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“Independence day”, ma per chi?

Scozia, Irlanda del Nord e città di Londra chiedono l’indipendenza dal Regno Unito per rimanere nell’Unione Europea. In base ai Trattati Ue, solo la prima può farcela, perché è una nazione con una identità culturale, geografica e storica ben definita. Ma si possono immaginare anche altre soluzioni.

Tre nuove richieste di indipendenza

Il 23 giugno 2016 rischia di passare alla storia europea come il “giorno dell’indipendenza” in un senso assai diverso da quello invocato da Nigel Farage, il politico inglese che ha guidato con successo la campagna per la Brexit.
Non erano passate nemmeno 24 ore dalla proclamazione dell’esito del referendum che già erano state formulate altre tre richieste di “indipendenza” nel Regno Unito. La prima, come ci aspettava, dalla Scozia, la cui prima ministra ha dichiarato che, a seguito della Brexit, la questione dell’indipendenza del suo paese tornava di piena attualità. La seconda avanzata, tra gli altri, dal presidente del Sinn Fein, che ha prospettato un referendum per un’eventuale separazione dell’Irlanda del Nord dal Regno Unito in vista di una riunificazione con la Repubblica di Irlanda. La terza, lanciata dal sito change.org e riportata ampiamente dalla stampa, relativa alla possibile separazione della City of London dal resto dell’Inghilterra. Le richieste mirano a mantenere le tre aree in questione all’interno della Ue, in considerazione del fatto che la maggioranza dei cittadini lì residenti ha votato per rimanere nell’Unione e non per lasciarla.
In base ai trattati europei è possibile che le richieste abbiano successo?

Decide l’articolo 49

L’articolo 49 del trattato Ue prevede che “ogni Stato europeo” che osservi i valori di democrazia, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani può domandare di diventare membro dell’Unione. La richiesta deve essere approvata dal Consiglio all’unanimità e dal Parlamento europeo a maggioranza. L’accordo di adesione tra Ue e Stato richiedente viene poi sottoposto alla ratifica di tutti gli Stati membri, che procedono secondo le rispettive norme costituzionali. La mancata ratifica anche di un solo Stato comporta il blocco dell’adesione.
Già la semplice lettura dell’articolo 49 rende chiaro che ben poche sono le possibilità della City of London di poter aderire, in quanto tale, alla Ue. Non è infatti uno Stato europeo e per diventare tale dovrebbe conquistare un’indipendenza politica dal resto dell’Inghilterra che non sembra all’orizzonte.
Non molto diversa appare la posizione dell’Irlanda del Nord, sebbene abbia già ora una sua identità nazionale e possieda strutture amministrative e di governo separate, ma non autonome, da quelle centrali. Peraltro se volesse riunificarsi con la Repubblica di Irlanda potrebbe non essere necessario passare per le procedure dell’articolo 49. Infatti, se si seguisse l’esempio della unificazione delle due Germanie, i trattati Ue diventerebbero automaticamente applicabili all’Irlanda del Nord come conseguenza della sua incorporazione nella Repubblica di Irlanda, proprio come si sono estesi di diritto alla Germania dell’Est a seguito dell’incorporazione di quest’ultima nella Germania dell’Ovest. Tuttavia, anche l’Irlanda, per procedere in tal senso, dovrebbe conquistare l’indipendenza politica dal Regno Unito e ciò, allo stato, non sembra realistico, posto che la sua popolazione si è ancora una volta divisa tra cattolici pro-Ue e protestanti pro-Brexit.

