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Così i social network portano l’euro in prima pagina

L’uscita dall’euro è diventato un tema rilevante della campagna elettorale grazie a un uso sapiente dei social network, per poi approdare anche sui media tradizionali. Le difficoltà di risposta di chi è a favore della moneta unica e lo sforzo di spostare la discussione su altri argomenti.

COME UN EVENTO DIVENTA NOTIZIA

Nel campo della scienza delle comunicazioni si è soliti dire che un albero caduto nel mezzo di una foresta deserta è come se non fosse mai caduto. Sotto questo profilo, i mass media osservano – per conto di lettori e ascoltatori – ciò che accade nella foresta degli eventi e decidono di scriverne o parlarne, se per l’appunto l’albero caduto è “degno di notizia” (newsworthy).
Temi economici come la disoccupazione e l’inflazione non necessitano dell’intervento dei media per entrare tra le priorità dei cittadini, che possono farsene un’idea attraverso la loro esperienza diretta. Un discorso diverso vale invece per i temi politici e di politica estera: banalmente, non tutti vivono accanto a Montecitorio, o in ambasciata. Le discussioni teoriche intorno a temi economici si collocano invece in una posizione intermedia, in quanto si basano su eventi in parte conoscibili direttamente da parte del cittadino, ma anche su argomentazioni tecniche che non necessariamente entrano nella “top 10” dei discorsi da bar. Almeno per ora.
La crescita dell’interesse dei cittadini a proposito dei meriti e delle colpe dell’euro va dunque inserita in questo ambito intermedio, tenendo però presente le caratteristiche odierne del meccanismo di formazione dell’opinione pubblica, cui contribuiscono in modo forte i social network. I discorsi pubblici lì sviluppati finiscono poi per approdare anche sui media tradizionali, coinvolgendo altri strati della popolazione che invece non usano – o usano poco – i social network.
A parte il sito di video youtube.com, i principali social network usati in Italia sono Facebook e Twitter: il primo ha una penetrazione di molto maggiore rispetto al secondo, ma Twitter ha un vantaggio comparato che può essere sintetizzato così: “su Facebook chiacchieri con i tuoi compagni di scuola, su Twitter con quelli che avresti voluto avere come compagni di scuola”. Per ragioni che non sto a indagare qui, ma che certamente comprendono la brevità dei messaggi (un massimo di 140 caratteri), e la chiarezza sul chi legge cosa (leggo i tweet di chi seguo, chi mi segue legge i miei tweet), Twitter è di fatto il social network in cui sono presenti in maniera sistematica politici e giornalisti: ciò non vale solo per gli Usa, ma anche per il nostro paese, perlomeno dalla fine del 2011. La mia argomentazione è presto detta: un “innovatore politico” può usare efficacemente Twitter per creare interesse e consenso intorno alla sua idea, coinvolgendo politici e giornalisti nelle conversazioni, con il fine ultimo di portare questa idea anche sui media tradizionali.

L’EURO SUI SOCIAL NETWORK

Ma torniamo al tema dell’euro. Dal lato di chi è favorevole all’uscita unilaterale dell’Italia dalla moneta unica, si contrappongono due posizioni diverse, inerenti il modo in cui arrivare alla decisione. Dopo alcuni tentennamenti iniziali, la piattaforma programmatica del Movimento 5 Stelle affida la scelta a un referendum consultivo, peraltro caratterizzato da contorni di legittimità costituzionale piuttosto vaghi. Dall’altro lato, la Lega Nord-Padania e Fratelli d’Italia sono favorevoli a un’uscita per decreto, da effettuarsi a mercati chiusi, con il fine evidente di minimizzare i rischi di stabilità finanziaria per il sistema.
Ebbene, mentre il Movimento 5 Stelle ruota attorno al blog di Beppe Grillo, utilizza in maniera ampia Facebook e conta sull’atteggiamento benevolo de Il Fatto Quotidiano, la posizione favorevole a un “eurexit a mercati chiusi” ha acquistato consensi crescenti grazie a un uso sapiente di Twitter come cassa di risonanza rispetto a contenuti mediatici che solo in piccola parte provengono dai media tradizionali.
I responsabili del successo mediatico di questa posizione nell’ambito italiano sono principalmente due: Alberto Bagnai, professore associato di politica economica a Pescara, e Claudio Borghi, editorialista de Il Giornale, docente a contratto all’Università Cattolica, e oggi candidato alle elezioni europee per la Lega Nord. Borghi può contare sulla sua posizione di editorialista, ma a essa affianca un’attività intensa di discussione su Twitter. Tale attività trova anche supporto nell’utilizzo sistematico del sito storify, il quale permette di creare “storie” costruite attorno ai tweet prescelti dall’autore dello storify stesso. Si tratta di un modo intelligente di creare contenuti permanenti a basso costo, in quanto si utilizzano i tweet già mandati da se stessi e dai propri interlocutori. Non solo: il contenuto dello storify, che chiaramente riflette la posizione di chi lo ha preparato, può essere utilizzato e riutilizzato in conversazioni successive sui social network, aumentando la forza delle proprie argomentazioni.
Gli strumenti utilizzati da Bagnai sono diversi, e certamente funzione del suo maggior peso accademico rispetto a Borghi: Bagnai ha scritto un libro sull’opportunità di uscire dall’euro intitolato Il tramonto dell’euro e cura il blog di economia “Goofynomics”, incentrato sullo stesso tema.
L’utilizzo sapiente dei social network da parte di Borghi e Bagnai, finalizzato a interagire con altri utenti e a diffondere contenuti esterni, fa leva in maniera particolare sulla presenza sistematica di giornalisti e politici su Twitter, “i compagni di scuola che avresti voluto avere”. Il punto di partenza è che giornalisti e politici con competenze economiche non sono la maggioranza, ed è ancora più piccolo il sottogruppo di chi conosce l’economia monetaria internazionale e la teoria delle aree valutarie ottimali: Borghi e Bagnai hanno dunque saputo ricavarsi spazi sempre maggiori sui media tradizionali, sfruttando la fame di contenuti giornalistici nuovi, la forza di un messaggio mediaticamente facile, che prende l’euro a capro espiatorio di tutti i mali italici, e una certa credulità di politici e giornalisti, per cui un grafico è spesso sufficiente per dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra il fenomeno X e il fenomeno Y.
In questi ultimi mesi Borghi e Bagnai sono dunque riusciti a diffondere il loro pensiero sui quotidiani, sui settimanali e nei talk show politici. L’effetto persuasivo tocca anche la sfera politica vera e propria: nella fattispecie il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, è stato convinto da Borghi ad abbracciare una piattaforma politica totalmente incentrata sulla necessità per l’Italia di uscire dall’euro.

