L’articolo “Pensioni: l’equità possibile”di Tito Boeri, Fabrizio Patriarca e Stefano Patriarca ha ricevuto molti commenti e richieste di chiarimenti. In particolare, quelli di tre deputati che si occupano del tema nel loro lavoro nelle commissioni della Camera. Gli autori rispondono ai tre parlamentari e ai lettori entrati nel confronto.
[toggle title=”Il commento di Giampaolo Galli”]
Ho apprezzato il vostro lavoro sul piano tecnico e mi sembra utile motivare perché non sono d’accordo con la proposta che avanzate. (1) Penso che il contributo che voi chiedete ai pensionati non sia socialmente sostenibile. Non vedo come si possa imporre ciò che in effetti è una tassa del 6 per cento e più sulle pensioni a partire da 2 mila euro lordi, che corrispondono a 1.500 euro netti.
Ma vi sono aspetti che mi sembrano ancora più problematici nella vostra proposta così come in tutte le proposte di ricalcolo che sono state avanzate, quali quella di Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e quella di Enrico Zanetti di Scelta civica. È bene che, prima di prendere decisioni, tali aspetti vengano messi sul piatto della bilancia a fronte dei vantaggi che voi evidenziate.
PROBLEMI SUL PIATTO DELLA BILANCIA
- Gli effetti del ricalcolo sulle singole persone sono a priori ignoti e possono essere stravaganti, in quanto si riconsidera retroattivamente tutta la storia contributiva di ciascuno. Una persona di 90 anni che sia andata in pensione a 55 anni, a causa poniamo di una crisi aziendale, vedrà una forte decurtazione della sua rendita. Mentre è probabile che nulla succederebbe a un analogo pensionato che abbia lavorato fino a 65 anni. Ciò è indubbiamente coerente con il concetto di equità intergenerazionale, ma credo verrebbe percepito come fortemente iniquo e comunque poco ragionevole. Il punto è che il concetto di equità intergenerazionale richiede necessariamente di effettuare un’operazione di ricalcolo fortemente retroattiva. Sappiamo che in media i pensionati godono di pensioni più alte di quelle per cui hanno pagato i contributi e che pesano sui giovani di oggi. Sappiamo che ci sono drammatiche esigenze da soddisfare e che il nostro sistema di welfare è sbilanciato sulla spesa pensionistica. Ma i pensionati di oggi non percepiscono un centesimo di più di quanto lo Stato ha promesso loro nel corso dei decenni. E all’operazione retroattiva che si propone l’obiezione è facile: se le persone avessero saputo per tempo dei nuovi criteri di calcolo avrebbero provveduto, lavorando più a lungo o mettendo più soldi nelle previdenza complementare. Insomma alle persone glielo dovevi dire mezzo secolo fa. Non glielo puoi dire ora che sono in pensione e non hanno più alcun modo per provvedere.
- Se si parte dall’affermazione che il criterio contributivo è una misura a tal punto robusta di equità da giustificare sacrifici assai draconiani, allora i conti vanno fatti per bene. Il che significa che a) non sembra possibile utilizzare il cosiddetto forfettone; può anche darsi, come voi suggerite, che per molte persone il ricorso al forfettone sia vantaggioso, ma ogni persona fa storia a sé e pretenderà di essere considerata per i contributi che ha effettivamente versato; a quanto risulta, ciò non è possibile perché l’Inps non è in grado di ricostruire le storie contributive delle persone, come sarebbe necessario, sino a 50, 60 o anche 70 anni indietro; addirittura nel settore pubblico mancano i dati ante-1995. b) Chi verrà a sapere che con il nuovo metodo di calcolo avrebbe una pensione più alta vorrà evidentemente far valere il proprio diritto. E non si accontenterà di avere indietro solo una parte dei contributi versati; li vorrà avere tutti fino all’ultimo centesimo. Ciò significa che lo Stato potrebbe anche perderci dato che invece, nella vostra proposta, gli squilibri a sfavore del pensionato non verrebbero eliminati, ma soltanto tassati (al 20% nel caso dello scaglione fra 2 mila e 3 mila euro).
