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Uber e i suoi fratelli

Le cosiddette innovazioni disruptive consentono di diminuire i costi di transazione, imponendo nuovi comportamenti agli attori del mercato e modifiche alla regolazione. Proibire lo sviluppo delle piattaforme di scambio è velleitario e provoca un danno certo per i consumatori. Il caso Uber.

TECNOLOGIA E COSTI DI TRANSAZIONE
Il successo di Uber, l’applicazione che permette di prenotare una vettura con autista e pagare il servizio con pochi semplici click attraverso il proprio cellulare, si colloca nel processo evolutivo delle tecnologie dell’informazione e comunicazione che con l’introduzione degli smartphone ha avuto un sensazionale salto in avanti.
Le innovazioni cosiddette “disruptive” nel settore informazione e comunicazione consentono di diminuire notevolmente i costi di transazione – che fanno da barriera fra scambi possibili e scambi effettivi. E così facendo, trasformano mercati potenziali in mercati reali, determinano la fine dello scenario business-as-usual e pongono problemi nuovi ai regolatori nazionali e locali. Gli attori di mercato, dal canto loro, si vedono costretti a innovare e quelli che grazie alla regolazione hanno goduto per anni di un ambiente protetto sono a un punto di svolta critico.
Nel caso dei passaggi in auto, partiamo dal fatto che la maggior parte degli automobilisti ha quotidianamente a disposizione diversi posti liberi per viaggi già programmati, mentre altre persone che viaggiano in quella stessa direzione hanno bisogno di un passaggio. E qui interviene, ad esempio, BlaBlaCar, piattaforma on line che permette agli utenti di effettuare il matching fra offerta e domanda, una cosa fino a qualche tempo fa impensabile, o limitata alle reti di stretti conoscenti e familiari.
In questi casi, la qualità del servizio è molto importante e infatti viene valutata ex-ante, anche attraverso un sistema di recensioni. L’app Uber, ad esempio, permette a utenti e autisti di valutarsi a vicenda grazie a un sistema di rating che va da 1 a 5 stelle. Se per un utente giudizi bassi possono allungare il tempo di attesa, per gli autisti cattive recensioni possono addirittura causare la perdita del lavoro.
NATURA ECONOMICA DEL SERVIZIO UBER
Uber si discosta tuttavia da altre esperienze citate spesso impropriamente come analoghe. Nel caso di BlaBlaCar, ad esempio, il carattere di sharing economy è evidente nella natura “a priori”, “autonoma”, “self serving” del servizio messo in offerta: l’offerente ha già programmato un viaggio e lo mette in condivisione occasionale. Il servizio sgorga da una disponibilità originatasi da un bisogno personale, che lo precede e ne è prioritario. Nel settore alimentare la sharing economy si attuerebbe, ad esempio, condividendo con estranei le proprie “eccedenze” alimentari (dire “avanzi” sarebbe brutto). Se però le eccedenze sono programmate e prodotte intenzionalmente per la vendita, allora diventa catering. Parallelamente, nel caso Uber l’offerente mette a disposizione un servizio di spostamento specificamente adattato alle esigenze del richiedente, che sarebbe meglio chiamare cliente, e non un’eccedenza “non intenzionale”. Ufficialmente gli autisti di UberPop ricevono un rimborso spese, ma quel rimborso, almeno su tragitti urbani, potrebbe nascondere un profitto, considerando il costo dell’auto un sunk cost e valutando solo i costi marginali, certamente inferiori. Al contrario, gli autisti di BlaBlaCar coprono a mala pena le proprie spese di viaggio. Uber, come Airbnb per gli affitti di appartamenti, non rappresenta la sharing economy, ma la “dormant assetseconomy, ovvero l’emersione sul mercato di servizi e risorse che a causa dei costi di transazione eccessivi sono rimasti per decenni nell’ombra.
NUOVE TECNOLOGIE E REGOLAZIONE
Contestata dai tassisti di mezzo mondo per concorrenza sleale, Uber propone servizi per tutte le tasche: si va da UberBlack, servizio premium effettuato da autisti professionisti alla guida di auto di lusso, a UberPop, passaggio in auto peer-to-peer effettuato da un privato cittadino.
UberBlack disattende alcuni punti della normativa italiana sull’attività di noleggio con conducente, in particolare il ritorno alla rimessa tra una corsa e l’altra, d’altra parte l’Autorità garante della concorrenza e del mercato auspica la liberalizzazione del servizio e “l’abolizione degli elementi di discriminazione competitiva tra taxi e Ncc in una prospettiva di piena sostituibilità dei due servizi”. Una norma simile è stata adottata dal District of Columbia nel dicembre 2013: ha creato una nuova categoria per chi opera attraverso “digital dispatch“, definendo le proprie tariffe sulla base di tempo di percorrenza e distanza, ha istituito un unico tipo di licenza per taxi, berline e limousine e ha esortato la Taxi Commission a concederne di nuove. Diverse città americane hanno fissato paletti per proteggere i regolati: si va dalla tariffa minima di New Orleans e Vancouver alla limitazione del numero di permessi per il trasporto passeggeri con auto di lusso, fino a Miami che le prevede entrambe.
