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Mi manda papà

La mobilità sociale in Italia è tra le più basse in Europa. I risultati dei figli per reddito, livello di istruzione o tipo di lavoro riflettono spesso quelli ottenuti dai padri. Certo, le scelte individuali dipendono delle risorse economiche della famiglia o dal tipo di sistema sociale. Ma influiscono in maniera cruciale anche le preferenze. Per esempio, avere genitori occupati nel settore pubblico o genitori imprenditori ha effetti diversi sull’avversione al rischio. Il ruolo delle preferenze nelle politiche per favorire l’integrazione fra gruppi sociali.

 

La mobilità sociale in Italia è tra le più basse in Europa, inferiore solo a quella registrata in Gran Bretagna. (1) I risultati ottenuti dai figli tendono a riflettere quelli ottenuti dai loro padri, sia quando si guardi al reddito sia al livello di istruzione o addirittura al tipo di lavoro svolto. In Italia, il 44 per cento dei padri architetti ha un figlio laureato in architettura, il 42 per cento dei padri laureati in giurisprudenza ha un figlio con il medesimo titolo di studio. Dati simili si riscontrano per i farmacisti (41 per cento), per gli ingegneri e i medici (39 per cento) e anche per i laureati in economia e statistica (28 per cento). (2)

MOBILITÀ BLOCCATA

Perché la mobilità sociale in Italia sembra bloccata? Quali sono i meccanismi sottostanti la correlazione tra i risultati ottenuti dai padri e quelli ottenuti dai figli? La correlazione è dovuta a imperfezioni nel mercato finanziario o nel mercato del lavoro, ad esempio a vincoli di liquidità, che fanno sì che il reddito o lo status sociale dei genitori diventino variabili cruciali per il destino dei figli? Che ruolo svolge la trasmissione genetica delle abilità o delle preferenze individuali che possono essere determinanti per spiegare il livello di istruzione acquisito, il tipo di occupazione svolta o il reddito?
Le scelte individuali (anni e tipo di istruzione, tipo di lavoro, investimenti, eccetera) dipendono certamente delle risorse economiche della famiglia, dal tipo di sistema sociale, ma dipendono in maniera cruciale anche dalle preferenze. Poiché molte decisioni sono caratterizzate da un alto grado di incertezza, di grande rilievo sono le attitudini verso il rischio degli individui. Una questione importante è se queste attitudini siano influenzate dal background familiare e, più in particolare, se dipendano dalle preferenze dei genitori.
Mentre esistono molti lavori che esaminano la correlazione tra i risultati ottenuti dai genitori e quelli ottenuti dai figli, solo pochi studi hanno esaminato la trasmissione intergenerazionale delle preferenze. Recentemente, grazie alla disponibilità di nuovi dati, alcune interessanti analisi sono state svolte per la Germania e per gli Stati Uniti, mostrando che i figli tendono ad avere preferenze verso il rischio simili a quelle dei loro genitori.