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CHI FISSA L’AGENDA

E come si pongono nel dibattito mediatico i cosiddetti “pro euro”, cioè coloro che sono favorevoli alla permanenza dell’Italia nella moneta unica? Per fornire un giudizio, bisogna partire dal realistico presupposto che un’idea relativamente nuova nel dibattito politico-economico – come eurexit – se ben supportata da strategie comunicative sensate beneficia del vantaggio della novità: ciò implica che i critici dell’opzione eurexit e dei cosiddetti “no euro” debbano agire di rimessa, in quanto reagiscono alla crescente popolarità dell’idea politica nuova – e consolante – di eurexit. A parte ciò, un problema strutturale della posizione pro euro è che ogni spiegazione della crisi italiana che faccia riferimento a una molteplicitàdi cause è più difficile da raccontare rispetto a una spiegazione monotematica, per cui la perdita della sovranità monetaria e delle svalutazioni competitive risulta essere l’unica – o la principale – causa della nostra crisi.
Il rischio principale che incontra la posizione pro euro è però di carattere strategico e riguarda la scelta dell’argomento stesso di discussione. Se da una parte è cosa buona e giusta controbattere alle argomentazioni – talora ragionevoli, molte altre volte semplicistiche – di chi è a favore di eurexit, dall’altro lato la scelta di controbattere implica che l’argomento di discussione è stato in fin dei conti scelto dall’interlocutore che ha iniziato il discorso: l’agenda, nel senso dell’insieme dei temi che sono o diventano salienti, è appannaggio di costui, il quale può spostare il dibattito su temi a priori più favorevoli alla sua posizione.
Il discorso è particolarmente rilevante durante una campagna elettorale: chi è favore della moneta unica dovrebbe compiere lo sforzo di spostare il dibattito su altri temi, ad esempio sull’opportunità di accelerare il processo di unificazione politica dell’Europa e di trasformazione dell’Unione Europea da confederazione a federazione, piuttosto che intervenire sempre e solo di rimessa sul tema dell’euro. Come ben illustrato dal linguista George Lakoff, se ti invito a “non pensare all’elefante”, sarà molto difficile non pensare all’elefante. Vale anche per “l’euro è brutto”.

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40 commenti

  1. oscar blauman

    chi è favore della moneta unica dovrebbe compiere lo sforzo di spostare il dibattito su altri temi, ad esempio sull’opportunità di accelerare il processo di unificazione politica dell’Europa e di trasformazione dell’Unione Europea da confederazione a federazione

    a me sembra che questo sia veramente un “altro tema”, uscire dall’euro e’ solo un modo breve per sostenere il riacquisto della sovranita’ monetaria, indispensabile strumento di politica economica, forse tecnicamente raggiungibile in piu’ modi, importante e’ prima di tutto riconoscere il grande danno arrecato fin’ora dall’euro.

    • Certo che se Draghi avrebbe fatto la politica monetaria come quella della Fed, tutto il caos creato dall’euro non sarebbe accaduto, ci auguriamo quindi una vittoria dei partiti non euro, almeno per fare cambiare politica monetaria a Draghi.

      • Maurizio Cocucci

        La sua speranza avrebbe fondamento se il Parlamento Europeo avesse competenza sulla Bce, ma sa che non è così. La banca centrale è del tutto indipendente dai governi e cambiare tale condizione coinvolge il Consiglio della Ue, ovvero i capi di Stato o di governo. Il Parlamento Europeo non ha nemmeno le prerogative di ogni altro parlamento e cioè del potere legislativo, figuriamoci di discutere del fiscal compact o addirittura dell’uscita dall’euro o di una sua dissoluzione come molti candidati vanno promettendo. Chi verrà eletto andrà a Bruxelles ad approvare o meno le proposte di legge della Commissione Europea.

