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Quel venture capital che fa crescere le imprese

Per la loro capacità innovativa, le giovani imprese ad alta tecnologia possono giocare un ruolo importante nell’economia europea. Una recente ricerca mostra che con finanziamenti di venture capital la loro produttività aumenta nettamente, soprattutto in confronto a quella registrata da aziende con caratteristiche simili, ma che beneficiano di investimenti di tipo diverso. L’Italia, con i suoi gravi problemi di crescita, dovrebbe avviare azioni che favoriscano l’incontro tra domanda e offerta di venture capital.

 

Politici, manager, gruppi industriali e bancari e istituzioni si interrogano su quale sarà la crescita economica dell’ Europa a un anno dalla crisi. È interessante notare come i tassi di crescita non siano omogenei nei diversi Stati europei. Nel secondo trimestre del 2010, mediamente in entrambe le zone censite (EA16 e UE27), il Pil è aumentato dell’1,9 per cento rispetto allo scorso anno e dell’1 per cento rispetto al primo trimestre 2010. L’Italia presenta tassi di crescita inferiori, registrando un aumento dell’1,1 per cento rispetto allo scorso anno e dello 0,4 per cento rispetto al primo trimestre del 2010.(1)

LE IMPRESE AD ALTA TECNOLOGIA E IL VENTURE CAPITAL

Un ruolo fondamentale nell’economia degli stati avanzati è giocato dalle imprese operanti nei settori ad alta tecnologia. Sono in grado di aumentare l’efficienza dinamica del sistema economico, introdurre innovazioni nei mercati dei prodotti e dei servizi, contribuire alla crescita della produttività aggregata e, in ultima istanza, aumentare il benessere collettivo. La creazione di condizioni favorevoli allo sviluppo, alla crescita e alla sopravvivenza di queste imprese diventa quindi prioritaria nell’agenda politica dei governi, soprattutto in vista dei processi di riconversione industriale che dovranno affrontare a seguito della crisi mondiale.
Studi teorici ed empirici hanno dimostrato come il venture capital rappresenti la modalità di finanziamento più appropriata per le imprese ad alta tecnologia. Tale strumento, infatti, non solo garantisce un cospicuo apporto di risorse finanziarie a imprese che operano in contesti competitivi caratterizzati da elevata incertezza, ma fornisce anche servizi ad alto valore aggiunto, quali competenze manageriali e reti di contatti con le business community e con altri potenziali finanziatori.

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L’IMPATTO SULLA PRODUTTIVITÀ

L’analisi da noi condotta si basa su un campione di imprese di sei paesi europei: Belgio, Finlandia, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. Operano in settori ad alta tecnologia, sia nei servizi che nel manifatturiero, come ad esempio software, internet, telecomunicazioni, farmaceutica, biotecnologie, aerospazio e informatica. Tutte le imprese finanziate hanno ricevuto il primo finanziamento di venture capital tra il 1995 e il 2004 e in quel momento avevano meno di dieci anni di vita.
I nostri risultati mostrano come, successivamente al primo round di finanziamento di venture capital, la produttività delle imprese subisca una forte crescita, soprattutto se paragonata a quella registrata in imprese che non hanno ricevuto investimenti con caratteristiche simili. L’analisi evidenzia come il differenziale di crescita della produttività tra i due gruppi di imprese non differisca prima della ricezione del finanziamento: questo ci permette di imputare la crescita differenziale di produttività esclusivamente al venture capital, escludendo che l’effetto sia dovuto a caratteristiche pre-finanziamento delle aziende.
L’impatto del finanziamento di venture capital viene, in particolare, valutato su una misura di produttività multifattoriale che tiene conto dell’ incremento del valore aggiunto al netto dell’incremento dei fattori di produzione (capitale e lavoro). La nostra analisi evidenzia come il venture capital contribuisca a incrementare la crescita di produttività multifattoriale di circa il 18 per cento rispetto ai quattro anni precedenti il finanziamento e come tale effetto risulti per lo più concentrato nei primi anni successivi all’entrata dell’investitore. (2)
È interessante notare come l’utilizzo di una misura di produttività multifattoriale ci permetta di depurare i risultati ottenuti dall’effetto legato al semplice apporto di capitale da parte di investitori di venture capital. La nostra analisi evidenzia come il ruolo del venture capital si estenda ben oltre il semplice rilassamento dei vincoli finanziari che limitano le opportunità di investimento di tale tipologia di imprese: il venture capital contribuisce a sostenere la produttività delle imprese investite attraverso servizi a valore aggiunto quali l’apporto di competenze manageriali e l’accesso a reti di contatti sia con clienti e fornitori che con possibili altri partner industriali.
Inoltre, appaiono significative e interessanti differenze tra i diversi paesi europei. In Italia, la crescita di produttività multifattoriale generata dal venture capital sulle imprese investite si assesta intorno al 20 per cento: sebbene il risultato si posizioni al di sopra della media dei paesi analizzati, risulta tuttavia ben lontano dal valore registrato in paesi come il Regno Unito, con circa il 42 per cento, nei quali il mercato del venture capital appare più sviluppato.

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QUALE RUOLO PER LA POLITICA?

