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La decontribuzione che verrà *

La conferma della decontribuzione per i contratti a tempo indeterminato sembra possibile. Ma in che forma? Per renderlo il contratto prevalente nel mercato del lavoro, è necessario che diventi meno costoso di quello a tempo determinato. In campo anche l’ipotesi di rinnovo solo al Sud o per le donne.
Come rinnovare l’incentivo
In vista della legge di stabilità si discute di rinnovo della decontribuzione per i contratti a tempo indeterminato, finora totale nei limiti di 8.060 euro all’anno per tre anni. La scelta del come procedere per riconfermare la misura si annuncia impegnativa in quanto la decontribuzione è una delle chiavi della ripresa occupazionale.
Le ipotesi sono sostanzialmente due e non necessariamente si escludono l’una con l’altra. La prima è una replica dell’attuale misura (quindi limitata nel tempo) magari concentrandola sul Sud o sulle donne; la seconda è rendere strutturale il taglio dei contributi (ovviamente si parla di un importo minore dell’attuale).
Solo per il Sud e le donne?
Entrambe le ipotesi hanno vantaggi e svantaggi. Se si concentrasse la decontribuzione sul Sud o sulle sole donne – due dei maggiori problemi dell’economia italiana -, l’incentivo a favore delle assunzioni a tempo indeterminato assumerebbe il ruolo di una vera e propria politica di intervento.
In mancanza di una strategia complessiva per il Mezzogiorno, si metterebbe a frutto uno dei pochi successi di policy in questa parte del paese. I contratti a tempo indeterminato, infatti, crescono relativamente di più al Sud: nel periodo gennaio- giugno sono saliti del 22 per al Sud e del 44 per cento al Nord rispetto a una crescita totale dell’occupazione del 5 per cento al Sud e 13 per cento al Nord. Inoltre, almeno l’anno scorso, il finanziamento degli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato è avvenuto attraverso il fondo di coesione territoriale, quindi a favore della scelta di concentrare il rinnovo degli incentivi temporanei al Sud vi sarebbe anche una ragione di finalizzazione del fondo di coesione. Il costo stimato di una replica degli incentivi attuali limitata al Sud Italia o alle donne è in tabella 1.
I costi del licenziamento
In ogni caso, sia che alla fine si decida per il rinnovo su tutto il territorio nazionale sia che si decida di concentrarlo geograficamente, se ci si ferma alla riproposizione di un incentivo temporaneo si rimane sempre esposti alla critica consueta: che ne sarà di tutti questi contratti allo scadere degli incentivi? Si tornerà al contratto a termine, magari leggermente meno di prima perché nel frattempo si è tolto il vincolo dell’articolo 18?
Se l’intento del Jobs act è quello di arrivare gradualmente a un nuovo equilibrio nel mercato del lavoro in cui il contratto prevalente è quello a tempo indeterminato senza l’articolo 18, allora bisogna porsi l’obiettivo di renderlo strutturalmente meno costoso del contratto a tempo determinato.
Assumendo che un contratto a tempo indeterminato e uno a termine paghino salari equivalenti, prima del Jobs Act i costi relativi erano sicuramente a sfavore di quello a tempo indeterminato, oggi, con il Jobs Act, è il contrario.
Il contratto a tempo indeterminato è ancora penalizzato dal punto di vista del costo di licenziamento: l’impresa deve pagare almeno un mese di retribuzione per ogni anno di anzianità nel caso di conciliazione rapida. Diversamente da prima il costo del licenziamento è certo. Tuttavia, oggi i contratti a tempo indeterminato godono di sconti contributivi totali che più che compensano i costi di licenziamento.
Ma un domani, in un nuovo equilibrio strutturale del mercato del lavoro dove non ci sarà più la decontribuzione totale, per compensare i costi di licenziamento di un contratto a tempo indeterminato sono necessari costi contributivi annuali inferiori rispetto al contratto a termine. Se un’impresa che apre una posizione a tempo indeterminato deve accantonare un mese per ogni anno di anzianità per prevedere un possibile futuro licenziamento, lo sconto contributivo deve corrispondere a un mese ogni anno, ovvero all’8 per cento. Tuttavia, in un contratto a tempo indeterminato il licenziamento non è un evento certo; assumendo che, diversamente da ora, la maggior parte dei contratti a tempo indeterminato terminino con un licenziamento (e quindi con il pagamento della somma prevista dalla conciliazione rapida) diciamo che esista la probabilità del 50 per cento di essere licenziati (oggi per questi contratti la probabilità è circa del 10 per cento). Lo sconto contributivo necessario ad accantonare la cifra necessaria per pagare la conciliazione rapida è quindi della metà, ovvero del 4 per cento.
Per evitare che al termine dei tre anni vi sia il ritorno massiccio al contratto a termine, bisogna dunque pensare a un gap contributivo strutturale di circa il 4 per cento a favore del contratto a tempo indeterminato. Se non si vuole alzare il contributo del contratto a termine, bisogna valutare i costi di una fiscalizzazione (si veda tabella 1) o della riduzione di qualche punto di contributi: in fondo, almeno per i giovani, la stabilità dei contratti più che compensa contributi più bassi ai fini della pensione. Un carriera stabile con pochi punti di minore contribuzione costruisce una pensione più generosa di una carriera instabile.
tabella leonardi
Le altre ipotesi di replicare temporaneamente gli incentivi o di renderli strutturali non sono necessariamente “alternative”. Per ora, si possono confermare gli sgravi nella forma attuale (magari trasformandoli in una politica di intervento di genere o di territorio) e contestualmente prevedere per il 2018, in occasione della rimodulazione dell’Irpef, l’introduzione della decontribuzione strutturale dei contratti a tempo indeterminato.
* L’autore è consulente del ministero dell’Economia e delle Finanze, ogni opinione è strettamente personale.

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La riformetta fiscale

  1. Silvestro De Falco

    Considerando che la contribuzione previdenziale è reddito differito, un abbassamento della stessa sarebbe un abbassamento del costo del lavoro, andando quindi nella direzione opposta a quella auspicata di innalzamento della domanda grazie a redditi più elevati.

  2. Michele

    Articolo illuminante. L’obbiettivo è rendere l’assunzione a tempo indeterminato a tutti gli effetti equivalente a quella a tempo determinato. Ti pagano un po’ quando ti licenziano (anche in modo arbitrario), ma ti hanno pagato meno contributi nel durante. Il risultato è chiaro: tutti precari allo stesso modo.

  3. Claudio Treves

    Due osservazioni: continuo a non capire perché non si limiti la decontribuzione all’occupazione incrementale rispetto ad es. a quanto registrato al 31/12 dell’anno precedente. La fonte potrebbero essere le CO.
    Secondariamente, un’ipotesi di decontribuzione soggettiva in un regime pensionistico di tipo contributivo comporterebbe un taglio drastico delle pensioni per i giovani.

  4. sandro

    è un errore aver tolto la detassazio e irpef dei premi di risultato. ripristinarla avrebbe un costo stimato dal ministero dell’economia,p er 500 mln di euro nel 106

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