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Le quote rosa non superano l’abilitazione

Tante donne fra gli studenti universitari e fra i dottori di ricerca, poche nella carriera accademica. Forse perché nelle commissioni dei concorsi la presenza femminile è scarsa? Servono dunque le quote rosa? Alla luce dei risultati dell’abilitazione scientifica nazionale sarebbero un passo falso.

L’UNIVERSITÀ DI GENERE

È ancora lunga la strada per la parità di genere all’università: le donne sono la maggioranza di laureati e dottori di ricerca (rispettivamente 58,9 e 53,3 per cento), ma rimangono in minoranza tra ricercatori, professori associati e ordinari (rispettivamente 45,6, 35 e 21,1 per cento). È un dato simile a quello dei principali partner europei, ma misura un potenziale spreco di risorse. (1)
Se il processo di convergenza continuasse al ritmo degli ultimi venticinque anni, bisognerebbe aspettare il 2046 per avere la metà di docenti donne e addirittura il 2073 per ottenere lo stesso risultato tra gli ordinari.
Un recente rapporto della Commissione europea indica, fra le misure da adottare per migliorare la situazione, una maggiore presenza femminile nelle commissioni giudicatrici. (2) In alcuni paesi, come la Spagna, è già prevista per legge la presenza di almeno il 40 per cento di donne. Quali sarebbero gli effetti delle quote rosa in Italia? Riuscirebbero a migliorare le prospettive di carriera delle ricercatrici? Si tratta di domande non banali, anche perché, in caso di risposta affermativa, alle docenti verrebbe richiesto di dedicare una parte importante del loro tempo alla valutazione a scapito della ricerca e dell’insegnamento.
In teoria, ci sono buone ragioni per credere che commissioni in cui sono rappresentati entrambi i generi possano favorire le candidate. Ma l’evidenza empirica disponibile è contradditoria: in alcuni casi, i commissari sostengono effettivamente i candidati del loro genere; in altri, succede esattamente l’opposto. (3)

L’IMPORTANZA DI ESSERE COMMISSARIE

In un recente lavoro, per fare luce sulla questione, abbiamo utilizzato i risultati dell’abilitazione scientifica nazionale (Asn). (4) Grazie alla sua trasparenza, all’estrazione casuale dei commissari e alla presenza di docenti che insegnano all’estero, l’Asn dovrebbe ridurre l’importanza di fattori non legati al merito accademico e quindi garantire pari opportunità di genere. Come già riportato su queste pagine (De Paola, Ponzo e Scoppa (2014). “Chi sale in cattedra,” lavoce.info, 11 marzo), i primi risultati mostrano un netto miglioramento nel tasso di promozione relativo delle candidate donna rispetto a quanto avveniva nei concorsi locali.
Analizzando circa 66mila domande di candidatura, 56mila giudizi collegiali e 260mila giudizi individuali distribuiti in più di 180 settori concorsuali, abbiamo anzitutto misurato le differenze di genere nei tassi di promozione e, in secondo luogo, verificato come cambiano al variare del numero di donne in commissione. Abbiamo anche considerato il fatto che il regolamento dell’Asn, dopo il sorteggio delle commissioni e la pubblicazione dei criteri di valutazione, consente di ritirare le domande di candidatura. Non è un aspetto secondario, dato che le donne mostrano un tasso di ritiro maggiore. (5)
In media, le donne hanno una probabilità leggermente inferiore di essere promosse rispetto agli uomini: 2,5 punti percentuali, che si riducono a 0,5 quando si tiene conto di una serie di caratteristiche individuali osservabili (fra le quali gli indici bibliometrici) e della difficoltà specifica di ciascun settore concorsuale. La differenza è più marcata negli esami per professore associato e nelle discipline sociali e umanistiche.
Come varia questo leggero svantaggio di genere al variare del numero di commissari donne? Per rispondere con precisione è necessario tener conto del fatto che i settori con più docenti donne potrebbero essere diversi dagli altri rispetto a caratteristiche non osservabili di candidati di genere diverso. La nostra strategia empirica si basa allora sul confronto tra commissioni statisticamente identiche (e quindi con lo stesso numero di commissari al femminile sorteggiabili), ma che differiscono per avere una donna sorteggiata in più. Le stime così ottenute mostrano che, quando la commissione è composta anche da donne, la probabilità relativa di promozione delle candidate si riduce (e diventa significativamente inferiore a quella dei candidati): un commissario donna in più diminuisce di circa 2 punti percentuali la probabilità delle candidate di ottenere l’abilitazione rispetto a quella dei candidati.