Negli anni recenti, diversi studi hanno evidenziato gli effetti positivi del venture capital sulla crescita delle imprese altamente innovative. Questi risultati dovrebbero stimolare l’Unione Europea, e in particolar modo l’Italia, a migliorare ulteriormente le politiche adottate a sostegno dell’accesso al finanziamento da parte di imprese ad alta tecnologia. Infatti, tali imprese, più che altre operanti in settori più maturi, devono affrontare elevati costi di ricerca per accedere a fonti di finanziamento esterne. Emerge quindi la necessità di politiche di supporto allo sviluppo di un mercato attivo di venture capital nel nostro paese, soprattutto in questo momento di forte crisi economica in cui sembra particolarmente utile trovare misure alternative al sostegno pubblico a supporto di promettenti iniziative imprenditoriali.

 

(1) Fonte dati: Eurostat.
(2) Per maggiori dettagli si veda: Croce, A., Martí, J., Murtinu, S., 2010, “The Impact of Venture Capital on the Productivity of European High-Tech Firms: Screening or Value Added Effect?”, SSRN Working Paper Series, http://ssrn.com/abstract=1705225.

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Numeri in libertà sul federalismo

  1. donata cappelli

    Concordo pienamente con la necessità di incentivare la presenza di VC in Italia che siano soprattutto orientati all’early stage (seed e startup). Purtroppo anche il recentissimo tentativo delle 3 maggiori banche italiane, MEF &co di creare un fondo per la partecipazione al capitale di rischio di PMI (fondo italiano investimenti) con una dotazione enorme (1,2 mld € al 1 closing) è rivolto a sole operazioni di expansion; è cioè rivolto al finanziamento di imprese esistenti. I VC che si occupano di start up sono pochissimi in Italia e affrontano difficoltà maggiori rispetto agli altri operatori di private equity. Che la politica dia mano anche a loro altrimenti agli startupper non rimane che rivolgersi all’estero. Ancora una volta brain drain.

  2. Massimo Bonechi

    Prima di tutto buon anno, ho apprezzato molto questo articolo, visto che sono un imprenditore di una piccola azienda ad elevato contenuto tecnologico. In passato ho approfondito la soluzione "Venture Capital", ma ho sempre trovato difficoltà sull’affidabilità reale di queste società di investimento. Sapreste darmi consigli, su quale ritenete siano le più serie sul mercato? ?

  3. Roberto Marsicano

    I pochi che fanno VC in Italia hanno pochi soldi e, ovviamente li investono in settori "sexy" (come definiscono i venture capitalist i settori di moda). E questo è il primo problema, investimenti con i paraocchi: si va un fondo con un idea sulla telefonia mobile (che dovrebbe essere di moda) ma ti stoppano subito dicendo che a loro interessa solo Internet. Ma è la mancanza di soldi il problema insormontabile perché la struttura finanziaria del paese è basata sul’assunto "non rischiare" e quindi BOT, risparmio postale e case, cose che rendono poco e sono considerate a rischio zero, tutto il contrario di quello che serve al VC dove il venture dice tutto l’azzardo tcalcolato, ma pur sempre azzardo che c’è nel finanziare una start-up come Apple, che ricevette 95.000$ da un VC per partire nel 76. Non bisogna farsi illusioni: il posto più vicino dove trovare un VC è negli Stati Uniti. D’altra parte, se uno ha una buona idea, perché non farla parire dove c’è un mercato più grande, meglio strutturato da ogni punto di vista e dove sopratutto c’è la cultura per dare un mano a chi ha un’idea?

  4. Aram Megighian

    Non sono un economista, e quindi non sono esperto in materia. Tuttavia lavoro nel campo della ricerca biomedica, e su questo ho esperienza. E ho un’esperienza anche sui meccanismi e le modalità di sviluppo delle hi-tech companies nel settore biotecnologico, avendo vissuto per un periodo a San Diego in California, dove risiede una gran quantità di queste imprese piccole e grandi. Noto nei commenti quei tanti inglesismi che accompagnano i discorso dei nostri manager (accidenti, è scappato un inglesismo pure a me), ma manca quello che secondo me è il punto focale del discorso: la conoscenza, la cultura, il sapere. Fermo restando che, tecnicamente, in Italia vi sono infiniti lacci che bloccano il VC, il problema di fondo è che non fai VC se non conosci il problema, cioè se non hai almeno un’idea di cosa voglia fare chi ti chiede i soldi. La mancanza di un’adeguata cultura scientifica, come in Italia, non produce solo bassi risultati nelle competizioni scolastiche internazionali. Quello è il minimo. Produce anche incapacità di chi è fuori (ad es i finanziatori) a capire esattamente ciò che si fa dentro i laboratori, quello che serve, il tempo e la gente che ci vuole per fare una cosa.

  5. Daniele Piomelli

    Buono l’articolo, interessanti i commenti. Ma in almeno due di questi trovo un’idea che non capisco: cioè che per fare una start up ci voglia un venture capital italiano o sennò si deve andare all’estero. Ma perché? Gli scienziati ed i tecnologi italiani sono di alta qualità e costano poco, due cose che piacciono molto a chi fà il mestiere del venture capitalist. Tra quelli che conosco, ce ne sono vari (anche tra i blue chip) che investirebbero di più in start up italiane se trovassero più spesso le condizioni necessarie — idee buone e ben protette, una chiara strategia al mercato, buona capacità di gestione. Non è che in Italia queste cose si trovino ad ogni angolo di strada, ma ci sono eccome. E allora, mentre aspettiamo incentivi fiscali che non vengono, cerchiamo di far incontrare chi ha le idee (tecnici e scienziati), chi sa proteggerle (uffici legali un pò lungimiranti) e chi sa realizzarle (imprenditori svegli ed esperti) e diamogli la possibilità di farsi conoscere da finanziatori esteri. Se cominciano a venire loro, dopo un po’ si svegliano anche i nostri.

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