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Due ombre sull’economia africana

Quali sono le prospettive dell’economia africana? Il boom demografico unito ai conflitti, all’instabilità politica diffusa e alle catastrofi ambientali avrà dirette conseguenze sulle scelte migratorie. Mentre anche le politiche delle istituzioni internazionali si devono misurare con la corruzione.

L’andamento del Pil africano

Cercare di capire l’evoluzione dell’economia africana è impresa non facile, anche a causa della scarsa affidabilità delle fonti statistiche. Il rapporto semestrale del Fondo monetario internazionale rappresenta la fonte di dati più autorevole. Nel 2015 il Pil dell’Africa sub-sahariana (esclusi cioè i sei paesi del Nord-Africa: Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto e Sudan) ha registrato una crescita del 3,4 per cento, inferiore rispetto ai valori del periodo 2001-2015 che avevano fatto sperare nell’avvio di una nuova era per il continente. Tra il 2001 e il 2010, alcuni paesi come ad esempio Angola ed Etiopia avevano infatti registrato una crescita del Pil a due cifre, superiore a quella cinese, e il Pil dell’intero continente era cresciuto di quasi un terzo. Tra i segnali del cambiamento, si sottolineano la formazione di un nucleo di 40 milioni di consumatori in undici paesi, il passaggio dai 60 milioni di telefoni mobili del 2004 ai 600 milioni del 2014, i quasi 200 milioni di utenti di internet. Il Pil africano vale oggi circa 2mila miliardi di dollari, la percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà assoluta è scesa sotto il 50 per cento e le iscrizioni alla scuola primaria raggiungono quasi l’80 per cento. I progressi sono importanti, anche se l’Africa rappresenta ancora solo il 3 per cento del commercio mondiale. Stiamo parlando di una economia ove le risorse naturali pesano per il 30 per cento della crescita e l’economia sommersa rappresenta ancora oltre la metà del totale, con la grande maggioranza dei lavoratori che si possono considerare irregolari e un prelievo fiscale medio attorno al 10-15 per cento del Pil. Il rallentamento dell’economia africana nell’ultimo anno si spiega soprattutto con il calo del prezzo di alcune materie prime, come il petrolio, e con la frenata dell’economia cinese che ha fatto diminuire le esportazioni africane verso il paese asiatico. L’influenza cinese in Africa è uno degli aspetti salienti del nuovo millennio: la Cina ha bisogno dei minerali africani per il suo sistema manifatturiero. Nel 2013, con 210 miliardi di dollari, il commercio Cina-Africa ha superato quello Europa-Africa (190 miliardi di dollari), così come diversi anni prima aveva superato quello Usa-Africa (85 miliardi di dollari). Oltre un milione di cinesi lavorano in Africa, impiegati soprattutto nella costruzione di infrastrutture e nell’edilizia. Tuttavia, dopo una prima fase di entusiasmo per rapporti definiti “paritari”, cominciano a emergere alcune divergenze, anche se non si segnalano ancora defezioni nei periodici vertici dei capi di stato africani a Pechino.

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Prospettive demografiche

Nel prossimo futuro l’Africa dovrà fare fronte a una crescita demografica senza precedenti: già ora il 60 per cento dei disoccupati è costituito da giovani, e tra il 2015 ed il 2050 le Nazioni Unite prevedono un raddoppio della popolazione africana da 1,2 a 2,5 miliardi, con ritmi di crescita più intensi nella parte centrale del continente. Il numero medio di figli per donna è ancora di cinque, ma è nettamente superiore nelle zone rurali, ove i piani di riduzione della fecondità per ora hanno dato scarsi risultati. In una ipotesi media, la Nigeria (già ora il paese più popoloso del continente) passerebbe dagli attuali 180 milioni di abitanti a oltre 500 nel 2050, diventando il quarto paese del mondo per popolazione (con una età mediana di 17 anni). Anche Congo ed Etiopia diventeranno giganti demografici di oltre 200 milioni di persone. È evidente che una simile situazione demografica, se non accompagnata da un forte sviluppo economico interno, rischia di dare nuovo impulso ai processi migratori verso l’Europa.

Corruzione e sfruttamento

Il secondo elemento che ha condizionato fortemente gli equilibri del continente è purtroppo quello dello sfruttamento e della corruzione, responsabile del fallimento di numerose politiche di cooperazione internazionale negli ultimi anni. Sintomatica, a questo proposito, anche l’inchiesta giornalistica sui cosiddetti “Panama papers”, che ha individuato circa 1.200 società offshore che operano in Africa contribuendo in maniera decisiva alla spoliazione delle risorse naturali del continente, attraverso una combinazione di basse tassazioni e di corruzione delle classi dirigenti. Già Tom Burgis  aveva documentato come la combinazione tra prezzi ingiusti delle materie prime imposti dalle multinazionali, bassi livelli di tassazione e corruzione delle classi dirigenti rappresentino una miscela esiziale per la grande maggioranza dei paesi del continente nero. Qualunque ragionamento sul futuro dell’economia africana viene quindi appesantito da un lato, dal boom demografico che, unitamente ai conflitti, all’instabilità politica diffusa e alle catastrofi ambientali, avrà dirette conseguenze sulle scelte migratorie. Dall’altro lato, dalla corruzione, che condiziona lo sviluppo e con cui si devono misurare anche le politiche delle istituzioni internazionali.

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  1. giancarlo

    Caro Stuppini con i fondi dell’ER facemmo due impianti di irrigazione di 5 ha ciascuno nel nord del Senegal. Funzionano ancora anche se ci vorrebbero alcune manutenzioni….Fu fatto senza ONG e il 96 % delle risorse andò alle donne ortolane. Credo che la Regione non abbia fatto neanche una verifica. Peccato !! Avrebbe scoperto che non ci fu corruzione nè sprechi. E poi credo che l’ER non si sia più interessata del Senegal. In compenso il governo italiano ha sprecato i milioni di € del PLASEPRI !!!Questo per dire che non solo un certo “Occidente” ruba e corrompe, ma si impegna poco anche nel gestire con serietà gli aiuti. In Senegal ci sono soggetti imprenditorialmente seri e capaci. Specialmente in agricoltura, dove l’ER potrebbe fare moltissimo.
    Saluti cordiali. Nel millennio scorso io dirigevo il Consorzio Il Mappamondo a Ravenna.

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