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Il caso della Scozia

Il caso la cui evoluzione è più realistica è quello scozzese. La Scozia è una delle nazioni che formano il Regno Unito con una identità culturale, geografica e storica molto ben definita. Si è decisamente pronunciata per rimanere nell’Unione (62 per cento per “remain”) e ciò ha consentito alla sua prima ministra di affermare che la Brexit trascinerebbe il paese fuori dalla Ue contro la volontà democraticamente espressa dagli scozzesi. Meno di due anni fa i cittadini scozzesi si sono espressi mediante referendum per rimanere nel Regno, ma la Brexit determina un cambiamento fondamentale delle circostanze politiche ed economiche che legittima abbondantemente la richiesta di una nuova consultazione referendaria. In caso di dichiarazione di indipendenza, la Scozia potrebbe accedere all’Unione quale Stato europeo mediante la procedura dell’articolo 49, senza che il Regno Unito, nel frattempo receduto, possa opporsi. Forse, data l’eccezionalità delle circostanze, si potrebbe immaginare anche un procedimento ad hoc – governato dalla regola della unanimità degli Stati membri nel Consiglio europeo – che eviti l’interruzione dell’appartenenza della Scozia alla Ue e i tempi della procedura dell’articolo 49.
Sarebbe poi possibile applicare il diritto e le politiche Ue alla Scozia (e alle altre aree “ribelli”) senza che essa si renda indipendente? Ossia, si può immaginare che nel Regno Unito vi siano aree governate da diversi regimi giuridici – Ue e ‘UK only’? Allo stato non ci sono precedenti, e la soluzione potrebbe rappresentare un precedente sgradito per qualche Stato con movimenti interni separatisti. Tuttavia, con il consenso di tutti gli Stati membri e del Regno Unito, l’ipotesi è giuridicamente percorribile. Si tratterebbe di un regime di semi-indipendenza delle aree in questione del tutto inedito nel campo del diritto internazionale. Ma dato che – secondo il raffinato malaugurio cinese – viviamo in “tempi interessanti”, vale la pena essere creativi.

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  1. Davide

    E’ possibile che merkel – holland, la coppia da sempre schierata x la più comoda convenienza dei propri rispettivi Stati si esprima pro-Scozia infastidendo gli inglesi? Io credo di no viste le tante altre occasioni di genuflessione a Downing Street. sbaglio? L’unica via mi pare quella del nuovo referendum scozzese

  2. Gianni Trezzi

    Dato che il referendum era consultivo e che l’uscita deve essere ratificata dal parlamento britannico, considerando l’importanza della decisone da prendere ed il risicato margine a favore della “Brexit” mi chiedo se non abbia senso per la Gran Bretagna convocare elezioni anticipate dove i due schieramenti pro/contro la permanenza nell’Unione europea possano confrontarsi nel merito e tramite una campagna elettorale politica, al fine di verificare democraticamente e definitivamente qual è la volontà dell’elettorato. Questa soluzione consentirebbe una maggiore chiarezza ed avrebbe il vantaggio di non obbligare il/la singolo/a deputato/a a porsi il dilemma: “Voto come vorrebbero gli elettori del mio collegio o come si è espressa la maggioranza?”.
    Il punto è: gli inglesi ci penseranno? Potrebbe essere una soluzione possibile?

    • Maurizio Cocucci

      Credo che stiano davvero prendendo in considerazione questa ipotesi, visto che Cameron ha deciso di non presentare la formale richiesta di separazione e al tempo stesso di accettare elezioni anticipate.

      • Gianni Trezzi

        Speriamo davvero che gli inglesi abbiano un moto di resipiscenza, per il bene loro, nostro e soprattutto delle future generazioni europee. pensare di potere fare da soli in un mondo sempre più interconnesso e globalizzato è pura follia! Confidiamo che non si debba modificare il famoso proverbio “Errare è umano…” con la nuova conclusione “…ma perseverare è inglese” 🙂

  3. Giorgio

    La Groenlandia usci’ dall’Unione Europea pur continuando a far parte della Danimarca e le isole Far Oer, a sovranita’ danese, non fan parte dell’Unione Europea. Non sono precedenti di stati solo parzialemente nell’Unione?

  4. enzo

    ormai si sta sfiorando il ridicolo. già l’ideona di cameron del referendum sulla UE era al limte. voglio dire che comprendo una scelta plebiscitaria per l’adesione ad un nuovo stato o federazione ma se tutti i trattati internazionali dovessero essere sottoposti a referendum.. Poi è uscita l’ideona di ripetere il referendum. e se vincono i remain che si fa la bella? Ora s mettono pure gli scozzesi: ma si può votare ogni anno per l’indipendenza ? e se un domani , ottenuta l’indipendenza, qualcuno torna a riproporre ciclicamente un referendum per tornare in GB? stiamo portando la democrazia al televoto ma qui non è X factor ed i rappresentanti del “popolo” devono assumersi responsabilità e non inseguire un consenso alla giornata

    • Gianni Trezzi

      Assolutamente d’accordo. Tra l’altro gli inglesi “remenano” da sempre il torrone sostenendo di essere gli inventori della DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA. Se così è, facciano il piacere di essere coerenti e la smettano con i referendum consultivi… Per una volta siamo più saggi noi italiani, dato che la nostra Costituzione vieta le consultazioni referendarie in ambito istituzionale, fiscale e per i trattati internazionali (e meno male!).

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