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Nelle elezioni di “midterm” una prova di democrazia

I numeri e la storia ci dicono che per i democratici la conquista del Senato nelle elezioni di Midterm è un’impresa quasi impossibile. Ma alla Camera la probabilità di un cambio di maggioranza supera l’80 per cento. Così si rafforza la democrazia Usa.

I numeri del Senato e della Camera

Il 6 novembre si svolgeranno negli Stati Uniti le cosiddette elezioni di Midterm, che prevedono il rinnovo di un terzo del Senato e dell’intera Camera dei rappresentanti, l’elezione del governatore in molti stati oltre a quella di altre cariche locali. I risultati di questa tornata elettorale sono particolarmente importanti poiché da essi dipende la capacità del presidente Donald Trump di governare nei prossimi due anni attraverso il controllo o meno di entrambi i rami del parlamento, oggi saldamente nelle mani dei repubblicani. In altri termini, potrebbe diventare, quello che in gergo è definita un’anatra zoppa (lame duck).                    

Al Senato il presidente non dovrebbe avere problemi poiché dei 35 senatori da rieleggere ben 24 sono democratici, 9 repubblicani e 2 indipendenti. Rimarranno invece in carica 43 senatori repubblicani e solo 24 democratici. Per riuscire a ottenere la maggioranza i democratici non solo dovranno difendere i loro candidati in 24 stati, ma dovranno conquistarne altri quattro a forte tradizione repubblicana, come il Texas e il Nevada o il Mississippi. In altre parole, la metà degli stati oggi governati dai repubblicani dovrebbe passare ai democratici. L’impresa è resa ancora più difficile dal fatto che in 5 casi su 9 il candidato repubblicano in carica si ripresenta (incumbent running), con una forte probabilità di essere rieletto, data la sua maggiore notorietà. Ancora, i democratici dovranno difendere 10 seggi in stati conquistati da Trump nelle presidenziali 2016, mentre i repubblicani solo quello del Nevada, espugnato da Hillary Clinton. In conclusione, la conquista della maggioranza dei seggi al Senato da parte democratica appare un’impresa quanto mai improbabile se non impossibile.

Molto diversa è la situazione alla Camera dei rappresentati. Qui all’apparenza i repubblicani godono della forte maggioranza di 236 deputati contro i 193 dell’opposizione. I democratici dovranno quindi guadagnarsi almeno 25 nuovi rappresentanti. Tuttavia, nelle ultime 18 elezioni di midterm del secondo dopoguerra, il partito del presidente ne ha sempre persi in media 25. Quando poi il presidente godeva di una popolarità inferiore al 50 per cento (in base alle indagini di Gallup) la perdita è risultata mediamente di 37 seggi. Solo Bill Clinton nel 1998 e George W. Bush nel 2002 riuscirono a far guadagnare qualche seggio al loro partito; tuttavia al momento delle elezioni godevano entrambi di un consenso altissimo: rispettivamente del 66 e del 63 per cento. Oggi Donald Trump ha un tasso di gradimento di solo il 40 per cento, valori non dissimili da quelli registrati da Harry Truman nel 1950 e Ronald Reagan nel 1982, che portarono i loro partiti a perdere una trentina di rappresentanti.

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Un sistema che funziona

Ovviamente, questi calcoli aritmetici hanno una scarsa significatività statistica. Tuttavia, sono corroborati dai sondaggi che da qualche mese danno ai democratici una probabilità di conquistare la Camera dei rappresentanti superiore all’80 per cento e di eleggere oltre 230 rappresentanti contro circa 200 dei repubblicani.

Certo, nelle prossime settimane la situazione potrebbe cambiare. Ad esempio, le comprovate interferenze russe potrebbero giocare un ruolo più rilevante o potrebbe emergere qualche candidato outsider. Se però le cose non dovessero mutare radicalmente, il tanto vituperato sistema elettorale americano (quello che assegnando un peso sproporzionale alle aree rurali, favorisce sia i presidenti che i senatori e i rappresentanti repubblicani e che ha permesso a Trump di essere eletto senza avere la maggioranza dei votanti; e che prevede la nomina a vita dei giudici della Corte suprema) ancora una volta metterebbe in campo quei meccanismi di pesi e contrappesi (check and balance) che finora hanno permesso alla democrazia americana di esistere e di tutelare le minoranze sconfitte.

Figura 1 – Sondaggi delle elezioni americani alla Camera dei rappresentanti

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  1. Henri Schmit

    A me le elezioni di mid terme ispirano una riflessione diverse, sconnessa dai calcoli politici contingenti. La Camera dei Rappresentanti è eletta per intera ogni due anni; questo rinforza il potere dell’elettOrato ma indebolisce la Camera. Il Senato è eletto per un terzo ogni due anni; questo indebolisce l’elettorato e rinforza il Senato; crea anche una opportuna continuità. Il voto rigorosamente individuale riduce al minimo il rischio di chiusura autoreferenziale e avvicina il voto nelle camere alle preferenze degli elettori. Tutto l’opposto del sistema rappresentativo che vige in Italia. L’ultimo progetto di revisione costituzionale avrebbe potuto essere l’occasione di riformare davvero il Parlamento. Piuttosto che leggi elettorali omogenee, un’assurdità, sarebbe preferibile un legislatore monocamerale eletto su base individuale (con o senza liste) e un Senato nominato dai deputati, a quote annuali, con singoli mandati lunghi, con poteri molto ampi (pareri obbligatori e iniziativa di legge in tutte le materie) ma solo consultivi, eventualmente sospensivi nelle materie più importanti. L’Italia sarebbe più democratica, il Parlamento più snello, la maggioranza più coerente, la legislazione per merito del senato consultivo di maggiore qualità e di minore volatilità.

  2. Ermes Marana

    Ci vuole un bel coraggio a dire “Un sistema che funziona” al modello americano dopo che:
    1. Un presidente é stato eletto con la minoranza dei voti (perché tanto contano i grandi elettori)
    2. Uno stupratore alcolizzato incompetente sta per essere nominato alla corte suprema (posizione non politica) sulla sola base che si é giá compromesso politicamente nel rendere illegale l’aborto
    3. I repubblicani mantengono la maggioranza solo grazie a disgustose politiche di gerrymandering.

    Peró alle midterm “forse” i democratici guadagneranno qualche seggio perció “tuttapposto”.

    • Henri Schmit

      Il fatto che tutti accettano il risultato elettorale ottenuto con una regola inadeguata ma non contestata e non riformata prima delle elezioni non è un segno di degenerazione ma una lezione di democrazia.

  3. lorena

    chissà come mai ho il sospetto che a parti invertire Lei non auspicherebbe la vittoria dei repubblicani alla Camera “come rafforzamento della democrazia”. Siamo sempre lì. Il concetto di democrazia per un liberal è quanto di meno democratico ci sia perché contrario al “pensiero unico” (e infatti non pubblicate mai le voci fuori dal vostro coro)

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