        • Tutti conoscono i poteri del parlamento, in un precedente commento avevo affermato che deve aumentare il potere del parlamento europeo a scapito di quello della commissione, in ogni caso la vittoria, se vi sarà, dei partiti anti-euro è politica, non si potrà tenere conto nemmeno negli equilibri interni di take risultato. Oggi è scesa la doccia fredda sulla politica di Renzi, il Pil negativo, si dovrà fare quindi una manovra sul l’entrate per correggere il bilancio che era stato impostato su un incremento srl Pil dell’0,8%.
          Solo la Spagna ha avuto un aumento del Pil, ricordo che la Spagna ha incassato 50 miliardi di liquidità senza condizioni, la sua economia e’ ripartita e oggi ne raccoglie i frutti. Il problema dell’Italia è il credito delle imprese, se le banche non ritornano al loro vecchio mestiere l’ economia italiana scende sempre di più, il Pil anche quest’anno sarà come quello del 2013, avremo quindi un rapporto debito/Pil oltre al 150%.
          Grazie a Draghi e Monti, Letta e Renzi se non da il colpo di frusta che tutti vi aspettiamo.

  2. Zag(c)

    E’ chiaro che si è presa ad esempio, come economisti contrari o scettici all’euro, gente con posizioni e ragionamenti a dir poco risibili. E’ gioco facile così. Il confronto invece andrebbe fatto, se si è intellettualmente onesti, con economisti di chiara fama a livello mondiale scettici e che dal punto di vista della teorica economica mettono in discussione sia l’impalcatura dell’Euro. Detti economisti all’inizio avevano indicato ciò che poi è di fronte a tutti rischi e pericoli, ma non prendendo la sfera di cristallo, bensì prendendo spunti dai fondamenti dell’economia classica. Con questi è controproducente, me ne rendo conto, che si abbia un dibattito franco sulla base non di presupposti o pregiudizi, per partito preso, ma sulla base di nozioni scientifiche. Vogliamo fare una prova?

  3. Claudio M.

    Non si capisce come il sogno di un’unione politica sia contrapposto all’uscita di scena dell’euro. Essere anti-euro non vuol dire essere anti europei, vuol dire solamente vedere un altro cammino per l’Europa, più politico e meno necessitato.

  4. Maurizio Cocucci

    Interessante articolo che mette in evidenza la portata persuasiva dei social network sulla massa, massa che più facilmente è portata passivamente a credere a poche righe scritte che a documentarsi di persona. Sarebbe infatti facile smontare molte disinformazioni che circolano, dedicando una piccola parte del tempo speso a leggere, scrivere e commentare sui social network le diverse posizioni andando a verificare se quanto asserito sia credibile o meno. Ad esempio sarebbe sufficiente leggere l’articolo 75 della Costituzione Italiana per appurare che la proposta di affidare ad un referendum popolare la scelta se rimanere nell’eurozona o meno non sia attuabile e che la Corte Costituzionale non potrà mai dare il consenso a questo quesito. Oppure che l’uscita dall’euro di un Paese non può essere discusso dal Parlamento Europeo in quanto non è materia di sua competenza, quindi tutte le promesse presentate dai candidati circa un ritorno alla moneta nazionale in caso di vittoria è solo una falsa promessa. L’iter di una eventuale uscita dall’eurozona o anche dalla Ue è disciplinato dalle norme sui trattati internazionali, norme che prevedono per l’organo esecutivo, ovvero il governo, la sola fase di negoziazione a cui seguirà quella di ratifica da parte del Presidente della Repubblica previo, in casi come questi, il consenso del Parlamento (art.80 della Costituzione). Ergo l’uscita dall’euro dovrà seguire una fase elettorale nazionale che porti in Parlamento una maggioranza votata a questo proposito e il processo non potrà essere segreto, se non nella fase di negoziazione da parte del governo con i partner europei. Al governo potranno competere uno o più decreti tesi a limitare movimenti di capitale in uscita per evitare crisi finanziarie. In ogni caso la fase di uscita non si potrà espletare nell’arco di un fine settimana come ipotizzato da alcuni sostenitori del ritorno ad una moneta nazionale. Basterebbe insomma informarsi autonomamente e con approccio critico anche verso chi sostiene tesi condivisibili per accertare l’attendibilità di ciò che sui social network viene riportato, ma per molti è più facile farsi raggirare passivamente. ‘Lo dice Facebook’.

  5. marco

    “…Credulità di politici e giornalisti, ….Borghi e Bagnai sono dunque riusciti a diffondere il loro pensiero sui quotidiani, sui settimanali e nei talk show politici…” Meglio loro due dei tanti economisti accademici che hanno difeso l’euro a spada tratta!
    Fortuna che qualcuno in Italia si sia dissociato dal coro degli euro-entusiasti e sostenga le stesse tesi dei grandi economisti anglosassoni. Merita più rispetto di chi ha fatto parte del coro pro-euro per anni!

  6. Nicola Branca

    Sminuire Bagnai dicendo che semplifica, sostenendo le virtù salvifiche della semplice uscita dall’Euro, a mio avviso non è onesto.
    1) Ha scritto un libro di circa 400 pagine
    2) Ha un blog che è un monumento, che partendo da zero, in 3 anni è diventato il secondo in Italia dopo il sole 24 ore.
    3) Come lui stesso dice, non ha inventato niente. Fa continuo riferimento a pubblicazioni di rilevanza primaria. Anche io, che nulla ho a che fare come formazione con l’economia, ho accumulato un discreto archivio di pubblicazioni economiche anche a firma di numerosi premi Nobel.
    È un piacere leggerlo quando è in forma, anche per la sua eclettica cultura.
    Poi usa pure Twitter.
    Ma per approfondirne la conoscenza bisogna leggere i punti 1 e 2.
    Nicobra

    • rougecity rougecity

      “Ha un blog che è un monumento, che partendo da zero, in 3 anni è diventato il secondo in Italia dopo il sole 24 ore”. Penso sia una frase da sottolineare.

