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Perché va difesa l’Europa della concorrenza

L’Europa ha svolto un ruolo importante per la modernizzazione del nostro paese, spingendoci verso una politica della concorrenza. Oggi queste politiche sono sul banco degli imputati, ma vanno difese. Mercati più concorrenziali sono un alleato dei consumatori.

La svolta degli anni Novanta

Nel valutare l’importanza della adesione italiana al progetto europeo, i temi dello sviluppo dei mercati e della concorrenza occupano un posto centrale. Sin dal Trattato di Roma, negli articoli 85 e 86, infatti, lo sviluppo di una politica della concorrenza veniva individuato tra i compiti cruciali per la creazione di un mercato unico all’interno dell’Europa e per la promozione del benessere dei consumatori.
Per molti anni, tuttavia, il nostro paese ha tardato a dotarsi di una legislazione di tutela della concorrenza, approdata solamente nel 1990, con la legge 287, a un testo definitivo coerente con le norme dei Trattati. La contemporanea creazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha definito poi l’attore istituzionale cui l’applicazione pubblica delle norme è demandata.
Da allora l’attività dell’autorità antitrust italiana si è sviluppata con accelerazioni e momenti di difficoltà, in un sistema economico che tuttavia, soprattutto nei grandi comparti dei servizi, dimostrava tutta la sua estraneità alla logica della concorrenza, facendo dire a uno dei primi presidenti dell’Agcm di una faticosa azione “di profeti in terra di infedeli”.
Assieme a questo passaggio importante, durante l’ultimo decennio dello scorso secolo, l’Unione europea ha promosso la liberalizzazione di alcuni grandi settori di pubblica utilità. La logica sottostante era basata sulla scomposizione verticale dei diversi segmenti, tra quelli che per loro natura erano monopoli naturali, tipicamente le grandi infrastrutture di trasporto dei servizi, e questi ultimi, che invece potevano essere aperti alla concorrenza. Separazione verticale, accesso non discriminatorio alle infrastrutture di rete, apertura della domanda hanno rappresentato i capisaldi su cui la Commissione europea ha emanato direttive quadro per i settori elettrico e del gas naturale e le telecomunicazioni, chiamando gli Stati membri a redigere un programma nazionale di liberalizzazione secondo una comune tabella di marcia.
Il processo ha determinato l’apertura, alla fine degli anni Novanta, di questi settori, con una serie di riforme e di atti politici e amministrativi che hanno portato alla scomposizione dei precedenti monopoli pubblici verticalmente integrati e alla privatizzazione di una serie di attività. Autorità di regolazione settoriali sono state introdotte per la sorveglianza dei segmenti di mercato che rimanevano in regime di monopolio. L’Italia è stata molto spesso una apripista rispetto ad altri paesi europei nell’attuazione delle politiche di liberalizzazione. Da allora molte cose sono cambiate, il processo ha portato a modificare fortemente le strutture industriali dei settori di pubblica utilità, promuovendo efficienza e innovazione.

