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Quanto ci costa la frammentazione dei campanili

L’Italia ha più di 8000 comuni, con un numero di abitanti che varia dalle poche decine delle comunità alpine ai 2,6 milioni di Roma. È un assetto che non riflette più lo sviluppo socio-economico territoriale. Un esercizio di riorganizzazione in Toscana e la stima dei possibili risparmi.

UN SISTEMA INADEGUATO

Nel dibattito sulle riforme strutturali di cui il paese avrebbe grande bisogno e che invece sembra non riuscire ad affrontare, uno dei temi più ricorrenti è la revisione degli assetti istituzionali, che coinvolga città metropolitane, province e piccoli comuni. In questo articolo si vuole evidenziare come l’accorpamento dei comuni consentirebbe di ottenere risparmi di spesa significativi e di rendere più coerente la struttura amministrativa con i fenomeni socio-economici da governare. (1)
Il territorio nazionale è suddiviso in oltre 8mila comuni, le cui dimensioni variano dalle poche decine di abitanti di alcuni enti alpini agli oltre 2,6 milioni di Roma.
Il tema dell’adeguatezza degli enti alle funzioni di loro competenza, per dimensione demografica e dotazione di risorse umane e finanziarie, non è certamente nuovo ed è stato più volte oggetto di provvedimenti normativi, benché finora con scarsi risultati. I due punti deboli principali vengono generalmente individuati ai due estremi della scala dimensionale: nel caso degli enti più piccoli, per i quali le diseconomie di scala e l’inadeguatezza delle risorse finanziarie e umane sono evidenti; e per le aree metropolitane, laddove più che un problema di scala, esiste un problema di frammentazione del processo decisionale di sistemi socio-economici territorialmente più vasti, il cui funzionamento è in grado di influenzare l’andamento economico nazionale.
[tweetability]L’argomento che di solito viene utilizzato a difesa della maglia comunale esistente è quello del mantenimento dell’identità storica [/tweetability]delle popolazioni locali. A parere di chi scrive, tuttavia, si tratta di un argomento debole, perché anche le identità territoriali mutano nel tempo, di pari passo con l’evoluzione dei sistemi insediativi, delle modalità della produzione e della tecnologia di comunicazione e trasporto. Buona parte delle divisioni amministrative storiche, proprio perché derivanti da un passato talvolta molto lontano, non hanno più senso ai fini dell’organizzazione dei servizi di uso quotidiano, in quanto non sono più coerenti con lo sviluppo socio-economico territoriale, con i bacini in cui la popolazione reale compie le scelte di localizzazione residenziale e di svolgimento delle attività di produzione e consumo. La riorganizzazione del livello più basso del governo locale, che passa essenzialmente dalla riduzione del numero di enti e dalla ricostruzione della coerenza tra dimensione dell’ente e estensione dell’oggetto da governare, avrebbe dunque il vantaggio di realizzare una “vera” spending review, che non vuol dire solo taglio dei costi, ma soprattutto aumento dell’efficacia delle risorse utilizzate.

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IL CASO TOSCANO

È evidenza empirica non confutabile che l’eccesso di frammentazione amministrativa rispetto ai fenomeni socio-economici da governare impone alla collettività costi evitabili, che si riflettono in una riduzione dei livelli di benessere presenti e futuri.
Una recente ricerca condotta sulla Toscana, Regione che non è tra quelle con i più alti livelli di frammentazione, ha concettualizzato due tipi di costi evitabili, definiti costi espliciti e impliciti. (2)
I costi espliciti sono dati sostanzialmente dai costi fissi di funzionamento degli enti nella loro parte di amministrazione generale e di rappresentanza politica e sono quantificabili in modo relativamente facile. Una semplice rappresentazione della spesa pro-capite dei comuni per funzioni e classe dimensionale evidenzia il mancato sfruttamento di economie di scala per i costi di funzionamento degli enti sottodimensionati (grafico 1).

Grafico 1 – Comuni toscani. spesa corrente pro-capite complessiva (scala dx) e per alcune funzioni (scala sn). 2010

Cattura

Fonte: elaborazioni Irpet su Certificati dei conti consuntivi

I costi impliciti sono più difficili da misurare, ma sicuramente più importanti per il futuro delle collettività locali. Rappresentano una sorta di costo opportunità della polverizzazione istituzionale, cioè quelle occasioni di miglioramento dei servizi pubblici locali e di sviluppo socio-economico cui si rinuncia non adeguando l’assetto istituzionale alle esigenze delle comunità locali moderne. Come loro proxy si possono utilizzare la scarsa disponibilità di competenze e i ridotti margini di decisione politica di cui dispongono i comuni sottodimensionati, come pure la duplicazione di funzioni di base che caratterizza le aree metropolitane frammentate in molti enti diversi. La tabella 2 riporta le prime due informazioni per i comuni toscani.

