Riducendo l’Irap si abbatterebbe il costo del lavoro senza incidere sui salari, intervenendo sull’Irpef si otterrebbe l’esito opposto. Una proposta alternativa per ridurre veramente il cuneo fiscale, a partire dai redditi più bassi. E incentivare l’emersione del lavoro nero.
LE PROPOSTE ATTUALI
La riduzione del cuneo fiscale, un intervento su cui tutti sembrano essere d’accordo, risponde a varie esigenze e può essere realizzata in vari modi. Le finalità sono essenzialmente due: migliorare la competitività delle imprese riducendo il costo del lavoro e sostenere la domanda interna aumentando il reddito netto dei lavoratori, soprattutto di quelli con retribuzioni più basse e maggiore propensione a consumare eventuali aumenti di reddito. [tweetable]Le modalità di realizzazione nelle proposte finora avanzate si concentrano sull’Irap e sull’Irpef. Non sembra il modo migliore[/tweetable]. Una riduzione dell’Irap (attraverso l’eliminazione della componente-lavoro dall’imposta) risponde alla prima esigenza ma non alla seconda: riduce il costo del lavoro ma, almeno come effetto di primo impatto, lascia invariato il reddito netto dei lavoratori. Inoltre, anche ammettendo che una parte del beneficio si trasferirà nel tempo sui salari, esso sarà proporzionale all’entità della retribuzione e non favorirà, come dovrebbe, maggiormente i salari più bassi. D’altro canto, concentrare le risorse su uno sgravio dell’Irpef, come preferirebbero i sindacati, non avrebbe alcun impatto, almeno inizialmente, sul costo del lavoro. Senza contare che i difetti strutturali dell’Irpef (si vedano su questo sito l’intervento di Paladini e Visco e quello di Borri, Nisticò, Ragusa e Reichlin) richiederebbero di astenersi dall’ennesima “pezza a colori”.
LA PROPOSTA ALTERNATIVA
Esiste un’alternativa trasparente allo sgravio Irap e/o Irpef ed è quella di intervenire direttamente sui contributi previdenziali, concentrando lo sgravio sui salari più bassi. L’idea riprende una vecchia proposta avanzata nel 2006 e consiste nel rendere progressivi i contributi previdenziali, abbassando l’aliquota, nel caso dei lavoratori dipendenti, dall’attuale 33 per cento al 20 per cento per i primi 7.700 euro di retribuzione. Ciò equivale a un contributo in somma fissa di 1000 euro l’anno per tutti i salari. Gli effetti di impatto della riforma e, in particolare, la distribuzione del beneficio tra costo del lavoro e redditi netti, dipenderanno da come l’abbattimento di aliquota verrà ripartito tra la componente a carico del datore di lavoro (oggi 23,81 per cento) e quella a carico del lavoratore (oggi 9,19 per cento). A seconda dei casi, il costo complessivo, al netto delle maggiori imposte sul reddito, varierebbe su base annua tra i 9 e i 10 miliardi. Per un salario medio il cuneo fiscale si ridurrebbe di circa 4-5 punti. Naturalmente, il vantaggio sarebbe proporzionalmente maggiore per i salari più bassi e diminuirebbe all’aumentare del salario. Lo stesso regime dovrebbe essere applicato per i lavoratori para-subordinati (la cui aliquota oggi è il 28,72 per cento, destinata nei prossimi anni ad allinearsi a quella dei lavoratori dipendenti). Evidenti i vantaggi dell’allineamento delle aliquote, in termini di incentivo all’emersione di lavoro sommerso.
La fiscalizzazione di una parte dei contributi previdenziali, che qui si propone, si presta all’obiezione che così facendo si rompe il legame tra contributi versati e pensioni realizzato con l’adozione del metodo contributivo. La risposta è che ciò verrebbe fatto in modo trasparente e nella stessa misura per tutti. Una grande differenza rispetto a quanto avviene per il 90 per cento dei pensionati attuali che percepiscono una pensione calcolata con il metodo retributivo e quanto avverrà ancora in futuro per chi potrà godere della differenza tra aliquote di computo ed aliquote effettive.
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