Più complessa la situazione relativa a UberPop, vietato (per ora) in Belgio, Francia, Olanda e Spagna, con ragioni che vanno dal mancato rispetto della normative vigenti sul trasporto alla tutela del consumatore. La chiave di volta, in questo caso, sembrerebbe essere la fissazione di regole più stringenti sui controlli da effettuare sugli autisti e la copertura assicurativa, come hanno fatto la Public Utility Commission del Colorado e della California, che hanno autorizzato i servizi di ride-sharing a patto che la copertura assicurativa per responsabilità civile non sia inferiore a 1 milione di dollari per incidente. Airbnb, invece, è stato criticato perché gli appartamenti e stanze in affitto da privati non rispetterebbero gli standard sanitari e di sicurezza e perché la mancata registrazione degli ospiti comporterebbe ingenti perdite per le amministrazioni locali, a causa di mancanti introiti fiscali quali, ad esempio, la tassa di soggiorno. Il comune di Amsterdam ha risolto la questione con un regolamento ad hoc che prevede che gli host paghino tutte le imposte dovute.
RICAVI E TARIFFE
La valutazione di Airbnb si attesta oggi sui 10 miliardi di dollari, contro i 41 di Uber, cifra più che raddoppiata in meno di sei mesi, anche grazie al business model estremamente economico, che può crescere rapidamente e contemporaneamente in luoghi diversi, spostando il rischio sugli autisti.
Sulle transazioni, le società trattengono una fee: per Uber è il 20 per cento di ogni corsa, per Airbnb una percentuale variabile dal 6 al 12 per cento per ciascuna prenotazione; nel 2013 i ricavi si sono attestati rispettivamente sui 165 e i 250 milioni di dollari.
Dal punto di vista fiscale, gli autisti italiani di Uber (come i proprietari italiani di AirBnb) devono pagare in Italia le imposte sui loro proventi, i ricavi trattenuti da Uber, invece, sono tassati in Olanda e quelli di Airbnb in Irlanda. Di recente, però, i governi cercano di ricondurre a tassazione interna anche i profitti di società estere, applicando il concetto della “stabile organizzazione”, secondo il quale una struttura di fatto esistente in una nazione Ocse paga in quella nazione le imposte sui profitti che lì crea. Ne è un esempio, la vertenza aperta con Google per tassare in Italia i proventi da pubblicità qui prodotti.
Per quanto riguarda le tariffe, gli host affiliati a Airbnb sono liberi di decidere quella che ritengono più appropriata per il proprio immobile in affitto. Uber, invece, determina le proprie tariffe, che variano da città a città e sono composte da una quota base e da una quota variabile data da una somma al minuto alla quale se ne aggiunge una chilometrica. Sebbene la forbice tra la tariffa del servizio taxi tradizionale e Uber differisca a seconda del luogo dove ci si trova, generalmente UberBlack è più costoso del taxi, perché è un servizio premium. Non è chiaro, invece, se UberPop sia più o meno costoso di un taxi, sembrerebbe dipendere dall’ora e dalla città. Le tariffe di Uber, infatti, aumentano durante i periodi di maggior richiesta, quali weekend o festività, con tariffe che in alcuni casi sono aumentate di ben sette-otto volte. Negli Stati Uniti, la società di San Francisco è stata aspramente criticata per aver notevolmente aumentato il prezzo durante eventi atmosferici straordinari, come l’uragano Sandy del 2012. E proprio per evitare il ripetersi di situazioni di questo tipo, l’azienda ha firmato un accordo con lo stato di New York che stabilisce un prezzo massimo legato alle tariffe utilizzate da Uber nei sessanta giorni antecedenti all’evento.
LE PROSPETTIVE
Non sappiamo ancora come si concluderà la vicenda Uber in Italia: è certo tuttavia che la chiusura nei confronti delle tecnologie che sono strategicamente disruptive non può che essere temporanea, come una barriera insufficiente contro l’acqua che scorre a valle.
Nel frattempo, proibire lo sviluppo delle piattaforme di scambio è un danno certo per i consumatori. Anche i negozi tradizionali hanno oggi molti più concorrenti che in passato, basti pensare a siti come Ebay o Amazon. Se vietiamo Uber, perché non vietare anche loro?