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UN’INDAGINE ITALIANA

In Italia, data-set che offrono informazioni utili a questo scopo sono rari. (3) Utilizzando un data-set su un campione di studenti iscritti a una università del Sud Italia, che permette di ottenere informazioni su una serie di caratteristiche individuali e di costruire diverse misure di avversione al rischio, abbiamo cercato di capire quanto sia rilevante la trasmissione intergenerazionale nel definire le attitudini individuali verso il rischio. (4)
Le preferenze verso il rischio sono state misurate utilizzando le risposte degli studenti alla domanda di un questionario che chiedeva loro di indicare quanto erano disposti a investire in una lotteria ipotetica. Dalla nostra analisi emerge che le donne, gli studenti che provengono da famiglie meno abbienti e quelli più anziani tendono a essere più avversi al rischio, mentre sono meno avversi al rischio gli studenti caratterizzati da maggiore abilità. Per quel che riguarda la trasmissione intergenerazionale delle preferenze si è considerato l’’effetto prodotto sull’’avversione al rischio dal fatto di avere genitori occupati nel settore pubblico e da genitori imprenditori. Gli individui impiegati in queste due categorie occupazionali sono caratterizzati da differenti preferenze per il rischio, con i dipendenti pubblici meno propensi a intraprendere attività rischiose e gli imprenditori tipicamente caratterizzati da una bassa avversione al rischio. Dalla nostra analisi emerge che gli studenti i cui padri sono impiegati nel settore pubblico sono più avversi al rischio, mentre i figli degli imprenditori sono meno avversi al rischio. Solo l’’occupazione svolta dal padre sembra rilevante per spiegare l’’attitudine al rischio dei figli, mentre le madri non svolgono un ruolo significativo in tal senso.
Per verificare la robustezza dei nostri risultati si è poi creata un’’ulteriore misura di avversione al rischio basata sulle risposte fornite dagli studenti a un’’altra domanda, che chiedeva loro di indicare che tipo di lavoro avrebbero voluto svolgere dopo la laurea. Anche in questo caso emerge che le preferenze dei padri determinano quelle dei figli: avere un padre imprenditore riduce la probabilità che lo studente preferisca un lavoro sicuro di 10 punti percentuali, mentre avere un padre occupato nel settore pubblico aumenta la probabilità che lo studente preferisca un lavoro stabile di 3 punti percentuali. (5)
Questi risultati suggeriscono che la similarità delle preferenze di padri e figli potrebbe riflettersi in conformità dei risultati raggiunti. Anche se la similarità nelle preferenze è probabilmente ben lontana dall’’essere la principale determinante della correlazione tra i risultati ottenuti dai padri e quelli ottenuti dai figli, è importante cercare di comprenderne meglio il ruolo poiché anche da questo potrebbe dipendere il successo di politiche volte ad accrescere la mobilità sociale. Ad esempio, politiche tese a favorire l’’interazione tra gruppi sociali diversi, come quelle rivolte ad aumentare il mix sociale all’’interno delle scuole, potrebbero essere particolarmente efficaci poiché in grado di attivare altri canali importanti nel processo di formazione delle preferenze, cioè quelli che originano dallo scambio con i propri pari.

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(1) Si veda ad esempio “A family Affair: Intergenerational Social Mobility across Oecd Countries” Ocse, 2010.
(2) Indagine Alma Laurea, 2008.
(3) Una eccezione è rappresentata dall’’Indagine sulle famiglie italiane della Banca d’Italia, anno 1995, ampiamente utilizzata da molti studiosi per esaminare l’’effetto prodotto dall’’avversione al rischio su una serie di comportamenti individuali.
(4) Si veda “The Determinants of Risk Aversion: The Role of Intergenerational Transmission”, Maria De Paola, Working Paper Dipartimento Economia e Statistica, Università della Calabria.
(5) Per ovviare ai problemi che potrebbero sorgere dal fatto che le precedenti due misure di avversione al rischio sono basate su dichiarazioni degli studenti, abbiamo considerato come ulteriore misura di avversione al rischio la percentuale di domande omesse al test di ingresso all’’università dove le risposte errate comportavano una penalizzazione. Anche in questo caso, controllando per abilità, condizioni economiche della famiglia di provenienza, genere, facoltà scelta eccetera, emerge che i figli dei dipendenti pubblici tendono a omettere un maggior numero di risposte, mentre i figli degli imprenditori non rispondono a un numero minore.

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La risposta ai commenti

14 commenti

  1. sara guerra

    Anni fa avete scritto un un articolo in cui evidenziavate come a causa degli alti costi dell’universita’ la mobilita’ sociale fosse maggiore in Italia che in Usa. Non vi ho creduto molto allora, ma dopo qualche anno in Illinois ho cambiato idea. Mi chiedo se sottoscriviate anche ora tale affermazione o se dal 2005 le cose in Italia siano drasticamente cambiate…

  2. malpassotu

    Ho letto e apprezzato l’articolo. Personalmente non credo molto nell’ "affidabilità" dei questionari "somministrati" a studenti. Tuttavia, credo che la scarsa mobilità intergenerazionale italiana sia dovuta alle caratteristiche del nostro mercato del lavoro e agli scarsi "ritorni" dell’investimento in istruzione per come analizzato da Checchi, Ichino, Rustichini su JPubE 1997. Quello di cui lei parla nell’articolo credo si riferisca non già al concetto molto più semplice di preferenze individuali, ma sia un "effetto imitazione", studiato in psicologia, e riscontrabile in (quasi) tutti i comportamenti dei figli rispetto ai loro genitori: tutti noi riproponiamo quotidianamente (dal rapportarsi con gli altri al semplice stare o meno composti a tavola) un modello che abbiamo appreso dai nostri padri nel corso della crescita.