Tabella 2 – Comuni toscani. dotazione di personale dipendente e caratteristiche degli amministratori locali. 2010

Cattura

* si intende la somma di sindaci, assessori, consiglieri comunali  e di quartiere
Fonte: elaborazioni Irpet su dati ministero del Tesoro – Conto annuale del personale e dati Certificati dei conti consuntivi

UNA RIDUZIONE POTENZIALE DEL 20% DEI COSTI FISSI DI FUNZIONAMENTO

Dall’osservazione delle evidenze empiriche si passa quindi a un esercizio di simulazione, che riorganizza la maglia comunale in modo da renderla più coerente con i confini reali dei sistemi socio-economici locali. In particolare, i comuni esistenti vengono accorpati secondo due maglie territoriali alternative, quella dei sistemi locali del lavoro (Sll) e quella delle zone socio-sanitarie (Zss), che pur nella loro diversità hanno in comune il fatto di raggruppare gli enti locali secondo un criterio che approssima sufficientemente il funzionamento reale di una comunità. La prima si basa sui bacini del pendolarismo quotidiano, la seconda sulle aree di programmazione dei servizi socio-assistenziali locali.
L’obiettivo della simulazione è di quantificare il risparmio che il nuovo assetto consentirebbe in termini di costi di funzionamento espliciti del governo locale, divisi nelle due componenti di costi della burocrazia (sostanzialmente il costo del personale addetto alle funzioni di amministrazione generale) e di costi della politica (vale a dire la somma delle indennità degli amministratori locali e della spesa per i servizi di supporto agli stessi). I risultati dell’esercizio sono riportati nella tabella 3.

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Tabella 3 – Simulazione della spesa per amministrazione generale (burocrazia) e per organi istituzionali (politica)

Cattura

Fonte: elaborazioni Irpet

Le stime fatte sulla Toscana indicano un risparmio potenziale pari al 20 per cento di quanto speso nel 2010 per il funzionamento degli enti, derivante principalmente da un risparmio sui costi della burocrazia. Ciò perché i costi della politica a scala locale hanno un peso molto contenuto, anche se l’esercizio di accorpamento proposto arriva comunque a dimezzarli. Se poi la crescita dimensionale dei comuni dovesse rendere definitivamente superfluo il ruolo delle province, come è ragionevole ipotizzare, il risparmio potrebbe aumentare di 171 milioni di euro (146 milioni di amministrazione generale e 25 di costi della politica).
Su scala nazionale, secondo un calcolo molto grossolano, si può ipotizzare un risparmio potenziale di circa 5,7 miliardi di euro, di cui 3,3 dai costi fissi di funzionamento dei comuni e 2,4 da quelli delle province, che corrispondono a circa 100 euro per cittadino all’anno.
In entrambi casi, il risparmio potenziale si riferisce solo ai costi espliciti di funzionamento e non comprende dunque i vantaggi ottenibili sul lato dei costi impliciti, a cominciare dal miglioramento delle capacità di governo e dall’accrescimento del potere decisionale.

 

(1) L’accorpamento qui proposto va oltre la soluzione dell’unione presente ad esempio nel disegno di legge Del Rio (Ddl1542/2013).
(2) Si veda Iommi S. (2013 a), “Dimensioni dei governi locali, offerta di servizi pubblici e benessere dei cittadini”, Irpet, Firenze; e Iommi S. (2013 b), “Governo locale e benessere dei cittadini: i costi evitabili della frammentazione”, in Istituzioni del Federalismo, 2, pp.617-642. In Toscana i comuni con popolazione fino a 10mila abitanti rappresentano il 70 per cento del totale contro l’85 per cento a livello nazionale e percentuali intorno al 90 per cento in Piemonte e Lombardia.

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12 commenti

  1. Emilio

    Difficile se non impossibile smantellare l’Italia dei Comuni. Il campanilismo è favorito dalla natura del territorio ed è un retaggio storico. Nessuno può unire mentalità e culture differenti anche se poco distanti. Senesi, aretini e livornesi si mettono ancora oggi le dita negli occhi. Siamo nati e cresciuti così.

  2. Nino

    Quanta ignoranza culturale, storica e valoriale c’è in molti professionisti. Sembra quasi che le loro elaborazioni siano solo in funzione dell’obiettivo che qualcuno finanzia per interesse. Accettare che tutto debba muoversi all’insegna del risparmio e dei tagli è francamente deleterio. C’è sempre qualcuno che lavora per accantonare la memoria e la storia.