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SE LE DONNE PROMUOVONO GLI UOMINI

Per comprendere meglio questo risultato, per certi versi sorprendente, abbiamo analizzato i 280mila giudizi individuali dei commissari. I commissari donne non sono meno propensi a votare per la promozione delle candidate e quindi il loro svantaggio dipende da un diverso metro di giudizio che adotta tutta la commissione quando include commissari di entrambi i generi.
Non è facile comprendere perché la presenza di un commissario donna influenzi il comportamento dei commissari uomini. Quello che invece è chiaro è che, almeno in questo ambito, le quote rosa nelle commissioni non sembrano una buona idea. Secondo le nostre stime, quote di genere del 40 per cento impedirebbero a circa 500 ricercatrici di ottenere l’abilitazione. E avrebbero il pessimo risultato di distogliere da ricerca e didattica i non molti professori ordinari di genere femminile, la cui probabilità di essere sorteggiati come commissari diventerebbe circa tre volte quella dei loro colleghi uomini.
La parità di genere, come ricordato anche su queste pagine (Bianco, Lotti e Zizza (2013). “Donne nell’economia. Perché la crescita sia inarrestabile”lavoce.info, 3 dicembre), non è solo una questione di equità, ma anche di progresso economico. Negli anni recenti, l’Italia ha registrato qualche miglioramento, ma il processo di convergenza è lento e, senza politiche adeguate, si annuncia pieno di incognite e distorsioni. Istituire quote di genere nelle commissioni dei concorsi universitari sarebbe quasi sicuramente un passo falso.

(1) Si veda il recente Rapporto Anvur sullo stato del sistema universitario e della ricerca.
(2) Si veda Commissione europea (2013) She figures 2012. Gender in research and innovation.
(3) Si veda Broder (1993). “Review of NSF Economics Proposals: Gender and Institutional Patterns,” American Economic Review, 83(4), pp. 964 – 970; Bagues e Esteve-Volart (2010). “Can Gender Parity Break the Glass Ceiling? Evidence from a Repeated Randomized Experiment,” Review of Economic Studies, Vol. 77(4), pp. 1301-1328; Bagues e Zinovyeva (2010). “Does Gender Matter for Academic Promotion? Evidence from a Randomized Natural Experiment,” FEDEA working paper; Abrevaya e Hamermesh (2012). “Charity and Favoritism in the Field: Are Female Economists Nicer (To Each Other)?,” The Review of Economics and Statistics, 94(1), pp. 202-207; De Paola e Scoppa (2014). “Gender Discrimination and Evaluators’ Gender: Evidence from the Italian Academia,” Economica, in corso di pubblicazione.
(4) Si veda Bagues, Sylos-Labini e Zinovyeva (2014). “Do gender quotas pass the test? Evidence from academic evaluations in Italy,” LEM Working paper n. 14.
(5) Si tratta di un risultato simile a quello nei concorsi universitari francesi da Bosquet, Combes e Garcia-Peñalosa (2013). “Gender and Competition: Evidence from Academic Promotions in France,” Sciences Po Economics Discussion Papers 17.