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12 commenti

  1. Luigi Vignaroli

    Sono fenomeni luddistici. Il progresso non si ferma

    • Luigi Esposito

      Sono d’accordo con Luigi. I dati (mondiali) non parlano di chiusure, ma di trasformazione dei paradigmi di business, principlamente dovuti a comportamenti nuovi delle nuove generazioni di consumers. Il multichannel, i ritmi di vita nei nuovi paesi (dove si e’ gia’ spostata l’economia di profitto!) e le nuove tecnologie aiutano il consumo, ma non lo generano. Uber/Lyft/Blablacar sono piattaforme che hanno fatto leva su un bisogno di “liberta’” del nuovo consumatore e sulla necessita’ di nuove generazioni di “sentirsi” liberi sia lato domanda che offerta. Sono inoltre convinto che sia il mercato a doversi adattare e quindi le leggi devono prendere atto di quello che sta accadendo, per regolamentare un fenomeno che esiste ormai e che in qualche misura (alcuni nutrono comunque dei dubbi sulla ” socialita’ ” del modello Uber. Ma sono validi argomenti sia a favore che contro) aiuta al benessere sociale. Non vivendo in Europa, ma in un Paese emergente, posso vedere come modelli come Uber possano aiutare in qualche modo le persone a sentirsi soddisfatte e a crescere sulla base della propria soddisfazione. Che Uber o altri non siano societa’ di beneficenza questo e’ anche chiaro…Ma chi di noi lo sarebbe? Grazie per l’opportunita’.

  2. Aldo Innocenti

    I negozi tradizionali chiudono,la disoccupazione aumenta, Ebay e Amazon (non) pagano le tasse in Italia, il ceto medio muore ed i conti dello stato vanno a ramengo….avanti così!

  3. Leon

    Il progresso e l’innovazione non si ferma, ed è un bene se ci fanno vivere una vita migliore e con più tempo libero. Ma qui si parla di Uber, una società che , tra le altre cose , e come avete scritto anche nell’articolo, paga le sue tasse sui suoi ricavi in Olanda, e ha dimostrato di approfittarsene alla grande in particolari condizioni. Giusto quello che scrivono gli autori dell’articolo, ma poi alla fine ( forse un rigurgito liberista ? ) leggo “se vietiamo Uber, perché non vietare anche loro? ” A parte che “vieterei” benissimo Amazon, che può fare quei prezzi perché elude il fisco di mezzo mondo e sfrutta i lavoratori ( che sono costretti a farsi km e km in un turno di lavoro) , e poi a Uber basta , semplificando molto, ottenere una licenza per fare quello che fa senza fare concorrenza sleale e sfruttare i lavoratori, e pagare le tasse. Poi se questo vuol dire ” proibire le piattaforme di scambio” come Uber , perché la mentalità liberista dice che vige la legge della giungla, beh, allora personalmente voglio proibire queste piattaforme di scambio.

  4. Marco

    Tentare di fermare questi fenomeni provoca un duplice danno.
    Oltre a non permettere ai clienti di risparmiare, impedisce a nuove imprese di nascere.
    Se ci fosse stato meno controllo da parte di gruppi lobbistici e una legislazione più aperta, probabilmente avremmo anche una o più società italiana concorrenti di Uber.

    • libertad

      Basta con prometterci di risparmiare comprimendo diritti e qualità. Per il momento Uber poggia su una gamba certa e veloce (l’incasso risucchiato verso un paradiso fiscale dal conto di un soggetto così potente da potersi permettere ogni sorta di dumping) e una incertissima che riassumo blandamente come qualità di vita, sia dell’autista che del passeggero e dell’ambiente in cui si svolge la transazione (presenza o meno di altri servizi pubblici, ecc.).

