Le simulazioni effettuate da  Tito Boeri e Agar Brugiavini indicano che una riforma delle pensioni più graduale, ma che partisse subito, sarebbe più equa e otterrebbe risparmi maggiori dell’ultima proposta governativa. Vincenzo Galasso si chiede perchè allora c’è questo rinvio: forse dipende dalla dislocazione territoriale delle pensioni di anzianità e del voto alla Lega, che si è battuta accanitamente per rinviare ogni intervento a dopo il 2008, e che sta chiedendo ulteriori ritocchi alla proposta forse per salvaguardare altre generazioni di lavoratori soprattutto in Lombardia.

Perché aspettare fino al 2008?

Malgrado le modifiche, anche sostanziali, apportate alla proposta di riforma delle pensioni durante la recente verifica nella maggioranza, il rinvio al 2008, con conseguente scalone, rimane.

Lo scalone resiste

Gli aumenti dell’età di pensionamento si avranno solo a partire dal 2008 e saranno poco graduali.
Questa scelta è criticabile per motivi di equità, in quanto crea un divario artificiale tra le prestazioni previdenziali ottenibili da persone con caratteristiche simili, divise solo dall’anno di pensionamento (vedi
Boeri-Brugiavini), e non conduce al raggiungimento dell’obiettivo dichiarato di ridurre la spesa pensionistica dello 0,7 per cento del Pil .
Sarebbe meglio, sia per motivi di equità che di contenimento della spesa, introdurre immediatamente incentivi al progressivo e graduale innalzamento dell’età di pensionamento.
Se lo scalino del 2008 è sopravvissuto alla verifica è grazie soprattutto al potere di veto che la Lega possiede de facto all’interno del Governo. Procrastinare l’innalzamento dell’età di pensionamento al 2008 garantisce una pensione di anzianità ad alcune generazioni di lavoratori, che erano già sfuggite alla scure della
riforma Dini.

Vincoli politici e ragioni economiche

Nelle due mappe qui sotto (i colori più scuri indicano i valori più alti dei diversi quintili della distribuzione) viene mostrata la dislocazione geografica del peso della Lega sul totale dei voti ricevuti dalla Casa delle Libertà al proporzionale nelle diverse regioni e il peso delle pensioni di anzianità corrisposte agli individui con età inferiore all’età necessaria per ottenere una pensione di vecchiaia sul totale delle pensioni.  Questi ultimi dati sono tratti dal quarto rapporto Brambilla sulla regionalizzazione del bilancio previdenziale italiano, allegato a questo intervento.

 


Com’è facile notare, le pensioni di anzianità sono fortemente concentrate nel bacino elettorale della Lega.
Quasi la metà delle pensioni di anzianità corrisposte a lavoratori “non vecchi” (ovvero con meno di 65 anni per gli uomini e di 60 anni per le donne) sono localizzate in Lombardia, Veneto e Piemonte. Le Regioni, insieme al Friuli Venezia Giulia, dove la Lega ottiene gran parte dei suoi voti e ha un peso decisivo sul risultato elettorale della Casa delle Libertà.
In particolare ben l’11% dei lavoratori dipendenti che raggiungerà i requisiti per ricevere una pensione di anzianità entro il 2007 risiede in Lombardia, la vera roccaforte della Lega (come mostra l’istogramma allegato). Nostre stime mostrano inoltre che – in base ai vecchi requisiti – un flusso paragonabile di lavoratori dipendenti potrebbe beneficiare delle pensioni anticipate in Lombardia tra il 2008 ed il 2010. Questo dato potrebbe in parte spiegare le nuove richieste di modifica alla proposta avanzate oggi dalla Lega, al fine di ridurre l’incremento dell’età pensionabile anche dopo il 2008.

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Ancora una volta dunque, i vincoli politici sovrastano le ragioni economiche e impongono squilibri nell’architettura delle riforme previdenziali.
Nel 1995, dalla concertazione con i sindacati nacque la troppo lunga transizione della riforma Dini.
Oggi, la Lega procrastina la riforma per proteggere la tipologia di pensioni prevalenti nel suo bacino elettorale.

Dallo scalone alla scaletta

Tito Boeri e Agar Brugiavini

Utilizzando il modello previsivo già descritto sul sito, abbiamo voluto simulare gli effetti della riforma previdenziale annunciata ieri dal Governo e oggi presentata alle parti sociali.

La riforma chiuderà nel 2008 uno dei canali di uscita verso le pensioni: quello rappresentato dalla combinazione di 57 anni di età e 35 anni di contributi. Verrà istituito un nuovo canale che richiede almeno 60 anni di età e 35 anni di contributi, portato nel 2010 a 61 anni di età e 35 di contributi e, nel 2014, e a 62 anni di età e 35 di contributi.
Il Governo sembrerebbe, inoltre, intenzionato a ritardare l’andata in pensione mediamente di sei mesi per tutti gli aventi diritto, chiudendo due delle quattro finestre verso le anzianità.

La simulazione

I risultati della simulazione, per i soli lavoratori dipendenti, sono riassunti nel grafico qui sotto.
Come si vede, la riforma (Tremonti 2) non riesce mai a raggiungere l’obiettivo dello 0,7 per cento del Pil di risparmi, anche quando si tenesse conto della chiusura di due delle quattro finestre (la linea tratteggiata).

Al tempo stesso, non si ha gradualità negli interventi. Fino al 2010 il profilo dei risparmi è lo stesso che si ha nel caso della riforma inizialmente contemplata dal Governo (Tremonti 1, linea continua). Poi le curve si allontanano, per riavvicinarsi solo nella fase in cui i risparmi calano fino a progressivamente scomparire (come già discusso sul sito, la riforma genera un aggravio di spesa nel lungo periodo).

Una prima valutazione

Sin qui le stime. Passiamo a una prima valutazione.
La riforma non sembra imporre maggiore gradualità agli interventi perché mantiene il “blocco” nel 2008 delle stesse coorti coinvolte dalla Tremonti 1.
Questo brusco inasprimento delle condizioni ci fa ritenere probabile che ci saranno maggiori uscite verso il pensionamento da qui al 2008, in virtù dell’effetto di annuncio della riforma. Come scriveva proprio oggi un nostro lettore, “dal 1° marzo entrerò in mobilità lunga fino al 31.12.2009, poiché dal 1°.1.2010 si aprirà la finestra per la pensione. Questo passo, oltre a risparmiarmi quasi sei anni e probabilmente quasi dieci (se passerà la riforma previdenziale), mi garantisce la salvaguardia da qualsiasi cambiamento possa intervenire nel frattempo”.

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La riforma stravolge l’impianto flessibile della riforma Dini: dal 2014 in poi si potrà andare in pensione solo dopo aver raggiunto i 62 anni di età. Con il principio responsabilizzante introdotto nel 1996, invece, si poteva farlo a partire dai 57 anni, seppur con importi ridotti.
Riteniamo preferibile stabilizzare la spesa dando libertà di scelta agli individui, piuttosto che imponendo d’imperio un ritardo nel pensionamento.

Infine, la chiusura indiscriminata di due su quattro finestre ha molto in comune con i correttivi iniqui e d’emergenza adottati in passato.

Di positivo c’è l’abbandono del progetto della decontribuzione per i nuovi assunti e l’introduzione del meccanismo del silenzio-assenso per il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. Ma senza incentivi fiscali adeguati potrebbe non bastare a far decollare la previdenza integrativa nel nostro paese.

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