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Vantaggi per i consumatori

Se in alcuni mercati, in primo luogo le telecomunicazioni, i vantaggi delle liberalizzazioni in termini di prezzi, innovazione e sviluppo dei servizi sono sotto gli occhi di tutti, nell’ambito dei settori energetici i benefici per il consumatore finale non sono sempre stati evidenti. Per l’importanza cruciale dei prezzi delle materie prime, che in fase di apprezzamento possono rendere impossibile cogliere il contemporaneo processo che fa diventare più efficienti i mercati sottostanti. E per il sovrapporsi alle politiche di liberalizzazione di quelle sui cambiamenti climatici, che hanno spinto a uno sviluppo accelerato degli investimenti in fonti energetiche rinnovabili attraverso il disegno di incentivi non sempre ben programmati e studiati. Pur con il conseguimento degli obiettivi europei in materia di clima, l’effetto di queste politiche di incentivazione ha messo i mercati elettrici di fronte a problematiche che non erano state pensate nella fase iniziale del loro disegno. Il grande sviluppo delle fonti rinnovabili pone infatti un problema di sostenibilità degli impianti tradizionali – che tuttavia restano necessari per garantire la sicurezza del sistema -, richiede nuove funzioni e investimenti nelle reti di distribuzione, impone un ridisegno delle regole di mercato per assicurare il bilanciamento in presenza di fonti intermittenti e non programmabili.
In altri segmenti dei servizi, dagli ordini professionali al commercio a farmacie e taxi, la strada indicata dall’Europa, e riassunta nel quadro della direttiva Bolkenstein, ha trovato invece un terreno più accidentato, laddove gli interessi colpiti includevano una base di consenso e una capacità di lobby cui la politica non ha saputo opporre la difesa dei ben più estesi interessi dei consumatori.
Oggi, nel clima mutato che vede le politiche di liberalizzazione e concorrenza sul banco degli imputati, il ruolo importante che l’Europa ha svolto per la modernizzazione del nostro paese va difeso con forza. Le critiche alla globalizzazione, la mancata difesa delle fasce sociali che hanno sofferto nei grandi processi di redistribuzione delle produzioni e della ricchezza, non può far dimenticare come queste stesse categorie sociali sono state tra quelle che maggiormente hanno beneficiato, come consumatori a basso reddito, dei progressi del commercio internazionale e della concorrenza. L’attenzione a meccanismi di assicurazione sociale che garantiscano il reddito delle fasce sociali più deboli non deve oscurare il fatto che mercati più concorrenziali e moderni sono un alleato quando il reddito viene speso.

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Più difesa, meno sociale nel primo bilancio di Trump

  1. Alessandro

    Se nelle università entrassero tanti bravi e giovani docenti probabilmente i vantaggi della libera concorrenza si trasformerebbero in svantaggi per i veterani delle università.

    • Sergio Curcio

      Non sono contrario alla concorrenza tutt’altro, ma questa non deve avere benefici momentanei, mentre nel futuro si proietta come monopolista. Altro aspetto sono le tasse. Chi attualmente promuove la concorrenza sono le multinazionali che pagano le tasse ( quando le pagano) in altri Paesi, rispetto a quelli dove operano. Faccio l’esempio di Airmb che in Francia a fronte di fatturati milionari ha pagato 40.000€ di tasse, mentre gli albergatori locali, pur soffrendo molto la concorrenza hanno contribuito per 3,6 miliardi di €, con i quali lo Stato può costruire strade, ospedali, erogare welfare ecc. In conclusione, il consumatore/cittadino, può guadagnarci economicamente nel breve periodo, ma nel futuro certamente no. Almeno fino a quando non si troverà il sistema a livello europeo di fare pGare ke tasse, laddove si procurano i guadagni.

  2. Libertario

    Ridicolo.
    La concorrenza esiste solo tra i poveri per i pochi e mal pagati costi di lavoro. L’economia europea, sequendo il pessimo modello post-reagan americano è zeppa di oligopoli, altro che concorrenza. Le stesse regole dell’UE vanno a favorire prestiti per le grandi multinazionali, tagliando l’accesso alle PMI.

  3. Enzo Pisano

    La vera concorrenza la si ha solo in presenza di un Regolatore che abbia poteri reali per tutelare consumatore e imprese.
    come può, ad esempio, sopravvivere un droghiere che deve combattere contro l’ipermercato che è aperto ogni giorno per sedici ore?
    come può un cittadino combattere contro le Assicurazioni che fanno cartello tra loro stabilendo tariffe a loro piacimento (non verificabili) sfruttando obblighi di legge come ad esempio la Responsabilità Civile Auto?

  4. Henri Schmit

    Ottimo articolo! Particlarmente importante nel contesto contingente, era Brexit e Trump, chiusure in alcuni paesi europei. Rimane vero che non esiste mercato, non esiste libertà, senza un’autorità che definisce e controlla il rispetto delle regole del gioco. L’inadeguatezza, la negligenza, l’inefficienza del legisaltore e degli organi di controllo CREANO l’anti-liberalismo.

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