- Come voi stessi notate, lo squilibrio decresce al crescere del reddito. È possibile che per le pensioni più alte lo squilibrio sia nullo o addirittura negativo per i motivi che ha già ben argomentato l’Ing. Michele Carrugi e di cui dà conto l’articolo di Tito Boeri e Tommaso Nannicini “Pensioni d’oro:il diavolo sta nei dettagli”. Ciò comporta che il ricalcolo abbia effetti regressivi sul reddito pensionistico delle persone. Tant’è che voi lo correggete con un’imposta progressiva sullo squilibrio. Questo è possibile, ma allora l’operazione perde il suo connotato di strumento per l’equità intergenerazionale e assume la natura di un’imposta.
- L’intervento che proponete, al pari forse del contributo di solidarietà, è quasi certamente incostituzionale perché l’equità, secondo la Corte, la si persegue con la fiscalità generale e non colpendo selettivamente solo alcuni. Bene che sia così perché la vostra proposta mina fortemente la fiducia nello Stato. Un’operazione del genere darebbe ai giovani il segnale che è meglio evadere i contributi e fare solo previdenza privata, magari all’estero, perché un domani la legislazione potrebbe cambiare ancora e potrebbe passare, ad esempio, una norma come quella che già oggi propone la Lega che mette un tetto assoluto alla pensione, indipendentemente dai contributi versati. L’Italia e con essa il suo sistema di welfare perderebbero credibilità. E comunque dove andrebbe a finire la certezza del diritto? Dove andrebbero a finire quei property rights che tanto invochiamo per attirare investimenti? Perché qualcuno, giovane o anziano che sia, dovrebbe ancora fare un investimento in Italia? Molti fatti accaduti in questi anni hanno contribuito a minare il principio di legalità e la fiducia dei cittadini nello Stato. Questo sarebbe un colpo ulteriore.
La percezione che l’illegalità conviene deriverebbe anche dalla circostanza che il provvedimento colpirebbe solo quei pochi – per lo più lavoratori dipendenti – che nel corso della loro vita hanno pagato tasse e contributi fino all’ultima lira e che per questo hanno maturato una pensione dignitosa. La distribuzione delle pensioni per classi di importo è scandalosa perché è la sintesi di decenni di evasione fiscale e contributiva. Tutte quelle categorie che, secondo i dati ufficiali, hanno pagato meno Irpef dei lavoratori dipendenti, al termine della loro vita lavorativa percepiscono una pensione bassa o addirittura integrata al minimo. I vostri stessi dati dicono che l’operazione di ricalcolo peserebbe per ben il 90 per cento (3,7 miliardi su 4,2 miliardi) su ex-lavoratori dipendenti. Anche questo non sarebbe accettabile. In sostanza la vostra proposta non sfugge alla critica generalmente mossa in Italia a manovre di redistribuzione basate, ad esempio, sulle aliquote dell’Irpef: si andrebbero a prendere i soldi sempre agli stessi.
Giampaolo Galli, Deputato del Partito democratico, membro della V commissione della Camera (Bilancio, Tesoro e Programmazione)
(1) L’autore percepisce una pensione di anzianità calcolata con il sistema retributivo. Il lettore è avvisato: faccia gli sconti che ritiene rispetto alle cose che legge. (N.d.A.)
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[toggle title=”Le domande di Marialuisa Gnecchi”]
Desidero alcuni chiarimenti dagli autori dell’articolo “Pensioni: l’equità possibile” . Nella vostra elaborazione avete tenuto conto che nel calcolo dei versamenti dei contributi esiste una differenza per le fasce di reddito alte? E che anche il calcolo retributivo non è identico su tutta la retribuzione ? In nota (1) la situazione per il 2014.