    • giulioPolemico

      “1) Ha scritto un libro di circa 400 pagine”
      Se vuole ci sono libri di astrologia e sulla fine del mondo nel 2012, anche con 500 pagine.

      “2) Ha un blog che è un monumento, che partendo da zero, in 3 anni è diventato il secondo in Italia dopo il sole 24 ore.”

      Che il blog sia esteticamente curato e apprezzabile, può anche essere. Bisogna vedere se quello che c’è scritto dentro è sensato.
      Il Bagnai ha trovato il modo di fare soldi con l’ingenuità e la carenza culturale degli italiani.

      • Nicola Branca

        Mi ricorda Maccio Capatonda anche nel suo nickname.
        Se deve contestare qualcosa approfondisca.
        Rispondere “bisogna vedere che c’è scritto”, “ha trovato il modo di fare soldi”, senza contestare nessuna affermazione, senza portare non dico una prova dell’arricchimento conseguito, ma almeno un pettegolezzo, denota pochezza.

        Nicobra

  7. Jack Sayan

    Come strumento aggiuntivo segnalerei i giornali del periodo della lira, gli archivi sono in rete.

  8. scutmai

    Lei sostiene che Bagnai & Co. spostano l’attenzione ma si concentra sulla loro abilità ad usare i social networks; come se la crisi greca ed il relativo aumento della mortalità infantile fosse opera di chi usa Twitter invece che delle politiche scellerate messe in campo dai difensori della moneta unica; come se il video ritwittato di Monti in cui in inglese sostiene di aver distrutto la domanda interna intenzionalmente fosse un magheggio di smanettoni 2.0 piuttosto che un comportamento ai limiti del crimine. E per la cronaca,nello Uk che vede primo nei sondaggi l’Ukip di Farage, di Alberto Bagnai e Claudio Borghi nemmeno sanno l’esistenza.Quindi?
    Vuoi vedere che i social non centrano nulla?

    • Maurizio Cocucci

      La Grecia non è stata vittima per nulla di una qualsiasi politica europea, ma semplicemente di un sistema basato su evasione fiscale, corruzione, sovrannumero di dipendenti pubblici e quindi di una spesa pubblica insostenibile visto il basso livello di produzione dell’economia greca. Livello tra l’altro ridimensionato anche per il fatto che si sono ritrovati una moneta forte contrariamente alla dracma con la quale conveniva acquistare prodotti dall’estero piuttosto che quei pochi prodotti realizzati in casa (basta vedere la bilancia dei pagamenti da quando sono entrati nell’euro). A sostenerlo sono proprio i greci, che al momento di decidere se separarsi o meno dalla Ue non hanno avuto dubbi: meglio rimanere. Hanno per questo avuto aiuti e sconti (sul debito pubblico) maggiori del Pil annuale, quindi se non sono stati sufficienti per garantire un’assistenza sanitaria adeguata (tra le forme di intervento principale) si può capire a quale livello erano ridotti. Ora le cose stanno cambiano e già da quest’anno il Paese tornerà a crescere (tra l’altro a livelli superiori al nostro stando alle previsioni) e questa volta con un sistema certamente meno farraginoso di prima.

  9. Roberto

    Credo che più che rispondere a contenuti giornalistici nuovi, Bagnai e Borghi, abbiano ampiamente modificato egregiamente, con classe e chiara documentazione il Frame, in cui anche Lei è , non so se consapevolmente o meno, coinvolto. Le consiglio la lettura di un ottimo giornalista: Marcello Foa, forse le permette di avere una angolazione diversa ed un poco più esaustiva al suo pensiero. Si impara sempre da qualcuno, basta non essere prevenuti, io mai avrei pensato di leggere il Giornale.

