo credito di imposta) vanno riservati solo ai contratti a tempo indeterminato, perché questi devono essere la regola per imprese che puntino sulla qualità anche delle risorse umane. I contratti a termine devono servire solo per prestazioni a termine, che rispondano a bisogni specifici dellimpresa. Più che limitare le causali, fonte di litigiosità, credo utile stabilire dei tetti massimi all utilizzo di questi contratti (in via di contrattazione collettiva non di legge). E si possono stabilire costi aggiuntivi per chi ne fa uso eccessivo, in base al principio che i costi della precarietà non possono scaricarsi tutti sul sistema pubblico. Non dimentichiamo che unaltra riforma fondamentale per far funzionare bene il mercato del lavoro e rendere la flessibilità socialmente sostenibile è la previsione di un sistema di sostegni al reddito (cd.ammortizzatori) diffuso e combinato con politiche attive. Tutte le migliori esperienze europee, che Boeri e Garibaldi ben conoscono, insegnano che razionalizzare la normativa sul rapporto di lavoro è utile, ma non basta a garantire un funzionamento efficiente ed equilibrato del mercato del lavoro se questo non è fatto oggetto di politiche attive di formazione, di sostegno e di servizio.
Ringraziamo tutti i lettori per i loro commenti. Molti aspetti della nostra proposta devono essere ancora definiti nei dettagli e, quindi, faremo tesoro dei loro suggerimenti. Ci preme solo a chiarire un aspetto, di cui avremo modo di discutere più in dettaglio il 3 febbraio in un incontro a Milano: gli effetti del salario minimo sul lavoro nero. E’ certamente possibile, come hanno rimarcato molti lettori, che il salario minimo possa portare ad un travaso di occupati dal settore formale a quello informale.
Il livello del salario minimo dovrà essere perciò fissato in modo tale da minimizzare questo rischio, prevedendo anche misure che invitino le imprese ad assumere lavoratori in prossimità del salario minimo. Rimane il problema dei lavoratori che sono già oggi nel settore sommerso e che non potranno beneficiare delle nostre tutele minime. Questo è un problema che deve essere affrontato con altri strumenti. L’esperienza di altri paesi suggerisce comunque che l’introduzione di un salario minimo tende a far aumentare le retribuzioni anche nel settore informale. Quindi i lavoratori del settore informale potrebbero comunque trarre qualche vantaggio da questa misura.
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