La crescita delle piattaforme digitali pone nuove sfide alle autorità di regolazione. L’Unione Europea si muove, varando alcune linee guida su accessibilità, protezione del consumatore e trasparenza. E anche in Italia ci si prepara a discutere un disegno di legge sul tema. La concorrenza in rete.

L’autunno delle piattaforme

Se Karl Marx si risvegliasse e riscrivesse Il capitale, forse invece di “mezzi di produzione” scriverebbe “mezzi di connessione”.
Intanto, due vicende rendono l’autunno 2016 interessante per la regolazione delle piattaforme della cosiddetta sharing economy (l’economia della condivisione, il cui nome dovrebbe però essere sleeping asset economy – economia delle attività dormienti).
La prima riguarda il nostro parlamento, che ha anticipato le linee guida UE presentando un disegno di legge, da discutere nelle prossime settimane. Nella versione attuale, si avrebbero due novità: una regolazione leggera per l’ingresso delle piattaforme e una distinzione fiscale fra chi “arrotonda” il reddito e chi invece guadagna (oltre 10mila euro).
La seconda è invece l’avanzare lento della riforma generale del digital market nella UE, insaporita dal braccio di ferro fra Europa e i giganti Usa del web, Alphabet, Facebook e Apple, oggetto di indagini non solo fiscali, ma anche relative a concorrenza e uso dei dati.
Per convincersi che una qualche regolazione del settore è utile, basta considerare che per le piattaforme perdere un utente è come per una nave romana perdere un uomo ai remi: significa dover fare a meno di un pezzo di fattore produttivo. Eppure, un tempo cancellarsi dalle piattaforme (fisiche) era molto semplice: non si rinnovava la tessera del club, si interrompeva l’abbonamento alla rivista.
Sul fronte della privacy, contro lo strapotere delle piattaforme si stanno diffondendo in rete tecniche di nascondimento e inganno. Sul fronte dei media, invece, più difficile appare la battaglia dei giornali e riviste on line per ottenere dalle piattaforme aggregatrici come Google il pagamento dei diritti per i “ritagli” che compaiono quando si fa una ricerca (la maggior parte dei quali non viene cliccata).

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Mediatori ed effetto rete

Le piattaforme web (solo 27 su 186 sono europee) sono luoghi virtuali che fanno incontrare in modo “intelligente” due o più parti (match maker). A volte si fanno pagare dalle parti, più spesso si “accontentano” delle informazioni estratte.
La diffusione degli smartphone, che generano più di metà del traffico on line, ha accelerato la proliferazione di piattaforme e la battaglia per acquisire utenti e ridurre i costi di transazione: conquistare un utente di Chrome o di Google Play richiede sforzo, a meno che l’utente non si trovi l’applicazione già “piantata” sullo schermo (e non eliminabile).
L’effetto rete in piattaforme come Uber, AirBnb, TaskRabbit, Blablacar è potentissimo: più aumentano quelli che stanno da una parte del tavolo, più cresce la voglia per altri di sedersi dall’altra parte. Se dotate di sistemi di referaggio incrociato (il compratore valuta il venditore e viceversa), le piattaforme costruiscono fiducia tra le parti aumentando il valore economico della piattaforma.
L’intelligenza del match making si fonda sulla enorme quantità di informazioni riservate che le piattaforme estraggono gratuitamente dagli utenti su entrambi i lati del tavolo. La assenza di prezzi di ingresso nella piattaforma non significa gratuità dal punto di vista microeconomico, anche se potrebbe sembrare così dal punto di vista ragionieristico: le piattaforme non sono né sharing né collaborative economy. Amazon, ad esempio, possiede informazioni sui gusti di lettura di milioni di persone, e ne trae profitto.

Informazioni personali, competizione, regolazione

L’accesso esclusivo a fonti multiple di dati personali può conferire un vantaggio competitivo formidabile, anche se ciò non significa automaticamente che costituisca un abuso. In generale, è però riconosciuto che le autorità antitrust dovrebbero tenere conto dei problemi di degrado della privacy (privacy degradation).
La linea di difesa delle piattaforme sostiene che la eventuale mancanza di competizione nel mercato è compensata dalla competizione per il mercato. Un argomento che presenta un lato debole se si considerano le acquisizioni di pesci piccoli, potenziali competitor (Skype, Whatsapp, Instagram, Linkedin), fatte dai pesci grossi (Microsoft, Google, Facebook) a suon di decine di miliardi.
Alla luce di queste specificità, le linee guida proposte dalla UE (accessibilità, protezione del consumatore, trasparenza) sono un riferimento utile, ma ancora troppo generale: meglio sarebbe stato emanare una direttiva. Il disegno di legge italiano dovrebbe alleggerire, seguendo le indicazioni antitrust, gli adempimenti burocratici per i nuovi ingressi, aumentando la competizione per il mercato che implicitamente riduce i problemi di posizione dominante. Al contempo, andrebbero alleggeriti gli adempimenti formali a tutela dei dati personali (documenti, autorizzazioni, consenso) e rafforzato il potere di reazione del consumatore.
Il lavoro dei regolatori si svolge in un contesto di continuo cambiamento. Per la teoria della regolazione, abituata ai tubi dell’acqua e ai fili dell’energia, le piattaforme digitali sono una nuova sfida.

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