Comcast conquista Sky, mentre Disney si aggiudica Fox. Si conclude così un’aspra battaglia. E si ridisegna lo scenario di una sfida planetaria incentrata non solo sui contenuti, ormai allargati all’intera offerta televisiva, ma anche sulla pubblicità.

Fine di una battaglia

Nell’aspra battaglia tra Comcast e Disney per la conquista dell’impero audiovisivo di Rupert Murdoch, alla fine è successo quello che molti si aspettavano: Disney ha acquistato Fox per oltre 70 miliardi di dollari e Comcast, che dopo una serie di rilanci si era ritirata dalla partita, ha comprato Sky per 40 miliardi. L’acquisto congiunto di 21th Century Fox e Sky plc sarebbe costata a Disney una cifra esagerata, che neppure la potente società di Topolino poteva sostenere.

Rupert Murdoch, con il suo 39 per cento di Sky, si avvia ora ad accettare l’offerta di Comcast: dai due mega accordi otterrà profitti miliardari, ma allo stesso tempo uscirà (forse) definitivamente da un settore che lo ha visto per decenni assoluto e indiscusso protagonista. A festeggiare, tuttavia, per ora sono certamente i fondi e in particolare chi – come Elliott (azionista di riferimento di Telecom Italia) – con l’operazione ha raddoppiato il proprio valore in termini di plusvalenze.

Comcast riesce certamente a portare a casa un importante risultato, dopo lo schiaffo di Fox, ma al contempo entra nel club ristretto e non troppo ammirato delle società con oltre 100 miliardi di dollari di debiti, insieme a Verizon e At&t, protagoniste anch’esse di grandi acquisizioni nel recente passato.

Uno scenario che cambia

Ma quali conseguenze avranno sul sistema le due mega-acquisizioni, che si aggiungono a quella ancora più grande in valore di At&t e Time Warner?

Innanzitutto, campo da gioco e attori si stanno mano a mano definendo. Da un lato, le cosiddette Faang (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google) che da qualche tempo, ma con alterni risultati e con diverse strategie, cercano di conquistare l’attenzione e la disponibilità a pagare dei consumatori. Tra di loro, non vi è dubbio che Netflix prima e Amazon poi hanno investito nel settore nella maniera più efficace, sviluppando un modello di business convincente, facendo in qualche modo da battistrada e da benchmark rispetto agli altri.

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Dall’altra parte della barricata, operatori per così dire più tradizionali come Disney, At&t e Comcast, già in tutto o in parte integrati verticalmente, hanno ulteriormente accresciuto le dimensioni e ampliato i confini geografici, diventando società globali (e non più solo Usa o Europa), più attrezzate in questo modo a confrontarsi con i nuovi rivali nella sfida planetaria.

Tutte queste società hanno come primo obiettivo la creazione di una grande conglomerata che abbia al proprio centro internet e il modello di video streaming tanto caro a Netflix.

Ma le novità che adesso emergono sono diverse e di rilievo: i contenuti non saranno probabilmente più solo serie e cinema, ma l’intera offerta “televisiva” – a cominciare dallo sport (per esempio, Amazon, Sky con Comcast e Espn/Fox con Disney) – e non saranno più concessi ai rivali (Disney). Verranno utilizzati nel modo migliore i dati e le altre tecnologie innovative come intelligenza artificiale e machine learning, non solo per fidelizzare i ricavi a pagamento e il numero di abbonati, ma anche per sfruttare meglio le nuove opportunità offerte dall’innovazione nel mercato della pubblicità.

Nella fusione tra At&t e Time Warner, l’obiettivo apertamente indicato dai protagonisti, oltre a “comprendere e prevedere le abitudini degli spettatori per la produzione di contenuti”, era quello di “costruire pubblicità mirate per sostituire la pubblicità televisiva classica non personalizzata”. Una nuova fase, dunque, nella quale i precedenti equilibri sembrano sempre più vacillare.

Cosa accadrà in Italia

E per l’Italia quali potranno essere le conseguenze, vista la rilevanza che Sky ha nel nostro paese?

A prima vista, aver evitato un proprietario ingombrante come Disney, che opera nelle stesse aree di attività di Fox, sembrerebbe rassicurante per l’attuale management di Sky Italia. Il passaggio, anch’esso innovativo, effettuato con successo negli ultimi mesi da operatore satellitare a operatore multipiattaforma, sempre più concentrato su modelli di offerta anche non lineari, sul broadband e sullo streaming con accordi strategici con il maggiore operatore di video on demand al mondo (Netflix) appare in linea con le scelte strategiche di Comcast oltre Atlantico e in forte antitesi con quelle di Disney, attualmente il più forte e convinto oppositore di Netflix.

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Disney avrebbe probabilmente sostenuto il sempre più vasto movimento contro Netflix che si manifesta sia in Italia che in Europa, finendo forse per rimettere in discussione le scelte dell’attuale management Sky, che invece stanno producendo effetti positivi per l’azienda, in termini di accresciuta centralità nel sistema televisivo e nella convergenza tra reti e contenuti nel nostro paese. Proponendosi di fatto come unico operatore a pagamento e in prospettiva come punto di accesso essenziale (one stop shop) per ogni tipo di servizio nelle abitazioni.

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