SISTEMA RETRIBUTIVO E CONTRIBUTIVO
Avete tenuto conto che il problema vero è la differenza che esiste nei sistemi di calcolo tra pubblici dipendenti e privati e che la quota A fino al 31 dicembre 1992 per i pubblici dipendenti è sull’ultimo stipendio, ma non tutta la retribuzione viene considerata nel calcolo retributivo bensì soltanto gli elementi fissi e ricorrenti ?
Avete considerato la diversità di calcolo per i fondi volo, elettrici, Inpgi ecc… con il “regalo” di anni per alcune categorie, come i militari ?
Penso anche che bisognerebbe intervenire su ciò che si creerà dopo aver eliminato il limite dei 40 anni (2080 settimane) per docenti universitari, dirigenti medici e magistrati che possono lavorare fino a 70 anni: avranno pensioni che potrebbero arrivare al 135 per cento dell’ultimo stipendio.
Avete considerato quanti pensionati con pensioni alte hanno più di 2080 contributi settimanali? A chi avrà diritto con il contributivo a una misura più favorevole verrà corrisposta?
Marialuisa Gnecchi, Deputata del Pd, componente della XI commissione della Camera (Lavoro pubblico e privato)
(1) 2014 : aumenta di soli 546 euro il tetto annuo diretribuzione pensionabile nel 2014. L’incremento è dovuto alla cosiddetta perequazione delle pensioni, che sulla base dell’inflazione 2013 è stata fissata in via provvisoria in un 1,2 per cento. Va ricordato che il tetto da considerare ai fini delcalcolo delle pensioni (la quota retributiva riferita all’anzianità maturata sino al 31 dicembre 2011) continua a esistere nella sua forma che possiamo definire di base, soglia oltre la quale si applicano aliquote di rendimento ridotte rispetto al 2 per cento. Infatti, la legge n. 297/1982 sancisce il principio secondo cui il limite della retribuzione pensionabile debba essere adeguato annualmente seguendo la disciplina della perequazione automatica prevista per le pensioni. Maggiorando il tetto 2013 dell’1,2 per cento, il plafond 2014 sale quindi da 45.530 a 46.076 euro.
Le fasce di retribuzione. Seguendo quanto stabilito dall’art. 21 della citata legge finanziaria del 1988 (n. 67/1988), le pensioni liquidate con decorrenza compresa tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2014 devono essere calcolate, per ogni anno di contribuzione versata, in misura pari: al 2 per cento della retribuzione annua pensionabile sino a 46.076 euro (tetto di base per il 2014); all’1,5 per cento per la fascia eccedente il 33 per cento; all’1,25 per cento per la fascia compresa tra il, 33 e il 66 per cento e all’1 per cento, infine, per l’ulteriore fascia di retribuzione annua pensionabile eccedente il 66 per cento, ossia per l’eventuale quota eccedente 76.487 euro.
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[toggle title=”L’opinione di Donata Lenzi”]
Vorrei partire dal 2011, dalla recente riforma Fornero, l’unica per la quale ho qualche responsabilità o, meglio, qualche colpa.
L’ASSENZA DEL DIBATTITO
È stata una riforma non spiegata al paese e approvata sull’onda dell’emergenza. Ricordo che l’articolo 24 del decreto Salva Italia non fu esaminato nella commissione Bilancio dove si svolgeva la fase emendativa, e fu votato da noi in aula con la fiducia. Il decreto doveva salvare l’Italia e, a onor del vero, c’è riuscito anche grazie ai notevolissimi risparmi conseguiti in materia previdenziale (come si legge nella relazione Inps al congresso degli attuari 2013).
Mancò il dibattito parlamentare e mancò il dibattito pubblico. Molti lavoratori che ne erano direttamente colpiti, compresero in ritardo cosa comportava e ci hanno poi puniti con il voto, come sappiamo bene noi pochi che di questo tema ci siamo occupati e abbiamo dovuto sostenere decine di duri, spesso dolorosi, confronti in campagna elettorale perché la riforma ha cambiato come nessun altro intervento prima, la vita di migliaia di persone in pochi giorni.
