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Se la responsabilità medica finisce in un vicolo cieco

Il diritto del paziente all’integrale risarcimento del danno patito ha prodotto una moltiplicazione delle pretese risarcitorie. E un aumento dei premi di assicurazione dei medici. Ma anche le norme varate per riequilibrare la situazione sollevano dubbi.

Una normativa in evoluzione

Nei casi di negligenza e imperizia medica, tradizionalmente l’attenzione si è concentrata sulle forme di tutela del paziente. Tuttavia, dal punto di vista giuridico come da quello economico, è molto interessante anche porsi il problema sotto un diverso profilo: come si tutela il medico? La normativa, in evoluzione, sembra più sollevare dubbi che stabilire certezze.
Lo stratificarsi delle regole giurisprudenziali in tema di responsabilità medica, in nome del diritto del paziente-danneggiato all’integrale risarcimento del danno patito, ha creato nel tempo un sistema senza uscita per chi esercita la professione sanitaria: i medici, e le strutture in cui operano, sono divenuti bersaglio di una pioggia di pretese risarcitorie per la generalità indistinta dei casi in cui l’esito dell’intervento medico fosse stato diverso da quello sperato (ogni anno sono circa 34mila le denunce per danni subiti in strutture ospedaliere, secondo l’Osservatorio sanità – Ania).
Il consistente numero di pretese, unito al sistema di favore che le corti hanno creato intorno al paziente-danneggiato – in particolare in tema di ripartizione degli oneri probatori tra questi e il medico o la struttura ospedaliera – ha destato gravi preoccupazioni sia nella classe medica sia nelle compagnie assicurative. La prima ha reagito con condotte di esasperata prudenza, le cosiddette condotte di medicina difensiva. Le seconde, invece, hanno risposto con l’innalzamento dei premi assicurativi.
La situazione che si è creata ha richiesto un urgente intervento correttivo, così da riequilibrare le posizioni delle parti (potenzialmente) in lite, nel tentativo di abbassare i costi dell’intero sistema.
Sul fronte penalistico la legge 24 del 2017 (entrata in vigore il 1° aprile) è intervenuta inserendo nel codice penale l’articolo 590-sexies, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, che limitatamente alla sola imperizia (come del resto fa, sul piano della responsabilità civile, l’articolo 2236 codice civile, applicato in giurisprudenza anche al medico chiamato in via extracontrattuale) ha continuato il progetto, iniziato con la legge 189/2012, di escludere la responsabilità penale per i casi di colpa lieve, ogniqualvolta il medico abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida, o, in mancanza di queste, dalle buone pratiche clinico-assistenziali.

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Due importanti novità

Sul fronte civilistico, invece, le novità sono due. Innanzitutto, l’articolo 7 prevede che il medico, quando opera all’interno di una struttura sanitaria (anche se in regime di libera professione intramuraria), il medico sia responsabile in via extracontrattuale verso il paziente (tranne, dunque, nei casi in cui questi abbia stipulato un contratto direttamente con il medico), con ricadute sul regime dell’onere della prova e della prescrizione, entrambi più rigorosi per il danneggiato rispetto al sistema di responsabilità contrattuale. Di conseguenza, per fare uso delle più favorevoli regole della disciplina di responsabilità contrattuale, il danneggiato dovrà rivolgersi non già al medico direttamente, ma alla struttura ospedaliera, che a sua volta potrà rivalersi sul medico, ma solo nei casi di suo dolo o colpa grave (articolo 9). Inoltre, nell’intento di una più ampia distribuzione sociale dei costi dell’attività sanitaria, gli articoli da 10 a14 introducono, tra le altre cose, un obbligo di copertura assicurativa (o di altre “analoghe misure”) per le strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche e private e di adeguata polizza di assicurazione per colpa grave per il medico, insieme all’introduzione della possibilità, per il danneggiato, di azione diretta contro la compagnia assicurativa, nonché di un fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria. Tuttavia, l’obbligo assicurativo è unilaterale: solo gli operatori sanitari sono obbligati ad assicurarsi, mentre le compagnie assicurative non ne hanno alcuno a contrarre, rimangono libere di non assicurare il richiedente, qualora il contratto non appaia conveniente.
Appare molto curiosa, almeno in prima battuta, la mancanza di obbligo per le assicurazioni: cosa succederebbe se una struttura sanitaria o un medico non riuscissero ad assicurarsi o se l’assicurazione non coprisse l’intero danno? Basterà a quel punto il fondo di garanzia a coprire i danni derivanti da responsabilità sanitaria, nonostante che la legge vi ponga un limite massimo? O sarà la presenza stessa del paracadute del fondo di rischio a disincentivare un rigore nel sistema assicurativo? E chi pagherà per tutte queste incertezze?

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  1. rosario nicoletti

    Forse, è la Giustizia che è finita in un vicolo cieco. L’articolo è interessante, mettendo a punto la situazione, così come determinata dalle leggi. Ma quello che non funziona è il “giustizialismo”, l’idea cioè che debba sempre esserci un colpevole: la scienza medica non può avere incertezze, e le colpe vanno sempre ricercate tra i “potenti”. Auguri al nostro povero Paese.

  2. ANGELAMARIA SANTORO

    Se la salute è un bene pubblico e non vi è contratto diretto tra il cittadino e il SSN, quando le risorse sono pubbliche e non private, in caso di errore sanitario il cittadino dovrebbe intentare la causa allo Stato e ricevere un risarcimento per i propri diritti lesi, non quantificato sul danno biologico o da
    sul lucro cessante ma tenendo conto dell’impatto sulle risorse disponibili per la salute come bene pubblico. Lo Stato dovrebbe rivalersi, poi, nei confronti della Struttura nel caso che non abbia ottemperato al compito affidatole e questa far ricadere la colpa sull’operatore che non si è attenuto alle disposizioni o alle linee guida. Se si applicasse questo principio, si raggiungerebbero almeno quattro risultati: 1. adeguamento delle Strutture sanitarie agli standard e alle linee guida; 2. controllo dello Stato sulle Regioni almeno sullo standard delle cure; 3. ritorno del mercato delle assicurazioni per adeguamento dei rimborsi; 4. riduzione dei costi dei rimborsi per le casse pubbliche. Nulla vieta al privato cittadino di assicurarsi per il risarcimento del danno biologico da errore sanitario. L’apertura di questo nuovo mercato assicurativo potrebbe migliorare anche l’offerta pubblica sanitaria che a quel punto si dovrebbe adeguare pena l’esclusione da questa nuova quota di pazienti assicurati. Di questo inevitabilmente beneficerebbero anche i cittadini non assicurati dal momento che gli interventi più rischiosi si realizzano proprio nelle strutture pubbliche

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