  10. Natalia Milazzo

    Vorrei commentare alcuni punti di questo interessante articolo. Intanto, si può far osservare che quando Bagnai ha aperto il suo account su Twitter (il primo tweet risulta essere del 13 ottobre 2012, come si può controllare su discover.twitter.com) il sito Goofynomics esisteva da circa un anno, e aveva già avuto un successo notevole, tanto che il saggio “Il tramonto dell’euro” sarebbe uscito nel giro di meno di un mese (7 novembre 2012), esaurendo nel giro di poco la prima edizione. Si può quindi mettere in dubbio l’opinione che il successo del blog e dell’operazione informativa di Bagnai siano così legati e addirittura basati sull’uso – per quanto sapiente – di Twitter. Personalmente, tendo ad attribuire il successo del blog e di riflesso del blogger alla novità del metodo scelto da Bagnai, che – mi perdoni l’Autore se qui ritorno proprio a Twitter, ma il tema della nota lo consente – tenderei a definire come il metodo dell’ormai celebre #Puglisitest, elevato alla meno uno. Ovvero, così come il #Puglisitest sostanzialmente rivolge agli utenti non esperti un, per quanto garbato, “Sta’ zitto, tu, che di macroeconomia non ne sai niente”, inscrivendosi, forse senza volerlo fino in fondo, nella cultura della tecnocrazia degli ottimati (ben descritta, per fare solo un esempio, nelle domande di politica estera rivolte pubblicamente al maggiordomo dagli aristocratici inglesi in “Quel che resta del giorno”, per dimostrare che chi non se ne intende tecnicamente non ha il diritto di votare; la stessa, in chiave più meschina, del “latinorum” con cui don Abbondio cerca di zittire Renzo), in modo opposto il blog Goofynomics dice agli utenti: “Se vuoi, ti spiego che cosa sta accadendo al nostro Paese, condividendo con te le nozioni di macroeconomia di cui posso dimostrarti di essere in possesso, corredandole con dati, numeri, grafici, riferimenti scientifici e rispondendo per quanto possibile alle tue domande”. Mi sembra curioso attribuire il successo di un’operazione così intrinsecamente democratica non alla sua novità (soprattutto nel panorama informativo italiano), ma all’uso di Twitter, per quanto frequentato da giornalisti e politici Twitter sia. In secondo luogo, trovo che il messaggio di Bagnai (parlo di Bagnai perché non ho mai seguito molto Borghi) non sia affatto mediaticamente facile: al contrario, per quanto molto piacevole il blog di Bagnai è una lettura estremamente impegnativa, che mette alla prova l’utente, lo costringe a seguire percorsi di ragionamento lunghi e difficili e non offre slogan né scorciatoie; e lo stesso si può dire del libro (anche solo per il numero di pagine). Non è assolutamente facile, per esempio, a chi non se ne intenda, afferrare il meccanismo per cui una stessa moneta può avere effetti opposti su due Paesi che la condividono. Per questo, trovo forse improprio citare in questo contesto la “credulità di politici e giornalisti” – categoria quest’ultima a cui ammetto di appartenere, pur respingendo con forza ogni accusa di credulità – “per cui un grafico è spesso sufficiente per dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra il fenomeno X e il fenomeno Y”. In effetti Bagnai organizza un discorso estremamente articolato e complesso, dotato di logica e coerenza interne, tale che ritengo possa a buon diritto essere compreso a condiviso anche da chi non sia specialista in macroeconomia. Che poi gli argomenti di Bagnai siano costantemente banalizzati ed eccessivamente semplificati da persone che non hanno evidentemente letto il libro né il blog, è un altro discorso.
    Infine, trovo curiosa anche l’idea che l’attribuire all’euro un effetto pesantemente negativo sulla nostra economia, tanto che liberarcene diventi una condizione necessaria, se pure non sufficiente, per rilanciarla, sia in qualche modo “consolante”. In primo luogo per la evidente difficoltà (dall’Autore in altri articoli molto ben illustrata) dell’eventuale operazione di uscita: perché mai dovrebbe essere “consolante” trovarsi in una simile trappola? Ma non solo. L’euro infatti non è, si dovrà riconoscerlo, né un fenomeno naturale né una imposizione arrivata da chissà dove al nostro paese: la scelta di entrare nell’euro è semplicemente stata, secondo molti, un nostro madornale errore, così come sono altri errori la cattiva gestione della pubblica amministrazione, l’incapacità di arginare l’evasione fiscale e tutte le altre iatture che ci affliggono. Non capisco, insomma, perché dovremmo in qualche modo consolarci di avere fatto un errore in più, un errore di cui siamo prigionieri e che tra l’altro ci ha incastrati in una Eurozona così totalmente priva di solidarietà e buon senso quale emerge dal panorama tracciato da Bagnai.

    • Alberto

      Ovviamente a questo intervento, intelligente, pacato, e pieno di buone argomentazioni non è stata data risposta alcuna… Strano

  11. Asterix

    Resto sempre più basito dalla campagna di stampa contro chi critica l’euro, spesso con articoli scritti da ricercatori di economia che lavorano presso le Università italiane da cui sono usciti tutti gli illuminati Ministri dell’economia che ci hanno portato in questo pantano. E’ il livello del (non) benessere che alimenta la protesta degli anti-euro (che non è anti-Europa). Il comunismo in Italia lo abbiamo sconfitto quando un operaio si è potuto permettere una macchina, una casa in città, una al mare. Sei sei un sistema economico che consente solo all’1% di stare bene, non puoi accusare il 99% che sta male perché si fa influenzare dai media. Vuoi continuare così senza cambiare? Ti becchi il voto di protesta. E’ la democrazia! Non ti va bene? Allora abolisci il Senato e fai votare alla Camera solo coloro che percepiscono più di 100 mila euro.

  12. Due economisti che non hanno padroni espongono liberamente una loro idea che può anche non essere condivisa a non si può dire che siano solo abili all’utilizzo dei social networks, per fortuna che lo sono, in tale modo hanno potuto diffondere la loro idea che i mass media avrebbero censurato.

  13. antonio crosignani

    La frase in cui Lei scrive che con la dracma (debole) potevano comprare più facilmente prodotti esteri anziché prodotti interni la dice lunga sulla sua preparazione in materia economica. A meno che non si tratti di un refuso grossolano o errore di disattenzione, in qual caso le consiglio di rileggere prima di postare. Avendo seguito molto da vicino e con estremo puntiglio la crisi greca (ho dei parenti laggiù) le garantisco che quello che lei scrive sono idiozie senza senso. Abbia almeno rispetto per le sofferenze altrui non scrivendo frescacce gratuite.