Il frettoloso testo del art. 24 contiene diversi errori. Errori di scrittura (l’esclusione dei macchinisti dai lavori usuranti) di calcolo (gli esodati) di prudenza (il non aver previsto come invece prevedeva Sacconi nel 122/2010 un assegno di sostegno al reddito per chi avrebbe potuto rientrare nei salvaguardati e ne veniva escluso per mera sfortuna a causa del tetto numerico) e ipocrisie di cui sembra non si accorga nessuno ( la falsa progressività dell’aumento dell’età pensionabile delle donne prevista al comma 6).
Il giudizio sulla riforma comunque rimane, per me, critico soprattutto a causa dell’applicazione di un sistema contributivo basato solo ed esclusivamente su l’equità attuariale, matematica, senza nessun correttivo che tenga conto della complessità reale delle vite lavorative. Tutta teoria e niente pratica. Premia chi guadagna molto e quindi versa molto e punisce chi ha vite lavorative discontinue o lavori poco retribuiti mandandolo in pensione ben oltre i 70 anni e con pensioni da fame, senza neanche l’integrazione al minimo che viene abolita. A grandi, a volte ingiustificate, retribuzioni corrispondono anche e soprattutto con il contributivo ricche pensioni. I dirigenti di cui parla Perotti non ci perdono nulla.
Iniquità aggravata dal fatto che l’aumento di età pensionabile conseguente all’aumento automatico per le aspettative di vita non tiene in alcun conto che questa è la classica “media del pollo”. L’aspettativa di vita di un dirigente è di sei anni in più di un saldatore. In altri paesi e tra chi studia i sistemi sanitari ci sono studi e dati sulle conseguenze delle differenze di reddito e mi auguro si sviluppino gli studi anche da noi.
CHI È SENZA LAVORO E SENZA PENSIONE
Il vantaggio del contributivo è di permettere una certa flessibilità in uscita, come spesso rilevato negli studi della Fornero. Stranamente la riforma la ignora. Ancora oggi la Ragioneria generale si oppone a qualsiasi proposta di legge che permetta, fissata un’età minima adeguata, di andare in pensione con calcolo tutto contributivo, sostenendo che occorre coprire la spesa. Aiuterebbe a risolvere una parte dei problemi di chi si trova bloccato nell’area grigia senza lavoro e ancora senza pensione.
Non entro poi nel tema complesso di un mercato del lavoro che non sembra in grado di mantenere al lavoro gli anziani.
C’è condivisione su questo giudizio sulla riforma? Se c’è come si rimedia? Una nuova riforma complessiva nel senso dell’equità reddituale e generazionale e che tenga conto della reale situazione del mercato del lavoro, che omogenizzi il sistema e le regole per superare la molteplicità dei fondi e le distorsioni presenti nel pubblico impiego soprattutto nelle fasce dirigenziali, abolisca la ricongiunzione onerosa, preveda coperture figurative dei periodi di vuoto e di disoccupazione, garantisca un minimo pensionistico, preveda un tetto di età pensionabile a 70 anni per non condannare al lavoro eterno i poveracci e al governo della gerontocrazia il paese ancor più di ora, sarebbe a mio parere necessaria e in quel quadro la vostra proposta sarebbe un utile elemento coerente con l’obiettivo.
CI VOGLIONO RISPOSTE RAPIDE
Alla domanda “come si rimedia?” bisogna rispondere in fretta perché a mano a mano che i lavoratori, soprattutto i giovani, capiscono cosa comporta il nuovo sistema, cresce la tentazione di starne fuori. Tante persone, nei dibattiti, ti chiedono: “perché non posso tenermi tutto lo stipendio e magari investirlo piuttosto che versarne una quota rilevante per cinquant’anni per avere, forse, una pensione da fame?”. Nessun sistema regge senza consenso.
In breve le altre considerazioni. Costituzionalità: può non interessare il tecnico ma interessa il legislatore. L’ultima versione del contributo di solidarietà previsto nella Legge di stabilità soddisfa una delle condizioni della Corte (il risparmio rimane nel sistema) ma non la seconda per la quale l’equità si persegue fiscalmente e non rimettendo mano, retroattivamente, al contratto. La proposta potrebbe incorrere nelle stesse censure.
