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“Dopo di noi”, buone intenzioni di scarsa efficacia*

La cosiddetta legge “Dopo di noi” dovrebbe garantire protezione, cura e assistenza ai disabili gravi, anche dopo la morte dei genitori. Ma non rimedia all’attuale frammentazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali. E la sua attuazione è minata da tempi incerti e percorsi complessi e tortuosi.

Legge con diversi limiti

La legge n. 112/2016, cosiddetta “Dopo di noi”, sulla “assistenza, cura e protezione” dei portatori di disabilità gravi non causate da naturale invecchiamento o patologie senili, è finalizzata a consentirne la progressiva presa in carico da parte delle strutture pubbliche “già durante l’esistenza in vita dei genitori” – in vista della loro scomparsa o del momento in cui non siano più in grado di fornire “adeguato sostegno”. Punta anche a evitare il ricovero dei disabili in appositi istituti, mediante, tra l’altro, soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing.
La normativa è un importante segnale di attenzione verso questi soggetti “fragili”. Tuttavia, sussistono alcune perplessità.
Già dalla relazione tecnica alla legge emerge la difficoltà di individuare con sufficiente precisione la platea dei disabili destinatari della disciplina. Non si predispongono infatti strumenti utili a una necessaria “ricomposizione conoscitiva” mediante l’utilizzo di sistemi informativi inter-istituzionali che siano in grado non solo di quantificare i soggetti interessati, ma anche di registrare le loro esigenze e gli interventi di cui sono oggetto. Peraltro, l’indeterminatezza del numero dei beneficiari rende arduo valutare la congruità delle risorse stanziate.
Le misure per il “dopo di noi” andranno inserite nel cosiddetto progetto individuale del portatore di handicap, che già viene redatto da comune e Asl per il “durante noi” (legge 328/2000). L’apprezzabile tentativo di sintesi in un unico documento non rimedia, tuttavia, all’inefficiente frammentazione degli attuali servizi sanitari e socio-assistenziali per i disabili, sia nelle prestazioni fornite (trasferimenti finanziari, supporto domiciliare, riabilitazione, centri diurni) sia nei soggetti erogatori (Asl, Inps, comune o altro). Inoltre, la nuova legge non prevede una figura che – specie in mancanza dei genitori ed eventualmente di altri familiari – si assuma la responsabilità del progetto complessivo, coordinando i vari enti coinvolti e verificando l’assolvimento dei rispettivi compiti.
In sintesi, l’assenza di un sistema informativo adeguato, di una effettiva integrazione fra tutti gli operatori coinvolti e di un’attività di monitoraggio e valutazione degli interventi costituisce una criticità rilevante.

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Le difficoltà di attuazione

A ciò si aggiunga che le finalità indicate dalla legge andranno individuate specificamente nell’ambito di cosiddetti obiettivi di servizio, i quali rappresentano una mera soluzione transitoria in attesa della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (Leps). Tuttavia, a differenza di questi ultimi, gli “obiettivi” non conferiranno il diritto esigibile alle prestazioni, le quali resteranno condizionate alla capienza del Fondo istituito dalla legge stessa. E poiché non è prescritto un termine entro cui fissare i Leps, il regime di assistenza per il “dopo di noi” rischia di rimanere indefinitamente provvisorio, minando una progettualità credibile, capace cioè di fornire ai disabili garanzie certe e politiche stabili nel tempo.
Il rischio è accentuato dal fatto che l’attuazione della legge n. 112/2016 viene rimessa a una serie di provvedimenti da adottare con il concorso di molteplici attori ed entro scadenze difficili da rispettare o addirittura imprecisate. Per esempio, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge (25/6/2016), il ministro del lavoro, di concerto con quello dell’Economia, previa intesa in Conferenza Stato-regioni, stabilisce gli “obiettivi di servizio”; nello stesso termine i medesimi soggetti, più il ministro della Salute, individuano i requisiti per l’accesso al Fondo, da ripartire tra le regioni in base a un ulteriore decreto del ministro del Lavoro da emanare entro sei mesi. Nessuna scadenza è invece fissata per la definizione dei Leps, né per la deliberazione da parte delle regioni degli indirizzi di programmazione e dei criteri e delle modalità di erogazione dei finanziamenti.
Intanto, la scadenza di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge per l’emanazione del decreto del ministro dell’Economia, di concerto con il ministro del Lavoro, in attuazione dell’articolo 6 è già stata disattesa. Peraltro, oltre ai tempi della decretazione, quelli tecnico-amministrativi per il trasferimento dei fondi alle Regioni potrebbero ritardare interventi concreti.
Dal 2017 la disciplina dispone, poi, anche benefici fiscali per erogazioni private, polizze assicurative, trust e soluzioni similari: la copertura delle agevolazioni connesse a questi strumenti, utilizzabili in prevalenza da chi si trova in situazioni di agiatezza economica, sottrarrà risorse a disabili più svantaggiati.
C’è da dubitare dunque che legge n. 112/2016 possa garantire “il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia” dei più fragili, in attuazione dei principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Per il “dopo di noi” è essenziale che certe espressioni normative non restino soltanto una formula vuota.

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* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.

 

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  1. Franco

    Apprezzabile l’attenzione. Rimane il gusto, un po’ stucchevole, di queste sintesi suggestive che ricordano più il lancio di un prodotto al supermercato che un provvedimento di legge..

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