    • Maurizio Cocucci

      “Livello tra l’altro ridimensionato anche per il fatto che si sono ritrovati una moneta forte, contrariamente alla dracma, con la quale conveniva acquistare prodotti dall’estero”. Mancavano 2 virgole, ora è più chiara. In merito al resto lei confonde il dispiacere per le conseguenze patite da molti cittadini, che non hanno responsabilità di quanto stanno attraversando, con coloro che invece ce l’hanno. A sostenere ciò che ho menzionato non ci sono solamente i rapporti dei vari organismi internazionali, ma anche greci. Accusare la Ue o chiunque altro all’infuori della classe dirigente greca per il default del sistema è sì questa una fesseria. Si può criticare ciò che gli esponenti della Troika hanno chiesto (o preteso se preferisce) in cambio degli aiuti, ma non del dissesto. Sono stati stanziati (vado a memoria) 240 miliardi di euro a fronte di un Pil che è arrivato al massimo a 210 miliardi, a questo si deve poi aggiungere la ristrutturazione del debito pubblico. Quindi non si venga a dire che l’Europa ha solo preteso tagli e che ha ridotto alla fame i cittadini greci.

  14. Gianni Chi

    «A parte ciò, un problema strutturale della posizione pro euro è che ogni spiegazione della crisi italiana che faccia riferimento a una molteplicità di cause è più difficile da raccontare». Lei è in grado di farlo?

    • giulioPolemico

      È da molto tempo che andiamo ripetendo che il crollo dell’economia italiana viene da molto lontano e non certo dall’euro: una macchina pubblica sprecona e inefficiente che divora enormi quantità di soldi, un Meridione perennemente arretrato e in preda alla criminalità che spaventa e respinge gli investitori stranieri e soffoca quelli italiani, il debito pubblico esploso proprio da quando la debolezza della nostra liretta causava inflazione a 2 cifre, la corruzione sistematicamente diffusa, il marcato disinteresse per la ricerca scientifica, che relega la asfittica produzione italiana a prodotti di basso livello, di scarsa qualità e suscettibili di concorrenza orientale.
      Potrei continuare. E sono mesi che lo diciamo. Lo Stato italiano nei decenni precedenti ha vissuto al di sopra delle sue possibilità (e per far questo si è indebitato molto) e a un certo punto la corda si è rotta. Credete che ripristinando la lira tutti questi problemi che ho citato si risolvano di colpo? Nella vostra lontananza dalla realtà voi credete che la lira sia una bacchetta magica.
      Se volete capirlo lo capite, se vi rifiutate di capirlo e vi fissate che prima dell’euro l’Italia funzionava bene e che l’euro è la magica causa di ogni problema italiano, allora è inutile continuare a discutere.

  15. Maurizio Cocucci

    Leggendo questo articolo e i molti commenti mi sono reso conto che il suo contenuto non è stato compreso. L’autore, che eventualmente mi può sempre smentire, ha inteso sostenere che con i social network l’attenzione è stata dirottata e monopolizzata dal tema euro, anziché riguardare i molti altri aspetti che hanno portato l’Europa e in particolare il nostro Paese in una situazione di difficoltà. La dimostrazione la possiamo verificare ogni qualvolta sentiamo le imprese (per bocca di dirigenti o imprenditori stessi) denunciare le cause principali delle loro difficoltà, cause che solo marginalmente prendono in considerazione l’euro intesa come valuta forte. Cioè mentre alcuni economisti espongono teorie in base alle quali tornando ad una propria moneta le aziende riprenderebbero a vendere di più (in particolare sui mercati esteri per l’effetto cambio) e di conseguenza ad assumere facendo così ripartire la crescita, queste invece sostengono che questa soluzione non è plausibile (si legga a titolo di esempio il rapporto del Centro Studi di Confindustria), che ciò che dava un qualche respiro e ritorno di competitività negli anni ’70-’90 ora non è più attuabile perché sono cambiate molte cose, in particolare lo scenario economico dovuto alla globalizzazione. E si parla di aziende che non sono sorte ieri, ma che sono sul mercato da decenni e quindi conoscono bene le conseguenze (in termini di benefici e costi) della svalutazione. Ma sarebbe anche semplice verificare che questa soluzione non comporta i benefici tanto citati dai fautori del ritorno ad una propria valuta guardando più attentamente alle conseguenze della svalutazione del 1992: Pil crollato l’anno successivo, disoccupazione salita dal 7 al 9%, 350 mila posti di lavoro persi nel 1993, altrettanti nel 1994 e altri 50 mila nel 1995. Posti di lavoro poi riassorbiti una volta che la tanto citata bilancia dei pagamenti è tornata verso lo ‘zero’. Senza contare le conseguenze sull’ammontare del debito pubblico. Segno quindi che l’effetto svalutazione non porta di per se solo benefici. Se Volkswagen, BMW e Audi vendono più autovetture della Fiat in Cina non è certo per l’euro, tenuto conto che nemmeno le altre dirette concorrenti europee per lo stesso segmento (Citroen, Renault, Peugeot) conseguono grandi successi. Il motivo sta nel fatto che nel segmento inferiore la concorrenza si chiama Wuling (1,1 milioni di autovetture vendute nel 2013), Hyundai (1 milione), Toyota, Buick, Nissan, Changan, cioè marchi prodotti in Paesi con ben altri costi dei fattori della produzione (e di pressione fiscale). L’unica soluzione per molte aziende europee è di aprire fabbriche in loco, come ha fatto e sta facendo Volkswagen, però questo non sarà di aiuto per i cittadini europei che dovranno affidarsi alla ricerca e alle nuove tecnologie per creare posti di lavoro nei propri Paesi, non dimenticando di ridurre (va sempre bene ricordarlo) pressione fiscale, burocrazia e la lotta all’illegalità. Altro che svalutazioni.