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Il Punto

  1. AM

    Non sono particolarmente favorevole alle quote rosa, ma penso che, in caso di applicazione generalizzata, si dovrebbe garantire la medesima tutela anche agli uomini negli ambiti in cui essi sono in netta minoranza e quindi parlare anche di “quote azzurre”. Vorrei ricordare ad esempio, con riferimento all’Italia, quanto avviene nei tribunali a proposito di separazioni e divorzi. Tra i magistrati che si occupano di queste cause prevalgono nettamente le donne e i risultati si vedono. In genere gli uomini ne escono fortemente penalizzati.

  2. Marco Trento

    Ci sono meno ricercatrici che ricercatori perché molte donne a un certo punto fanno figli. Ovvio. E li fanno tardi, perché il dottorato finisce ormai a 30-32 anni. Accettiamo le scelte individuali delle donne. Se non vogliono fare carriera per dedicarsi alla famiglia, che sia così. Non servono quote rosa e femminismo radicale. Dove sta scritto che le donne devono essere il 50% in tutti i settori? Libertà di scelta, non giacobinismo femminista.

    • Mauro Sylos Labini

      Marco, sono d’accordo con te. Non è scritto da nessuna parte che debbano essere il 50%. Se però molte donne investono tempo e risorse per ottenere un dottorato di ricerca, il fatto che restino in minoranza fra i docenti può essere un segnale di spreco di risorse.

  3. daniela

    Trovo bizzarre alcune ipotesi di fondo. Perché mai un commissario dovrebbe privilegiare il proprio genere? E’ così difficile pensare che si può valutare un candidato rispetto alle competenze mostrate piuttosto che rispetto al genere di appartenenza? Ed è così difficile immaginare che una commissione mista produce un metro di giudizio differente (magari più corretto) rispetto ad un commissione monogenere? Tutto ciò, unito alle conclusioni, fa riflettere su questo articolo un pò troppo pieno di stereotipi.

    • bobcar

      Comunque la sua prima affermazione è in contraddizione con la seconda.

    • Mauro Sylos Labini

      Daniela, grazie del tuo commento. Provo a rispondere alle tue domande: “Perché mai un commissario dovrebbe privilegiare il proprio genere?” Una delle ragioni per cui un commissario potrebbe privilegiare candidati del proprio genere è che hanno interessi di ricerca simili ai suoi. “E’ così difficile pensare che si può valutare un candidato rispetto alle competenze mostrate piuttosto che rispetto al genere di appartenenza?” Non è affatto difficile. Anzi è auspicabile. “Ed è così difficile immaginare che una commissione mista produce un metro di giudizio differente (magari più corretto) rispetto ad un commissione monogenere?” Non siamo in grado di sapere se il metro di giudizio è “migliore” o “peggiore”. Per rispondere avremo bisogno di più dati. Per ora sappiamo che le commissioni miste sono relativamente più severe con le donne.

    • Manuel Bagues

      Daniela,

      Thank you for your comment. The post discusses an empirical article where we compare the evaluations received by women in different committees. We observe that female candidates tend to obtain better evaluations when, as a result of the random lottery that determines committee composition, all evaluators in the committee are male. It is not clear why this happens but, based on the empirical evidence, we argue that we should be careful about introducing gender quotas in these committees: we might punish both senior female professors (who under a quota system have to serve disproportionately in committees) and female candidates (who if anything do worse).

  4. Luca

    “I commissari donne non sono meno propensi a votare per la promozione delle candidate e quindi il loro svantaggio dipende da un diverso metro di giudizio che adotta tutta la commissione”. Ma quale sarebbe questo diverso metro di giudizio che sfavorirebbe le donne nella commissione mista? Mi pare che il punto dirimente sia proprio questo e sarebbe interessante conoscerlo e capire perché il metro di giudizio muta e su che basi.

    • Mauro Sylos Labini

      Luca, grazie del tuo commento. Per ora non siamo in grado di dare una risposta precisa alla tua domanda. Stiamo studiando i testi dei giudizi sperando di poter estrarre informazioni utili. Ogni suggerimento è ovviamente benvenuto.

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