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I grandi numeri del Def

Il Documento di economia e finanzia 2015 alza le stime di crescita ma conferma gli obiettivi di deficit pubblico nel triennio 2015-17. Per questo Renzi promette niente nuove tasse né tagli alle prestazioni. Una lunga lista di riforme intraprese e da fare. Manca però la riforma del welfare.

La cornice macro del Documento
In una conferenza stampa post-pasquale il presidente del Consiglio Matteo Renzi – affiancato dal ministro dell’Economia Piercarlo Padoan – ha annunciato il rinvio di pochi giorni dell’approvazione del Documento di economia e finanza (Def) 2015, il documento che fissa le cornici macroeconomiche della legge di bilancio e della legge di stabilità che danno coerenza alle decisioni di finanza pubblica da prendere nel corso dell’anno. Nella sua parte sulle riforme il documento attinge a piene mani dai rapporti sulla spending review completati dai gruppi di lavoro dell’ex commissario Carlo Cottarelli il cui lavoro è evidentemente non andato perduto.
Malgrado il rinvio della sua approvazione, i numeri chiave del Def 2015 sono già stati anticipati nella conferenza stampa. La crescita del Pil è prevista in lieve accelerazione rispetto a quanto preventivato nell’autunno 2014 a un +0,7 per cento per il 2015, per accelerare ulteriormente al +1,4 per cento nel 2016 e al +1,5 nel 2017. Malgrado l’accelerazione della crescita, gli obiettivi di deficit per il 2015 e per gli anni a venire sono confermati – in percentuale sul Pil – rispettivamente al 2,6 per cento per il 2015, all’1,8 per il 2016 e allo 0,8 per cento per il 2017. Un’economia che cresce più rapidamente dovrebbe automaticamente generare più entrate fiscali e avere meno bisogno di cassa integrazione, sussidi di disoccupazione e altre spese sociali. Quindi negli anni a venire si dovrebbe assistere a una naturale discesa del deficit pubblico rispetto ai numeri preventivati l’anno scorso. Questo nei piani del governo invece non avverrà. Se ne deduce che le (eventuali) risorse aggiuntive prodotte dalla più rapida crescita saranno destinate ad addolcire l’onere dell’aggiustamento fiscale per famiglie e imprese. Per questo il premier ha potuto annunciare che nel Def “non ci sono tagli e non ci sono aumenti delle tasse”.
Niente nuove tasse …
Parlando di tasse, il premier ha anche evitato di lanciarsi in nuove promesse di riduzioni di imposte. Le riduzioni di aliquote per il 2016 ci saranno solo “se ci saranno le condizioni”. Cioè solo se la spending review di cui saranno forniti i dettagli produrrà risultati di minori spese superiori rispetto ai 10 miliardi che servono per realizzare gli obiettivi di deficit sopra indicati. Sempre parlando di tasse, Renzi ha rivendicato di aver tagliato le tasse per 18 miliardi nel 2015 (“dieci dagli 80 euro e otto dai provvedimenti sul lavoro”) più l’eliminazione di una clausola di salvaguardia di 3 miliardi che è stata scongiurata con l’approvazione della legge di stabilità 2015. Rimane il fatto che il quadro programmatico della Nota tecnico-illustrativa della Ragioneria generale dello stato alla Legge di stabilità 2015 riporta (a pagina 44) un aumento ufficiale di entrate pari a 10 miliardi per il 2015, con un peso sul Pil sostanzialmente inalterato al 48,3 per cento. L’aumento di entrate si azzera se si classificano gli 80 euro, il bonus bebè e il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo come riduzioni di imposta e non come aumenti di spesa la qual cosa la Ragioneria è obbligata a fare seguendo le convenzioni europee. In nessun caso però le imposte pagate complessivamente dagli italiani sono destinate a scendere nel 2015.
… ma anche niente tagli
I pochi giorni di rinvio nell’approvazione di un documento già definito in dettaglio soprattutto nella sua componente più importante (il Pnr, il Programma nazionale delle riforme) servono al governo per raccogliere le opinioni degli enti locali interessati (comuni e regioni; le province non ci sono più) sui modi con cui proseguirà la cura dimagrante della politica. Fedele al mantra fissato fin da quando ha acquisito la fiducia del Parlamento, Renzi ha detto chiaramente che “Non ci saranno tagli alle prestazioni per i cittadini ma c’è bisogno che la macchina pubblica dimagrisca un po’ e se i sacrifici li fanno i politici o salta qualche poltrona nei cda male non fa”. Tutte cose sacrosante. Non c’è invece neppure una parola per spiegare l’importanza di una riforma del welfare che – magari riprendendo il rapporto della commissione Onofri del 1997 – adegui le prestazioni sociali alle peggiorate condizioni demografiche e di crescita economica rispetto ai decenni passati quando il welfare attuale è stato disegnato. Fino a che il premier non estende la sua rivoluzione lessicale (e di fatti) a quest’area, la lunga lista di importanti riforme annunciate (“la riforma costituzionale, la legge elettorale, la riforma della Pa, la revisione del Patto per la salute, una riflessione sul ruolo delle sovrintendenze dei beni culturali, la riforma della scuola, l’attuazione del Jobs act”) è destinata a rimanere monca di una componente cruciale.

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Ma che bel castello…peccato sia chiuso!

  1. Roberto

    Continua la divergenza tra quando viene detto dal governo e i dati ufficiali.
    Renzi ieri ha citato una diminuzione di tasse, cosa non vera perché le tabelle della ragioneria confermano un aumento delle entrate ed anche i dati istat rilevano un continuo aumento della pressione fiscale in Italia.
    Stesso discorso per le spese anche quelle in aumento, in particolare la spesa corrente quella che da anni dicono che bisogna ridurre; l’unica voce della spesa che è realmente scesa sono gli interessi, naturalmente grazie a fattori esogeni (Bce).
    La stessa divergenza è accaduta con l’occupazione, il governo citava dati di straordinaria crescita dei contratti a tempo indeterminato nei primi 2 mesi del 2015, l’istat qualche giorno dopo ha sentenziato un aumento della disoccupazione e conseguente riduzione dell’occupazione, al punto che stavolta il governo ha dovuto rettificare il comunicato.
    Di questi tempi l’anno scorso (Def aprile 2014), Renzi citava un aumento della crescita nel 2014 del 0,8%, stando persino prudente, a fine anno i dati rilevavano una contrazione dello 0,4%; oggi vengono ridette le stesse parole per il 2015 e gli anni futuri.
    Io mi chiedo ma i giornalisti presenti alle varie conferenze hanno mai fatto presente ai vari esponenti del governo le assurdità che dicono ed il fatto che finora i dati li hanno sempre smentiti.

    • Hk

      Perché avrebbero dovuto farlo? Non si sputa nel piatto in cui si mangia. Non solo i politici son cambiati, ma anche i giornalisti e forse anche gli italiani in generale.

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