  3. Giò

    Il vero costo amministrativo è rappresentato dalle Regioni e non dai piccoli comuni. Dimezzare gli stipendi ed il numero dei consiglieri regionali darebbe immediatamente un grande beneficio economico. Il campanilismo è un fenomeno, non un problema da risolvere a tutti costi. Stimolare la cooperazione tra i piccoli paesi sul territorio potrebbe dare molti benefici senza necessariamente eliminarli per costruire agglomerati senza radici. È l’appartenenza che consolida un vivere civile. Fate una ricerca nei piccoli comuni sull’accoglienza agli extracomunitari e vedrete che fenomeni di razzismo o intolleranza sono pressoché assenti.

  4. Enrico

    Concordo con l’articolo e purtroppo sono in disaccordo con i primi tre commenti: l’articolo pone la questione dei costi amministrativi e degli enti che fanno capo ai comuni, non quello del senso di appartenenza. Bisogna distinguere il Comune come organo amministrativo dal paese (non è che se il mio paese è gestito amministrativamente con un altro, mi sento meno paesano).

  5. Simone

    Sono anni che lo dico, anche io avevo fatto calcoli simili, tuttavia a mio avviso c’è anche un’altra variabile molto importante da considerare, il “Tasso di corruzione”, ovvero la facilità con cui gli amministratori dei piccoli comuni sono corruttibili: più un comune è piccolo più le cifre di corruzione sono modeste, dunque accessibili a tutti. Gli amministratori ed i tecnici di un comune da 1.000 abitanti ad esempio con 1.000-2.000 euro sono corruttibili, per cui vi si ricorre con facilità e per tutto. Gli amministratori di comuni da un milione di abitanti hanno tariffe ben più alte, che possono arrivare anche oltre il milione di euro, per cui in proporzione ricevono meno tangenti dei comuni piccoli.

  6. alias

    Ottimo articolo. sottoscrivo pienamente. l’opzione di accorpamento (in base alle zone socio sanitarie) potrebbe mettere in luce i diversi andamenti demografici, e le eventuali correlazioni tra spesa sanitaria e spesa amministrativa? ad es. in un ambito a bassa/media/forte crescita di popolazione, naturale o per saldo migratorio, come varia la spesa sociale, rispetto alla media? e come varierebbe, in ipotesi di accorpamento dei comuni, quella amministrativa?

  7. Luigi Oliveri

    Si commette l’errore, per l’ennesima volta, di ritenere che l’accorpamento dei comuni, sulla cui opportunità e modalità è giusto discutere, possa favorire l’eliminazione delle province. È una prospettiva sbagliata, perché confonde l’economia di scala dovuta alla fusione di funzioni intercomunali, con lo svolgimento di funzioni sovracomunali. Accorpamenti di comuni non sono idonei e utili per funzioni che comunque non sono da chiudere tra le mura comunali.

  8. rob

    è più corretto accorpare i piccoli Comuni o in ordine di tempo e di priorita eliminare 21 istituti IRPET?

  9. Massimo Matteoli

    Articolo estremamente interessante che dovrebbe essere la norma del dibattito sui sistemi locali di governo.
    Purtroppo invece di ragionare sul modo migliore ci siamo fossilizzati (anche noi cittadini) sull’abolizione delle province, senza nessuna riflessione (e, cosa più grave, nessuna norma di legge) sulla gestione dei servizi di area vasta.
    L’aggregazione dei Comuni su dimensioni ottimali non è solo la strada migliore, ma a questo punto l’unica possibilità per evitare un neocentralismo dello Stato o delle Regioni che sarebbe ben più grave della peggiore Provincia.

  10. a.f.

    L’articolo è molto interessante, pero` calcola solo i costi e le loro differenze a regime e non cerca di quantificare anche il costo e i disagi, mancata efficienza ed efficacia, della transizione.

  11. Credo anch’io che le aggregazioni spaziali dei nano comuni possano essere un driver per una migliore governance del territorio. Lo ribadiamo più volte sul sito di OpenCalabria.com : lì una cosa di cui si discuteva era la dicotomia geografica delle fusioni già finanziate. Solo una a Sud…. Ci sarà un motivo, oltre i conti?

  12. Quasi nessuno affronta il problema rispondendo alla seguente domanda
    la vigente legislazione con i suoi 8.000 Comuni è compatibile con i principi costituzionali (art. 118) di sussidiarietà, differenziazione e di ADEGUATEZZA , applicando i quali la ripartizione della titolarità delle funzioni fra i vari livelli di Enti, chiamati a operare a favore delle rispettive Comunità, deve necessariamente tener conto anche di questi principi?

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