La Finanziaria 2004 regala mille euro per ogni figlio successivo al primo. Un intervento pro-natalità, si è detto. Ma in una situazione di risorse scarse non cè alcun bisogno di una tantum costose per il bilancio pubblico e insignificanti per le famiglie, perché non incidono sui costi che si dovranno sostenere durante la crescita del bambino. Inoltre, forti dubbi sullequità del provvedimento nascono dallesclusione dallassegno dei figli di extracomunitari regolarmente residenti e dal finanziamento attraverso il fondo di disoccupazione. Non vi è nulla di male a sostenere la natalità in un paese, come il nostro, dove da tempo è scesa ben al di sotto del tasso di sostituzione e dove vi è una grande distanza tra il numero di figli che le persone dichiarano di volere e quelli che effettivamente hanno. Sostegni che aumentano i gradi di libertà sono anzi benvenuti. Pochi soldi una tantum È inefficace perché mille euro (o anche duemila, secondo un emendamento proposto da An) una tantum servono a fronteggiare parte dei costi iniziali che l’arrivo di un secondo figlio comporta. Costi peraltro inferiori a quelli sostenuti per il primo, perché il lettino, la carrozzina, parte dei vestiti, ci sono già e possono essere riciclati. Ma non servono a nulla rispetto ai costi di allevamento e crescita nel tempo. Sarebbe piuttosto necessaria una revisione complessiva di ciò che esiste (assegno al nucleo familiare per i soli lavoratori dipendenti a basso reddito, assegno per le famiglie numerose a basso reddito, assegno di maternità per le donne che non fruiscono di una indennità legata alla posizione lavorativa, detrazioni fiscali) per eliminare distorsioni più o meno perverse e possibilmente per omogeneizzare logiche, obiettivi, scale di equivalenza, criteri di valutazione del reddito e così via. Beneficiari e fonti di finanziamento Ma ci sono anche non trascurabili problemi di equità. Due altri aspetti mostrano inequivocabilmente l’iniquità della misura. Il primo riguarda l’esclusione dei bambini nati da genitori privi di cittadinanza italiana o comunitaria, anche se legalmente residenti (e paganti le tasse). Mentre si discute dell’estensione del diritto di voto amministrativo agli immigrati, si negano loro quei diritti sociali che, oltre alla coscienza civile, la legislazione europea impone siano estesi a tutti coloro che sono legalmente residenti. Il fatto che informalmente si sia data la giustificazione che gli immigrati (non comunitari) non hanno bisogno di incentivi perché fanno già molti (troppi?) figli, è da questo punto di vista illuminante. Ma c’è ancora un’altra iniquità, nascosta nelle pieghe del decreto che istituisce l’assegno. Si tratta del fondo destinato agli ammortizzatori sociali. Ovvero, mentre della riforma degli ammortizzatori sociali non si parla più, e con la legge sulla riforma del mercato del lavoro si aumenta la flessibilità, quindi le occasioni più o meno temporanee di disoccupazione, si utilizzano i fondi destinati a proteggerla per finanziare l’una tantum per chi mette al mondo un secondo figlio.
Non è quindi per il suo obiettivo esplicitamente pro-natalista che trovo fortemente criticabile la proposta di assegno una tantum di mille euro per ogni figlio successivo al primo, peraltro limitatamente ai nati nel 2003 e nel 2004. Piuttosto la trovo inefficace, e perciò inutilmente dispendiosa, con gravi problemi di iniquità nella individuazione sia dei beneficiari sia delle fonti di finanziamento.
Incoraggiare la nascita di un secondo o terzo figlio senza porsi il problema di come sostenere le famiglie rispetto ai costi di lunga durata, crescenti con l’età dei figli, è non solo insipiente, ma un po’ irresponsabile. Tanto più che ormai è ampiamente noto che nel nostro paese la povertà si concentra nelle famiglie che hanno due o più figli, tra i minori che hanno uno o più fratelli/sorelle.
Certo, anche in Francia esiste una misura di questo genere (estesa ai primogeniti). Ma è solo un elemento di un pacchetto che prevede assegni sostanziosi e continuativi a partire dal secondo figlio. Esattamente ciò che manca nel nostro paese.
In una situazione di risorse scarse non c’è bisogno di una ennesima una tantum costosa per il bilancio pubblico, ma insignificante per quello delle famiglie.
Le critiche che sono state avanzate si appuntano per lo più sul fatto che l’assegno sarebbe erogato senza vincoli di reddito, quindi di nuovo con scarsa efficacia redistributiva. La questione delle virtù e limiti dell’universalismo piuttosto che della selettività è aperta e controversa.
Al comma 7 dell’articolo 21 del decreto “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici” si dice infatti che”Per le finalità del presente articolo è autorizzata la spesa di 287 milioni di euro per l’anno 2003 e di 253 milioni di euro per l’anno 2004. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello Stato di previsione del ministero dell’Economia e delle finanze per lanno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando laccantonamento relativo al ministero del Lavoro e delle politiche sociali.”
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