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Cinque presidenti e un oroscopo sulla tragedia greca

Nonostante le speranze di molti, neanche il referendum metterà la parola fine alla crisi greca. E finché i problemi della Grecia restano irrisolti, non si può pensare di riformare l’architettura dell’Unione monetaria, come promesso nel Rapporto dei cinque presidenti. Tra realismo ed equilibrismo.
Un rapporto in stile astrologico
Non si può dire che ci si annoi a Bruxelles ultimamente. Negli ultimi giorni si sono susseguiti due eventi importanti: prima la pubblicazione del Rapporto dei cinque presidenti e poi l’annuncio da parte del primo ministro greco, Alexis Tsipras, di indire un referendum sul programma di aggiustamento.
Nel loro rapporto sul futuro dell’Unione monetaria, Jean-Claude Juncker (Commissione europea), Donald Tusk (Consiglio europeo), Jeroen Dijsselbloem (Eurogruppo), Mario Draghi (Banca centrale europea) e Martin Schulz (Parlamento europeo) spiegano che il progetto euro va portato a compimento nei prossimi dieci anni.
Il processo prevede tre fasi. Nella prima, i meccanismi per la condivisione dei rischi sono finanziari, attraverso l’unione bancaria e dei capitali. Nella seconda, sono previsti meccanismi pubblici: ad esempio un’assicurazione europea contro la disoccupazione per tutelare gli stati in caso di forte shock occupazionale. Entrambe sono tappe importanti per il completamento dell’Unione monetaria, in quanto servono a stabilizzare le economie in caso di shock, sia attraverso il canale finanziario che dal lato dell’economia reale. La terza fase, da completare entro il 2025, prevede l’unione politica, in cui maggiore trasparenza e legittimazione sono garantite grazie al rafforzamento delle istituzioni.
Le reazioni al Rapporto sono state per ora contrastanti: per alcuni è un documento coraggioso, per altri lo è molto poco, specie se confrontato con il Rapporto del 2012. All’epoca Herman Van Rompuy (Consiglio europeo), José Manuel Barroso (Commissione europea), Jean-Claude Juncker (Eurogrouppo) e Mario Draghi (Bce) si erano spinti fino a proporre la creazione di una capacità fiscale. È anche vero, però, che il Rapporto del 2012 è rimasto in parte lettera morta, forse anche a causa del clima di scarsa fiducia in seno alle istituzioni. Per i più ottimisti, la maggiore prudenza di Juncker e compagni, combinata con l’approccio proattivo mostrato dal neo-presidente della Commissione, potrebbe essere interpretata come un segnale di positivo realismo. Agli occhi dei più critici, invece, il Rapporto sembra un accuratissimo lavoro di diplomazia il cui risultato è un testo con cinquanta sfumature di grigio che ogni lettore può interpretare in modo diverso, a seconda di quello che ci vuole trovare. In altre parole: un oroscopo.
La Grecia e il programma già archiviato
La verità è che la svolta per il completamento dell’Unione monetaria è ostaggio della crisi greca. Finché la questione Grecia resta irrisolta, è difficile immaginare istituzioni più democratiche e con cui si prevede di condividere una maggiore porzione dei rischi.
Eppure questa è una condizione necessaria seppure non sufficiente. Come mostrato dai contributi inviati dai singoli stati al presidente Juncker, alcuni (tra cui l’Italia), ma non tutti (Francia e Germania) hanno capito questa lezione. Intanto, allo stato attuale non è né efficiente, né efficace riunire diciannove capi di Stato e di governo per prendere singole decisioni. Tocca proprio a loro riconoscere che è necessario riformare profondamente la goverance e che per farlo bisogna cedere ulteriore sovranità. Servono meccanismi automatici e un processo decisionale staccato dalla volontà e dagli interessi dei singoli stati membri.
E qui arriviamo al secondo grande evento della settimana: l’annuncio da parte di Tsipras di indire un referendum sul programma di aggiustamento.
La speranza nelle prime ore era che, per quanto criticabile dal punto di vista dei tempi, il referendum portasse in un senso o nell’altro alla risoluzione della crisi. Domenica 5 luglio, ai greci toccherà approvare (o no) il programma di aggiustamento sul tavolo dei negoziati del 25 giugno scorso, ma è un programma che Dijsselbloem ha dichiarato non più valido già prima che il quesito fosse formulato.
La situazione in Grecia cambia costantemente ed è per questo impossibile fare previsioni. L’amara conclusione è che allo stato attuale la speranza che il referendum porti a una soluzione finale è compromessa. E un ulteriore prolungamento della tragedia greca non fa che annacquare anche la possibilità di riformare in tempi ragionevoli l’architettura dell’Unione monetaria.

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La Grecia decide il proprio futuro

  1. davide445

    In fondo questo è quello che succede nel tanto decantato libero mercato di stampa USA: solo quando ci si scontra con una crisi terribile succede qualcosa. Il mercato non è in grado di regolarsi da solo, così come i singoli stati EU continuano a ragionare come singoli stati (Germania per prima) dato non hanno alcuna convenienza a fare diversamente.
    Gli USA per fare la federazione non dimentichiamocelo hanno fatto una guerra, la federazione russa continua ad esistere perché è di fatto sotto un regime dittatoriale. Se EU vuole dare un esempio di democrazione dovrà trovare il modo di convincere stati del Sud (confederati?) che gli conviene vivere sotto l’egida di quelli del Nord (repubblicani) e a quelli del Nord che gli conviene prendersi la responsabilità e gli oneri.
    Altrimenti ognuno per se, anche se questo farebbe solo sorridere le altre superpotenze che sicuramente non vedono l’ora di poter trattare con un continente diviso.
    Che la Grexit sia il doloroso (per i greci soprattutto) catalizzatore del cambiamento va bene, in fondo cambiare è sempre pericoloso. Se deve essere l’equivalente della guerra allora ci stiamo solo guadagnando.

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