      • gmn

        chi ha portato i taxisti a ridurre le loro qualità della vita a zero per potere pagare profumatamente licenze concesse gratuitamente dalla pubblica amministrazione?
        il mercato c’è, troppa gente viaggia in auto da sola e potrebbe risparmiare con sistemi di trasporto elastici, tipo i louage in tunisia e uber, naturalmente
        ma ci sono da pagare poche migliaia di licenze…
        che le rilevi lo stato e le paghi con una tassa ad hoc su tutti i servizi di trasporto individuale finalmente liberalizzati (in 20 anni non dovrebbe essere una cifra significativa per viaggio)

  5. Stefano

    Confrontare un servizio pubblico (taxi) e un negozio è distorsione della realtà. Un tassista non può decidere il suo prezzo a seconda del momento (c’è un tassametro); non può scegliere e cercare la propria clientela, ma deve accodarsi agli altri taxi e attendere il cliente nei posteggi; non può decidere le ore di lavoro (c’è un turno); non può svolgere altra attività (decade la licenza); non può guidare un’auto diversa da quella riportata sulla licenza e non può far guidare un altro al suo posto.
    Uber non rispetta nessuno di questi requisiti e manda sulle strade gente di cui non ha il controllo: se io vado a chiedere di essere affiliato ad Uber, guardano me e la mia macchina poi mi danno il loro telefonino. Da quel momento non sanno più se il telefonino l’ho io o qualcuno a cui l’ho dato in prestito. Altro mito da sfatare: la tecnologia. Cos’ha inventato Uber? Un modo di far arrivare un’auto su richiesta? I radiotaxi che mandano una macchina a chi telefona esistono da oltre 50 anni.
    Usa una app su smartphone con localizzazione satellitare? I radio taxi ce l’hanno da anni e a bordo dei taxi ci sono tecnologie molto avanti rispetto alla limitata app di Uber.
    Allora, qual è la novità? Il metodo di reclutamento di autisti e macchine, che sono tutti indistintamente senza i requisiti e fuori dal controllo pubblico del servizio taxi.
    Uber ha pochissimi costi, recluta chi gli capita, scarica costi e rischi su di lui e si prende un quinto del fatturato. Questa è la vera novità.

    • bob

      …Uber o altri il problema è solo culturale. Tra poco di questo passo anche noi Europei ristaureremo la pena di morte. La Uber rappresenta una cultura quella di considerare le persone oggetti: cibo spazzatura e corsi per dimagrire. Pistola alla cintola e carte di credito a go-go etc in pratica la persona come contenitore da utilizzare per produrre economia. Un cittadino usa e getta. La fine dell’ Europa non dipenderà dall’ Isis o dagli islamici o dalla Grecia ma dipenderà dall’essere continente di civiltà e di qualità o dal diventare succursale delle peggio “americanate”

    • RISPOSTA A VARI PUNTI SOLLEVATI DAI LETTORI
      1- Non mi risulta che Uber guardi se hai telefonino e auto e ti prenda…esiste una selezione basata anche su altri criteri, fra cui la fedina penale, come in tutte le realtà analoghe di franchising. L’argomento sicurezza è capzioso: il pericolo di incontrare un criminale, un pazzo un approfittatore esiste anche sugli autobus, nelle stazioni ferroviarie, nei supermercati e ai raduni di auto d’epoca.
      2-Dire che un tassista non può fare altro perché decade la licenza è come dire che un salumiere non potrà mai aprire una palestra…francamente non riesco a seguire questo ragionamento.
      3.Condivido tutte l’indignazione per i paradisi fiscali, di cui Uber, ma anche Ferrero, FCA e molte altre multinazionali, godono ampiamente…ma questo è un altro tema. Se usassimo l’argomento della furbizia fiscale per condannare una impresa o per proibire i suoi servizi allora dovremmo chiudere anche il Vaticano e proibire i gli Iphones.

    • massimo

      Dati i vincoli che i tassisti hanno, consiglio loro di passare a uber

  6. Enrico

    Da utente di Taxi (non ho ancora usato Uber) posso solo dire che un’alternativa in piu non mi dispiace. Scusate, ma se il servizio di Uber è cosi pessimo, che problema c’è? L’utenza semplicemente non lo userà. Quello che mi fa un po’ specie è sentire una categoria dire che io devo essere obbligato a rivolgermi a loro per un tal servizio, per la mia “sicurezza”, perchè loro sanno cosa è meglio per l’utenza….non sono convinto, loro stessi, allora perchè non istituire le categorie di idraulici, imbianchini etc? Ovviamente a numero (e costo) chiuso. Niente di personale.

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