  16. IlGranchio

    Premetto che non sono un economista, non sono un giornalista, non sono un esperto di comunicazione, sono semplicemente un cittadino che si interroga su cosa sia meglio per se e per il paese. Mi sembra che il ruolo dei media sia sopravvalutato. Le idee semplici che sembrano offrire una via di uscita da situazioni difficili esercitano sempre e comunque molto fascino, indipendentemente dai mezzi che si usano per promuoverle. Non mi stupisce che abbiano successo.
    Quello che mi stupisce è la sicurezza di chi è a favore dell’abbandono dell’euro che questa sia una strada che certamente ci porterà a un miglioramento della situazione. cosa dà questa certezza? Ragionando in astratto non capisco perché una moneta che ha solo valore simbolico, non reale (ha il valore che chi la riceve è disposto a darle) piuttosto che un’altra possa fare una così grande differenza sull’andamento reale del benessere, della possibilità di scambiare beni e servizi e di offrire occupazione di un paese. Al massimo una moneta indipendente può ridurre la conflittualità interna legata alla distribuzione della riduzione del reddito quando le cose vanno male. Con una moneta “pseudo estera” come l’Euro la distribuzione del calo di reddito del paese deve essere fatta con una azione politica, con una moneta nazionale, l’intero paese perde “ricchezza” quando la moneta si svaluta e la perdita viene spalmata in maniera automatica (non è detto che sia anche una maniera giusta o socialmente auspicabile).

    • Maurizio Cocucci

      Concordo con ciò che ha scritto ma per quanto riguarda la definizione che vorrebbe l’euro una moneta “pseudo estera” (se non del tutto straniera come sostengono altri) mi permetta di correggere questo che è diventato un luogo comune. Premesso che dell’Europa ne facciamo parte anche noi e premesso anche che tutto ciò che vale per noi vale per tutte le altre nazioni facenti parte dell’eurozona, la moneta comune è di tutti così come il dollaro è di tutti gli Stati che costituiscono gli Stati Uniti. Affermare che l’euro è una moneta straniera o pseudo tale per un italiano, un francese o uno spagnolo equivale alla stessa affermazione fatta da un cittadino dell’Arkansas, dell’Iowa o della California per gli Usa. La differenza tra l’eurozona e gli Usa risiede negli obiettivi assegnati alle rispettive banche centrali ed il loro profilo organizzativo. La Banca Centrale Europea è parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC o ESCB in inglese) che si può considerare per certi versi come il corripondente europeo della Federal Reserve System che vede la banca centrale (appunto la Fed) e 12 banche regionali (Federal Reserve Banks) che svolgono alcuni compiti di politica monetaria in accordo con la Federal Reserve System. Ogni anno le banche centrali nazionali europee (BCN) emettono ‘moneta’ (o base monetaria) ed effettuano manovre di politica monetaria sulla base delle indicazioni trasmesse dalla Bce. Per dirla più semplicemente la Banca d’Italia continua a stampare moneta (se per stampare moneta intendiamo creare base monetaria), solo che lo fa dipendentemente dalla Bce, ma indipendentemente dal governo italiano così come avveniva anche quando c’era la lira dopo il cosiddetto divorzio dal Tesoro nel 1981.

      • IlGranchio

        “Pseudo estera” era una provocazione. Il succo del discorso è che l’euro ci obbliga a guardare in faccia problemi reali. Rinunciare all’euro è solo una scorciatoia per non farlo. Non per questo i problemi spariranno.

  17. Mi dispiace ma il consiglio di Puglisi è sbagliato : “compiere lo sforzo di spostare il dibattito su altri temi etc.” è l’errore peggiore che si possa fare, anzi per dirla tutta, questo errore è già stato fatto ed è proprio grazie a questo errore che Bagnai è riuscito a costruirsi la sua nicchia e ad allargarla. Piano piano. Bisognava invece fin da subito disarticolare sistematicamente il Bagnai-pensiero sottolineando con forza la parzialità dell’analisi e l’incongruenza delle proposte e tuttora bisognerebbe contestare punto per punto, virgola per virgola, le argomentazioni di Bagnai ma nessuno lo fa in modo sistematico.

    • Corrado G.

      se qualcuno riuscisse a controbattere punto per punto , virgola per virgola, in modo esaustivo, le argomentazioni-pensiero di Bagnai, avrebbe a suo favore il “vantaggio della novità” (cit.), perchè ad oggi non è pervenuto nulla sul pensiero dei ” pro-euro ” , viviamo un periodo oscuro, l’uomo deve ritornare al centro di tutto e bisogna confrontarsi , non sarà facile ma un tentativo dobbiamo farlo..

    • chinacat

      “bisognerebbe contestare punto per punto, virgola per virgola, le argomentazioni di Bagnai ma nessuno lo fa in modo sistematico.”

      Inconsapevolmente hai fatto il miglior complimento possibile al Prof. Bagnai.

