La recente riforma delle diritto fallimentare non interviene sulle procedure speciali e lascia ampio spazio agli interventi della pubblica amministrazione nella gestione delle crisi d’impresa. L’amministrazione straordinaria sta diventando una procedura sempre più adottata non solo per le grandi, ma anche per le medie imprese. Una vera riforma che valorizzi il ruolo del mercato e la funzione di garanzia del giudice deve costringere la mano pubblica a fare un passo indietro e deve imporre una maggiore specializzazione dei giudici.

La riforma delle procedure concorsuali approvata dal Governo ha aperto un dibattito tra chi la giudica comunque un buon compromesso e chi invece vi vede ancora molte ombre e contraddizioni. In ogni caso, benché si proclami attenta alle esigenze dei mercati, la riforma è completamente assente su un aspetto cruciale per la crisi d’impresa che, non a caso, coinvolge rilevanti interessi politici ed economici.

Procedure speciali non solo per le grandi imprese

Nel nostro paese la crisi della grande impresa non viene affrontata utilizzando le norme della legge fallimentare, ma attraverso procedure speciali, come l’amministrazione straordinaria, caratterizzate da una pesante ingerenza della pubblica amministrazione (e cioè del potere politico). In queste procedure, la mano pubblica si sostituisce completamente alle funzioni tipiche dell’autorità giudiziaria, non solo attraverso la nomina dei commissari straordinari, ma anche esercitando la valutazione sulla ammissibilità dei piani di risanamento dell’impresa in crisi. L’eliminazione di qualsiasi ruolo di terzietà nella fase di accesso alla procedura corre il rischio di introdurre elementi oggettivamente inquinanti nel percorso di ristrutturazione dell’impresa. Sono, infatti, facilmente immaginabili le pressioni politiche che potranno attivarsi in queste occasioni e la scarsa capacità di resistenza dell’autorità amministrativa.
Questa prospettiva appare ancor più preoccupante alla luce del fatto che con alcuni provvedimenti, l’ultimo prende il nome dalla società Volareweb alla quale era “dedicato”, si sono progressivamente abbassati i requisiti per l’accesso all’amministrazione straordinaria, ampliando così il suo raggio d’azione ben al di là del teatro delle grandi imprese. In sostanza, oggi per le situazioni patologiche che coinvolgono anche imprese di medie dimensioni, il mercato, e soprattutto il giudice, vengono completamente esautorati a favore della mano pubblica.
Le procedure speciali sono solitamente giustificate con esigenze di un loro avvio celere e di elasticità degli strumenti a disposizione dei commissari straordinari per risolvere più agevolmente le crisi. Ma la nuova disciplina approvata dal Governo consente ora di soddisfare queste stesse esigenze nelle procedure ordinarie, utilizzando strumenti già sperimentati nell’ambito dell’amministrazione straordinaria. C’è allora da chiedersi per quale motivo una riforma che valorizza i meccanismi di mercato e il ruolo di garante del giudice, lasci ancora aperta la strada a una “amministrativizzazione” della gestione delle crisi, in aperto contrasto con i principi che, a parole, ispirano il disegno riformatore.

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In futuro, è probabile un aumento dei fenomeni di patologia dell’impresa. Non solo per le ben note condizioni di debolezza della nostra realtà produttiva, ma anche perché le scelte di regolamentazione si stanno indirizzando verso una disciplina dell’insolvenza non punitiva e attenta alle possibilità di conservazione e valorizzazione degli assetti imprenditoriali: un fallimento che non impedisca all’imprenditore, corretto, ma sfortunato, di intraprendere nuove iniziative.
In questo nuovo scenario, spostare l’equilibrio a favore delle procedure amministrate significa attribuire all’autorità politica un peso enorme e sproporzionato nella gestione delle crisi, pregiudicando l’affermazione di un ambiente realmente competitivo che non deve riguardare, come molti credono, solo la fase fisiologica dell’attività di impresa.
I canali di finanziamento dell’impresa corrono, infatti, il rischio di subire effetti distorsivi alla luce della prevedibilità, da parte dei finanziatori, di un possibile e più “docile” intervento amministrativo con strumenti che gli consentono, in definitiva, una riduzione del rischio. Inoltre, questi stessi strumenti, che pure sono funzionali a una positiva soluzione delle crisi (si pensi soltanto alla trasformazione di crediti in azioni), di fatto comportano una riallocazione dei diritti proprietari e una incidenza sugli assetti di governance, che meriterebbero, per la loro ovvia rilevanza, un controllo con connotati di maggiore terzietà.
Questo, ovviamente, non significa che quando la crisi investe imprese di rilevanti dimensioni dove oggettivamente vengono in gioco interessi sociali meritevoli di essere salvaguardati, non possa esserci un coinvolgimento dell’autorità pubblica (ad esempio esprimendo un parere motivato, alla luce di quegli interessi sui piani ristrutturazione), che però si può e si deve realizzare all’interno e in coerenza con le procedure ordinarie.

Specializzazione come fattore di efficienza

Per raggiungere questi obiettivi non basta cambiare le norme, ma bisogna anche creare le condizioni perché queste funzionino bene: la valorizzazione del ruolo di garanzia del giudice anche in contesti dove spesso si richiedono soluzioni tecniche sofisticate, ma rapide ed efficaci, presuppone giudici qualificati e in grado di assolvere con la dovuta professionalità e tempestività a un ruolo indubbiamente delicato. Ancora una volta, la specializzazione si rivela fattore di efficienza del mercato e di garanzia per una effettiva tutela ed equità nei rapporti economici.
Una riforma in grado di costringere la mano pubblica a fare un passo indietro e di contrastare gli interessi organizzati di magistrati e avvocati che hanno finora impedito qualsiasi ipotesi di specializzazione del giudice, è indubbiamente molto più difficile, ma forse proprio per questo rappresenterebbe una “vera” riforma.

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