Il calo del prezzo del petrolio rende insostenibili i sussidi al consumo praticati da molti paesi produttori. Negli stati non produttori, invece, aumenta le entrate fiscali da carburanti ed è una spinta inattesa all’economia. Ma quali sono gli effetti sull’ambiente? Due opportunità per l’Italia.
CHI SUSSIDIA E CHI TASSA
Il calo del prezzo dei carburanti chiude spazi per le finanze pubbliche dei paesi produttori e li apre per quelli non produttori, con effetti opposti per le politiche ambientali.
Chi, nel mondo, paga meno per un litro di benzina? Gli automobilisti venezuelani: a due centesimi di dollaro al litro, con poco più di un dollaro fanno il pieno. Sono seguiti dagli automobilisti dei paesi produttori di petrolio: 11 centesimi in Libia, 16 in Arabia Saudita, 24 in Iran, 23 in Algeria e cosi via. Gli Stati Uniti chiudono la lista dei paesi a basso prezzo – 71 centesimi al litro – e aprono contemporaneamente anche quella degli stati che non sussidiano il consumo di carburanti. Con un costo di produzione e distribuzione stimato a 58-59 centesimi al litro, gli Stati Uniti con un prezzo alla pompa di 71 centesimi a litro mantengono un piccolo margine per l’erario. Al contrario, tutti i paesi che precedono gli Usa nella scala dei prezzi sovvenzionano i carburanti (la linea blu nel grafico segna il costo di produzione).
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I paesi non produttori, in particolare gli europei, hanno invece prezzi alti dei carburanti, fino ad arrivare a 168 centesimi in Italia e a 192 a Hong Kong, e ampie entrate fiscali.
Il calo del petrolio rende le politiche di sussidio insostenibili per le finanze pubbliche. In Venezuela, il sussidio assorbe più del 15 per cento delle entrate pubbliche, dipendenti a loro volta per più del 90 per cento dal petrolio e ora dimezzate dal calo del suo prezzo. Mantenere il sussidio alla benzina richiede il taglio di quelli ad altri beni di maggiore necessità, quali zucchero e farina, e il ridimensionamento di altri programmi sociali, in particolare nella sanità, le Misiones, essenziali per mantenere al governo i successori di Chavez. Per contro, il taglio completo del sussidio comporta moltiplicare il prezzo attuale di trenta volte: semplicemente impossibile in un colpo solo. Nicolás Maduro, il presidente, è ben conscio di rischiare davvero la rivoluzione – ma non quella bolivariana – ed esita.
Molti altri paesi, come Algeria, Nigeria, Bolivia, si trovano di fronte a scelte altrettanto tragiche, avendoci già provato nel passato con tumulti di piazza e senza successo.
GLI EFFETTI SULL’AMBIENTE
Il taglio dei sussidi, tuttavia, riduce i consumi e attraverso essi il volume d’inquinamento anormale causato da parchi veicoli gonfiati dalla politica di prezzi irrisori. Vi è quindi perlomeno un tangibile beneficio non monetario del loro taglio.
I paesi non produttori di petrolio si trovano di fronte a una situazione simmetrica. Il calo del prezzo dà una spinta inattesa, e tanto più benvenuta, all’economia e aumenta anche un po’ le entrate fiscali da carburanti per il maggior consumo. Rischia però di compromettere gli obiettivi ambientali e i risultati importanti finora raggiunti in termini di standard di green economy, quali i limiti alle emissioni e gli incentivi ai veicoli verdi.
L’euforia da prezzi bassi può ridurre l’attenzione alle politiche di contenimento dell’uso di energia e svalutarne l’importanza.
I siti web, soprattutto quelli vicini ai petrolieri, dicono che non c’è più pericolo: le società occidentali avrebbero iniziato da qualche tempo la strada del cambiamento strutturale che porta al risparmio di carburanti. Però gli americani si sono ributtati subito sui suv più grandi e più assetati.
Come fare a non abbassare la guardia ambientale in periodi di prezzi calanti? In primo luogo, bisognerebbe ricordarsi che il calo dei prezzi è un fenomeno congiunturale dovuto a uno squilibrio fra domanda e offerta, che i produttori, stati e imprese, hanno iniziato a correggere, tagliando gli investimenti sui campi petroliferi a costo elevato. I possessori dei nuovi grandi suv potrebbero subire fra poco pesanti alleggerimenti del portafoglio al momento del pieno.
Aumentare temporaneamente la tassazione specifica dei carburanti non ha senso in questa congiuntura politico-economica, anche se per mantenere gli incentivi alla green economy sarebbe necessaria stabilità nei prezzi dei carburanti.
Occorre piuttosto guardare a politiche mirate, come quelle che stanno provando a introdurre i paesi scandinavi, che permettono addirittura di ridurre la tassazione specifica sui carburanti in cambio di un aumento dell’onere a carico di chi consuma e inquina di più, come chi usa l’auto – soprattutto una molto assetata – nelle zone o nelle ore di maggiore congestione.
Una prima opzione concreta è estendere le esperienze di Londra, Milano e Singapore con l’introduzione di tariffe sulla congestione nelle aree centrali urbane. Si tratta di un’innovazione molto importante oggi permessa dall’uso dei navigatori satellitari e da altre tecnologie come le porte elettroniche. I governi metropolitani hanno in questo campo uno strumento polivalente che assicura più risorse e permette di programmare lo sviluppo urbano.
Una seconda opzione, non più futuribile, è utilizzare i navigatori satellitari per tassare di più chi usa di più le strade e tassare di meno chi le usa di meno. Le regioni con più densità di popolazione e più traffico avrebbero più risorse, e il governo potrebbe rimodulare i trasferimenti a favore delle altre.
Un altro fronte di azione, ancora più concreto perché immediato, consiste nella rimodulazione delle imposte sull’acquisto e sull’uso dei veicoli con modifiche mirate a favorire quelli con più basse emissioni e minori consumi e a scoraggiare acquisto e uso di quelli con consumi ed emissioni più alte. In sostanza, misure simili aumentano il carico su chi, a parità di chilometri percorsi, consuma di più e lo diminuiscono su chi sullo stesso percorso consuma di meno.
LE OPPORTUNITÀ PER L’ITALIA
Abbiamo in Italia due opportunità da non sprecare. La prima è la riforma dell’imposta provinciale di trascrizione che passerà alle regioni. Oggi l’imposta è commisurata alla potenza (kh) del motore, cosa non sbagliata, ma molto migliorabile, perché – a parità di potenza – consumi ed emissioni possono essere molto diversi. L’impatto ambientale può, anzi deve, essere aumentato graduando l’imposta in maniera incisiva rispetto alle emissioni inquinanti, come sembrava anche essere l’intenzione del governo, e senza aumentare il carico fiscale complessivo. Gli americani usano il termine fee-bates per indicare strumenti che combinano fees, cioè maggiori oneri, su chi consuma e inquina di più con risparmi (i rebates) su chi consuma e inquina di meno.
La seconda opportunità è la finestra di aumento del bollo auto concessa quest’anno alle regioni in compensazione dei minori trasferimenti. Finora ciò che è stato fatto è, come in Piemonte, concentrare l’aumento sulle auto con potenza maggiore, cosa che di nuovo non basta, se si vuole tutelare con efficacia l’ambiente.
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