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I rischi di una Fed troppo amletica

A inizio 2015 la Fed aveva annunciato l’intenzione di alzare i tassi entro fine anno. Siamo a settembre e la variazione ancora non c’è stata. La banca centrale Usa mina così la sua credibilità. E rischia di aumentare l’incertezza sui mercati finanziari. Il ruolo di orientamento delle aspettative.
Aspettando il rialzo dei tassi
A gennaio 2015 la Fed annunciava che entro fine anno sarebbe ripreso il ciclo al rialzo dei tassi di interesse. Dopo il meeting di settembre, il rialzo somiglia ancora di più a Godot. Siamo sicuri che arriverà, ma sempre più tardi.
Che cosa sta cambiando, o già è cambiato, tanto da rendere la Fed così prudente? La domanda è di cruciale importanza. Se la banca centrale più “centrale” del mondo si espone in modo così palese riguardo alle proprie azioni future e poi continua a indugiare nel tener fede agli impegni, mette in pericolo il capitale più grande di cui dispone: la credibilità. Cioè la leva principale con cui la politica monetaria è in grado di orientare le aspettative dei mercati finanziari e degli agenti economici in generale.
I dubbi che aleggiano sono due. Primo, che cosa sta succedendo di così importante nell’economia da indurre la Fed a mettere a repentaglio il proprio capitale di credibilità? Secondo, si tratta di qualcosa che riguarda l’economia americana, o invece più in generale l’economia mondiale?
Difficile si tratti dell’economia americana, nonostante i continui riferimenti della Fed alle condizioni non ancora del tutto soddisfacenti del mercato del lavoro. Se una banca centrale non è soddisfatta di un tasso di disoccupazione vicino al suo valore naturale, quando mai lo può essere? Il riferimento allo stato del mercato del lavoro sembra oramai del tutto strumentale. È come se la Fed spostasse continuamente in avanti la propria “soglia di soddisfazione”, in modo da giustificare una prudenza che in realtà dipende da altro. Ma che altro? Il riferimento nuovo nella decisione della Fed, forse senza precedenti, è quello al (presunto) stato dell’economia mondiale. Per un duplice effetto: (i) sulla dinamica dell’inflazione negli Usa; (ii) sulla volatilità dei mercati finanziari.
L’importanza dei fattori internazionali
Il dato centrale mi pare quindi il seguente: ritardando il rialzo dei tassi, la Fed mette a repentaglio la propria credibilità; e lo fa a causa di fattori che riguardano l’economia mondiale. Se così è (ma il fatto stesso che i mercati continuino a porsi domande su questo è fonte di incertezza e volatilità) significa che ritiene questi fattori di importanza cruciale. C’è allora da rimanere sorpresi: mai prima si era sentita la Fed attribuire tanta enfasi a “fattori internazionali” per giustificare le proprie decisioni.
È da tempo che la ricerca economica dibatte dell’effetto della globalizzazione sulla “sensibilità” del tasso di inflazione a movimenti della disoccupazione (la cosiddetta curva di Phillips). La domanda è se maggiore integrazione dei mercati dei beni abbia reso l’inflazione sistematicamente meno sensibile allo stato del mercato del lavoro, nonostante quella americana sia di fatto un’economia poco aperta agli scambi internazionali. Sarebbe senza precedenti una decisione della Fed che giustifica una politica monetaria accomodante in base al fatto che l’inflazione rimane sotto al target del 2 per cento per “cause internazionali”. I mercati si chiedono quindi: che modello di inflazione ha in mente la Fed?
Il secondo fattore internazionale che sembra aver pesato in modo decisivo nella decisione è l’instabilità dei mercati finanziari, in particolare quello cinese. Potrebbe sembrare di buon senso che la Fed decida per prudenza di ritardare il rialzo dei tassi per ragioni di “volatilità finanziaria”. Pensiamo però alle conseguenze di larga portata di questo punto. È normale pensare alla banca centrale come a un agente che orienta i mercati (essenzialmente tramite la struttura a termine dei tassi di interesse). Se è la Fed che orienta i mercati non è per niente normale immaginare che siano “i mercati a orientare la Fed”. In questo gioco di specchi, la conduzione della politica monetaria diventa indeterminata.
È proprio questo l’aspetto più problematico della posizione di chi (superficialmente) sostiene che la politica monetaria dovrebbe avere la “stabilità finanziaria” come proprio obiettivo. Qualcuno ha letto quindi la decisione della Fed come un passo verso un regime in cui la politica monetaria “è orientata dai mercati finanziari”. Niente come questo aspetto contribuirebbe a rafforzare l’incertezza e perciò l’instabilità sui mercati. Il che a sua volta renderebbe la Fed ancora più prudente. In questo labirinto, è quanto mai necessario che la Fed riacquisti il suo ruolo di orientamento delle aspettative. È forse questa la prova che sta mettendo così sotto pressione Janet Yellen.
 
 

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Il Punto

  1. Oscar Mina

    Come si possono associare due parole come ‘credibilità’ e ‘Fed’ nella stessa frase, vista la storia recente? E’ ridicolo pensare che la Fed goda di credibilità.
    Come si può prendere in considerazione il fatto che la Fed rialzi i tassi? Perché mai dovrebbe alzarli proprio ora o fra qualche mese? Quali dati avrà a disposizione che già non ha? Le dichiarazioni della Yellen hanno sempre girato attorno al fatto che tutto dipende dai dati. Ma non si è mai data una definizione di quali siano questi dati. Fingono di essere sul punto di alzarli per far credere che l’economia sia finalmente in salute. Non lo è, ma certo non lo diranno.
    Il problema è che non possono permettersi di alzarli. E’ un continuo annunciare che cela la realtà dei fatti: un QE che non può fermarsi. Altro che alzare i tassi! Alzo i tassi => recessione => necessità di riabbassare i tassi => figuraccia => peggioramento ulteriore della “credibilità”. Il messaggio è chiaro: continuiamo a ‘ubriacare’ il mercato con quello che sappiamo fare meglio: stampa, stampa, stampa. Cos’altro possono fare?
    Se un’economia è in salute non necessità di tassi allo zero percento. Quindi quale motivo giustificherebbe un rialzo? La decisione migliore sarebbe di lasciar scoppiare la bolla ed attraversare la crisi che fu forzatamente interrotta anni fa e che da loro fu creata. E sappiamo bene che nessuno vuole prendersi la responsabilità di attuare ciò, altrimenti vorrebbe dire che il QE è stato un fallimento.

  2. marcello

    I materiali pubblicati e la conferenza stampa successiva alla riunione di settembre della FED chiariscono le presunte perplessità dell’articolo. La variabile cruciale sembra essere il tasso d’inflazione che continua a essere molto basso (0,4%) e le crescenti criticità dei BRCS. E’ chiaro che in queste condizioni si cerchi di ritardare l’aumento dei tassi che determinerebbe un apprezzamento del cambio con un conseguente effetto negativo sulla crescita del paese in assenza di una significativa crescita in EU e DC.Comunque ben 13 membri su 17 del FOMC si sono dichiarati favorevoli a un aumento dei tassi entro l’anno, cosa confermata oggi dalla Yellen, mi sembra. Ricordo che valgono sempre i commenti di Krugmman sui falchi dei tassi d’interesse

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