      Ovviamente tu ignori completamente tutta la letteratura scientifica alle spalle delle “posizioni” del Prof. Bagnai.

      Ma Riccardo Puglisl no, quella letteratura la conosce (Feldstein, Kaldor, Stiglitz, Minsk, etc etc) quindi può sempre scrivere un bel libro dove smonta nel merito tutte le teorie del Prof. Bagnai.

      • È inutile avere una “letteratura scientifica” alle spalle se poi l’analisi dei fatti economici specifici risulta essere approssimativa e se le proposte che si mettono in campo risultano scarsamente plausibili.

        • chinacat

          “E se poi l’analisi dei fatti economici specifici risulta essere approssimativa.”

          Prima si lamenti che nessuno riesce a demolire nel merito le analisi del Prof. Bagnai e adesso le definisce “approssimative”. Se così fosse sarebbe facilissimo smontarle eppure non lo fa nessuno.

          • Infatti è proprio questo il mistero: sarebbe facilissimo smontarle eppure nessuno lo fa sistematicamente. Alla fine toccherà farlo a me.

        • chinacat

          P.s.
          Joseph Stiglitz, Free Fall, pag. 133
          “If Europe cannot find a way to make these institutional reforms, then it is perhaps better to admit failure and move on than to extract a high price in unemployment and human suffering, all in the name of flawed institutional arrangements that did not live up to the ideals of their creators.”

          • “We are strongly in favor of a more united Europe, ultimately with political integration. A currency union should go along with a fiscal union and a banking union, both of which we hope will occur in due course. While we do believe that to institute a currency union without a banking and fiscal and ultimately political integration is an economic mistake, we remain strongly pro-European, rather than anti-European, wanting much more than a mere currency union.”

            Amartya Sen e Joseph Stiglitz, dichiarazione congiunta del 10 aprile 2014

  18. Caro Puglisi,
    mi aspetto che Lei controbatta punto per punto al post che Bagnai Le ha dedicato poco fa

    http://goofynomics.blogspot.it/2014/05/bank-run-e-svalutazione-secondo-ric-e.html

  19. Maurizio Cocucci

    Il successo delle argomentazioni espresse dal prof. Bagnai e anche dal prof. Borghi derivano principalmente dal fatto che loro concentrano le responsabilità della crisi in un unico fattore: l’euro. È quindi facile per la gente comune indirizzare la propria rabbia, la propria indignazione, la propria frustrazione, su un capro espiatorio ‘facile’ da individuare piuttosto che ascoltare chi invece i riflettori li vuole puntare su più argomenti, argomenti che poi sono quelli che le aziende, ovvero coloro che domandano (o creano se si preferisce) posti di lavoro e creano ricchezza, vanno sostenendo.
    È più semplice pensare che aprendo il portafoglio e sostituire banconote e monete presenti con altre di nome diverso sia la soluzione per voltare pagina.
    È semplice perché da l’idea che riappropriandoci della cosiddetta sovranità monetaria lo Stato anziché tenere alta la pressione fiscale la potrà finalmente abbassare, potrà aumentare la spesa pubblica per stimolare la domanda ed il deficit corrispondente lo monetizzerà stampando moneta. Certo, perché non ci avevamo pensato prima?! Stampare moneta anziché tassare! Oppure l’altra via, quella dell’export: adottiamo una moneta nazionale che svalutandosi rispetto alle altre renderà più convenienti le nostre merci che le aziende venderanno in quantità crescente con conseguente richiesta di posti di lavoro. Bello, peccato che proprio le aziende stesse sostengono che questa equazione non è sostenibile e dato che la maggior parte delle aziende export-oriented, ovvero quelle che esportano almeno il 40% della propria produzione, sono sul mercato già dagli anni in cui la lira di tanto in tanto si svalutava sostenendo la competitività dei nostri beni e servizi, quindi sanno bene cosa significa in termini di benefici ma anche di costi una svalutazione ed in particolare la durata di questo effetto, troppo breve per considerarla una soluzione in grado di far cambiare marcia alla nostra economia. Il prof. Bagnai ed il prof. Borghi le avranno mostrato più volte i grafici che mostrerebbero i benefici sulla bilancia dei pagamenti a seguito dell’ultima svalutazione, quella del 1992. Però si guardano bene dal mostrarle quelle dell’andamento dell’occupazione, della disoccupazione e del debito pubblico.
    Io ho provato a farglielo notare così come a porre obiezioni ad altre argomentazioni come ad esempio a molte accuse del tutto inconsistenti rivolte alla politica attuata dalla Germania, ma oltre a non aver ottenuto risposta sono stato ‘bloccato’, segno che con chi non accetta incondizionatamente il loro pensiero non intendono interloquire.

  20. MICHELE 75

    Nota esemplare, la cui eleganza e sobria asciuttezza è esaltata dai commenti, ispirati soprattutto all’incomprimibile inclinazione nazionale alla polemica “d’abord”. Sarebbe divertente chiedere a qualcuno degli economisti del (ristretto) “sottogruppo di chi conosce l’economia monetaria internazionale e la teoria delle aree valutarie ottimali” (definizione di Puglisi), magari fra quelli con più fantasia, di spingersi sino a stimare quanti sarebbero i nemici dell’Euro, se il nostro debito pubblico non eccedesse, diciamo, l’80-90 % del Pil. La mancanza di memoria collettiva non è davvero l’ultimo dei nostri problemi!

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