Colpire il ceto medio: come ben sapete i dati del Mef ci confermano che l’83 per cento dei redditi è da lavoro dipendente o da pensione. Di quei 152 miliardi e rotti di entrata Irpef, il 38 per cento è pagato da chi è nella fascia tra 28 mila e i 55 mila euro di reddito e il 41 per cento da chi è tra 55 mila e 75 mila.
Insomma andiamo a prendere soldi sempre agli stessi cittadini. Se poi si assoggettano a ricalcolo -a scopo di riduzione- le pensioni di 2 mila euro lordi, anche i figli potrebbero cominciare a preoccuparsi del rischio di dover aiutare i genitori anziani e magari non in salute ancor più di quanto non facciano ora, o di vedere venir meno l’aiuto che i genitori ancora danno. È dentro le famiglie che si pratica la prima solidarietà tra generazioni.
Sarà banale ma non sono sicura che l’Inps riesca a rifare i calcoli in un tempo accettabile, visto quanto ci sta impiegando sugli esodati.
Donata Lenzi, Deputata del Partito democratico, componente della XII commissione della Camera (Affari sociali)
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TITO BOERI, FABRIZIO PATRIARCA E STEFANO PATRIARCA RISPONDONO
Ringraziamo i lettori e i membri delle Commissioni Affari Sociali, Bilancio e Tesoro e Lavoro, della Camera per i loro commenti (e, in non pochi casi, apprezzamenti), che ci permettono di chiarire meglio diversi aspetti dei nostri calcoli e delle nostre proposte. Raggruppiamo le loro osservazioni in tre gruppi.
LA FATTIBILITÀ TECNICA
L’obiettivo principale del nostro intervento era chiarire che un’operazione di equità e di verità al tempo stesso è possibile anche alla luce delle informazioni disponibili sulla storia contributiva dei pensionati. Il metodo previsto attualmente dalla legge (forfettone) arriva ad una stima dell’importo della pensione più vantaggiosa di quella che si avrebbe applicando il metodo contributivo sull’intera storia contributiva. Questo avviene sia perché si applicano ipotetiche aliquote maggiori di quelle effettivamente pagate, sia perché la retribuzione media che si prende come riferimento per ricostruire quella degli anni precedenti è calcolata in modo più favorevole rispetto alla realtà. Questo avviene in modo più marcato per i dipendenti pubblici che per quelli privati o per i lavoratori autonomi. Il legislatore ha voluto infatti, in modo assai poco trasparente, introdurre regimi di favore per il pubblico impiego.
Le obiezioni sul metodo di calcolo sono veramente poco comprensibili. È una legge dello Stato che stabilisce come devi calcolare il contributivo per coloro che sono nel retributivo ed è già stata applicata anche a chi ha (giustamente) chiesto la totalizzazione dei contributi fra diverse gestioni. Si tratta di una norma in vigore e operativa da 17 anni e non ci risulta che alcun parlamentare, compresi coloro che oggi pongono riserve sul metodo di calcolo delle pensioni contributive, abbia chiesto di cambiarla. Comunque benissimo modificarla. Ad esempio, suggeriremmo a Galli, Lenzi e Gnecchi di battersi affinchè dipendenti pubblici, privati e lavoratori autonomi vengano tutti trattati allo stesso modo. A quel punto, per calcolare lo squilibrio fra retributivo e contributivo si applicherebbero le nuove norme. Quel che conta è che è possibile farlo con le norme attuali o con quelle che verranno ridefinite dal legislatore.
Ci teniamo a rassicurare l’on. Gnecchi: le nostre stime prendono in considerazione i metodi di calcolo della pensione vigenti, così come normati dal legislatore e dai regolamenti attuativi dell’Inps, incluse le specifiche dei tetti, del decalage e dei coefficienti per il fondo pensionistico. Sono gli stessi metodi utilizzati per liquidare le pensioni. Quindi tutte le norme che Marialuisa Gnecchi sottopone alla nostra attenzione sono state prese in considerazione.
FATTIBILITÀ POLITICA
Ovviamente i politici che ci hanno risposto sono in grado meglio di noi di valutare la fattibilità politica di diverse proposte. Noi abbiamo solo illustrato un metodo che può essere applicato tenendo in considerazione i vincoli di natura politica. Ad esempio, nella simulazione qui sotto, mostriamo che un contributo sul reddito pensionistico (non sulle singole pensioni dato che gli italiani con più di 65 anni hanno in media più di una pensione a testa! ) superiore a 3 mila euro (circa 2.300 euro netti al mese) porterebbe alle casse dello Stato fino a 3,7 miliardi. Oppure un contributo ristretto alla platea di coloro che hanno redditi pensionistici superiori a 4 mila euro (il doppio del reddito medio lordo degli italiani) frutterebbe più di un miliardo all’anno.
ASPETTI GIURIDICI
Non siamo giuristi, tuttavia ci limitiamo a richiamare due pregi che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale, la nostra proposta ha rispetto al contributo di solidarietà già attuato dal Governo. Primo, si tratta di un intervento basato su criteri d’equità inter e intragenerazionale e non arbitrario. Secondo, la base imponibile non è il reddito complessivo.
Infine ci pare strano che gli stessi parlamentari che hanno varato 40 regolamenti diversi sulla tassazione della casa in soli sei mesi si appellino ora alla certezza del diritto.
L’EQUITÀ
Tutte le proposte qui formulate salvaguardano i 2 mila euro lordi al mese. Il contributo viene chiesto solo al di sopra di questa cifra e riguarderebbe il 10 per cento di trattamenti più generosi offerti dal nostro sistema pensionistico. Sono escluse le pensioni al minimo, le pensioni sociali dei poveri, i trattamenti per invalidità civile (17 miliardi sui 260 complessivi di spesa). E non riguarda neanche le pensioni sopra 3 mila euro nel caso di persone andate in pensione a più di 60 anni (se donne) o con più di 63 (se uomini), eccetto per coloro che hanno trattamenti molto più alti dei 4000 euro mensili. Questo perchè lo squilibrio è alto per chi è andato in pensione presto (e quindi, a maggior ragione, le baby pensioni ma non quelle basse) e con incrementi retributivi proprio alla fine della carriera. Infine il contributo di solidarietà non viene richiesto a coloro che hanno pensioni più alte ma che sono già stati penalizzati dall’applicazione di rendimenti decrescenti perché sopra al tetto. Per tutte queste ragioni, non è affatto un prelievo regressivo. Al contrario colpisce soprattutto coloro che sono andati in pensione a età precedenti i 62-63 anni e che hanno ricevuto retribuzioni molto alte in fine di carriera: nel pubblico impiego, come nell’esercito e in alcune gestioni speciali.
Sorprende che economisti del calibro di Giampaolo Galli non capiscano l’emergenza del prelievo che grava oggi su chi lavora: pagano di fatto il doppio dei contributi versati da chi li ha preceduti sapendo di essere destinati a ricevere una pensione che sarà la metà di quella dei loro genitori. Il fatto è che su una spesa per pensioni previdenziali (senza considerare quelle assistenziali) di 230 miliardi circa, solo 128 miliardi sono coperti da contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori mentre 103 miliardi di spesa sono a carico dello Stato. Questo significa che le pensioni previdenziali sono coperte attualmente per quasi il 45 per cento dallo Stato e quindi da entrate fiscali. Dovremmo rassegnarci a condannare chi avrà una pensione più bassa a “uccidersi” per pagare pensioni ingiustificate a chi è andato in pensione magari 15 o 20 anni prima di loro o anche negli ultimi anni? Il patto intergenerazionale è a rischio se non si chiede un contributo di solidarietà, che finanzi un reddito minimo e altre misure di sostegno a giovani e corregga le iniquità presenti specie per i più deboli, a chi in passato ha avuto molto di più di quanto gli spettasse.
Alcune delle persone che si contrappongono alle nostre proposte e che dicono oggi che non si può intervenire su chi è già andato in pensione sono le stesse che hanno permesso che negli anni 2000 siano andate in pensione con età media di 58 anni e pensioni medie superiori a 2 mila euro ben 3 milioni di persone mentre la speranza di vita era già salita a livelli tra i più elevati d’Europa. Il costo di questi pensionamenti anticipati del nuovo millennio è di circa 67 miliardi annui: le pensioni di anzianità sono state una grande redistribuzione verso persone con redditi nettamente al di sopra della media.
Contrariamente a quanto sostiene Galli, l’intervento da noi prospettato non è affatto retroattivo. Al contrario, interviene d’ora in poi colpendo soprattutto chi è più giovane tra i pensionati.
Il ragionamento di Galli e Gnecchi sui contribuenti è paradossale. Hanno, Galli e Gnecchi, appena votato una legge di stabilità che “spara nel mucchio”, in modo del tutto arbitrario, per raccogliere qualche decina di milioni. Quell’intervento, quello sì, ha dato un messaggio devastante ai contribuenti: un domani la tua pensione, pagata coi tuoi contributi di una vita, potrà essere tagliata a piacere da un governo che ha bisogno di soldi. Il nostro intervento sancisce invece che i contributi oggi pagati da tutti i lavoratori varranno sempre e comunque come consumo differito. Si vuole tutelare a tutti i costi il regime contributivo, oggi applicato pro quota a tutti i lavoratori.
UNA SIMULAZIONE CON SOGLIA PIÙ ALTA
Come accennato sopra, alla luce dei commenti dei lettori, abbiamo ritenuto di formulare una proposta con una soglia più alta. Il criterio di computo dello squilibrio rimane quello già indicato: la differenza tra la pensione effettivamente percepita al momento del pensionamento e quella che risulta applicando allo stesso soggetto il sistema contributivo così come disciplinato dalla legge, (compreso il calcolo indicato dal decreto legislativo che prevede una formula “forfettaria” per i contributi maturati prima del 1995) e applicato dall’Inps a coloro che optano per il contributivo.
Lo squilibrio viene calcolato solo per i pensionati con il totale dei redditi pensionistici complessivi superiori a 3 mila euro e solo se le singole pensioni sono superiori a 2 mila euro. In tal modo si interviene solo sui pensionati che hanno più di 3 mila euro lordi mensili pari a circa 2.300 euro netti. I pensionati coinvolti sono poco più di 900 mila. Le pensioni di reversibilità (in quanto già ridotte) non sarebbero oggetto del contributo, come quelle dei lavoratori con lavori usuranti (per inciso si ricorda che i pensionati sotto i 1.500 euro hanno in media 1,2 pensioni a testa mentre quelli con più di 3 mila euro hanno 1,6 pensioni a testa). Sullo squilibrio individuale così calcolato si applicherebbe un prelievo pari al 30 per cento per i redditi pensionistici da 3 mila e 5 mila euro mensili e del 50 per cento per quelle superiori e interverrebbe solo sulla parte eccedente i 3 mila euro.
Questa simulazione è riassunta nei suoi effetti nella tabella. Il gettito complessivo sarebbe di circa 3,7 miliardi annui. I soggetti interessati sarebbero 920 mila pensionati con redditi pensionistici più elevati, vale a dire il 5,7 per cento dei pensionati italiani (che attualmente ricevono il 15 per cento circa della spesa previdenziale). Lo squilibrio complessivo sarebbe pari al 26 per cento e il contributo sarebbe in media del 7,8 per cento (7,1 per cento da 3 a 5 mila euro e 10,6 per cento oltre i 5 mila).
*Nota: 3000 e 5000 euro corrispondono al netto rispettivamente a 2300 e 3400 euro netti circa. Il calcolo viene fatto sulle pensioni di coloro che cumulando tutte le pensioni che ricevono superano i 3000 euro, ma non viene calcolato il contributo sulle pensioni di reversibilità.
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