  3. Fulvio Krizman

    L’analisi fatta dall’autrice dell’articolo, anche se si fonda su fonti indubbiamente attendibili, non tiene conto della mancata contestualizzazione degli stessi alla società italiana. Il nostro Paese è completamente anomalo dal punto di vista della mobilità sociale in quanto, purtroppo non siamo una società di tipo egualitario, come lo sono maggiormente gli altri paesi citati. Le professioni menzionate all’inizio dell’articolo sono una prova di questa stratificazione sociale italiana, professioni che essendo regolate anche da anacronistici ordini, incrementano un sistema tipico delle caste e quindi, proprio come caste, annullano la possibilità di una mobilità sociale. Pertanto anche le giuste considerazioni e suggerimenti contenuti nell’ultimo paragrafo dell’articolo, risulterebbero vane se si volessero proporre in una realtà come quella italiana, nella quale le “agenzie” che dovrebbero essere coinvolte per far sì che la nostra società divenga più aperta e mobile, non sono dotate di quei validi strumenti che solo una seria progettazione politica potrebbe dare loro. Si preferisce continuare con l’italianissimo “mi manda papà”.

  4. Oscar Breggion

    E’ vero, la mobilità sociale in Italia è bassissima. A ciò contribuisce anche il sistema fiscale che tassando pochissimo i passaggi ereditari della ricchezza tra le generazioni, tende a mantenere inalterati i gap di partenza degli individui. Dopo la completa abolizione da parte del primo governo Berlusconi (guarda caso l’uomo più ricco d’Italia che sarebbe stato anche il maggior beneficiario dell’intervento) vi è stata una timida reintroduzione dal parte del successivo governo Prodi. Una minore tassazione del reddito e una maggiore tassazione dei passaggi intergenerazionali permetterebbe di riequilibrare le opportunità in base al merito. Ho letto un lavoro di Krugman su come la tassazione dei passaggi ereditari possa modificare anche la struttura urbanistica di una regione (caso della costa est degli Stati Uniti). Saluti.

  5. Alessandro Figà Talamanca

    Il documento dell’ OCSE "Education at a Glance 2008" attribuisce al sistema universitario italiano una mobilità sociale maggiore di quella di altri paesi europei. Si dice infatti: "Access to higher education is inequitable, but much less so than in other European countries • 17% of higher education students’ fathers in Italy hold a higher education qualification themselves, while this is only the case for 10% of men in the same age group as students’ fathers resulting in a ratio of 1.7. The strongest selectivity into higher education is found in Portugal, with a ratio of 3.2. In Austria, France, Germany and the United Kingdom, students are about twice as likely to be in higher education if their fathers hold a university degree as compared with what their proportion in the population would suggest". Naturalmente sul quoziente di 1.7 influisce la bassa scolarità dei padri italiani. Ma nemmeno i dati dello studio citato nell’articolo sono oro colato.

  6. Francesco Bizzotto

    Sì, la mobilità sociale è il problema. Il cuore è nel lavoro. Cosa deve cambiare? Due esempi: 1° il Sindacato mira ancora alla forza collettiva (l’organizzazione, per un cambiamento radicale dei rapporti) anzichè al concreto percorso di crescita ed emancipazione sul campo, ponendo al centro la visione, la progettualità, la reciprocità (la Rete); 2° la Politica "conservatrice" lascia asfittico, inesistente, il libero mercato del lavoro (la possibilità di cambiare). Dopo la fabbrica fordista, con il suo ruolo e i suoi riti, servono strumenti e occasioni nel territorio per l’orientamento dei giovani e per l’incontro, il dialogo e la reciproca scelta tra imprenditore, lavoratore dipendente e professionista autonomo. E’ ciò che manca. Il mercato del lavoro sta a zero. E neanche l’imprenditore riesce a valutare e scegliere con criterio. Gli mancano info. Così perdiamo in armonia e creatività. E i giovani? Senza raccomandazione è dura. Io dico loro: scegliete la via dura! Cercate l’imprenditore giusto. Unitevi per la ricerca. Scambiatevi informazioni! In attesa di fare voi la scelta della professione o della libera impresa. Se ci fosse un libero mercato del lavoro, a cosa servirebbe l’art. 18?

  7. Tarcisio Bonotto

    Nella scelta del lavoro intervengono sia caratteristiche individuali che pressioni sociali. Certo un medico che abbia tutti e 4 i figli medici è un po’ strano. Però è successo. Ad uno dei figli il datore di lavoro lo paga lo stesso ma non gli è permesso per nulla operare sui malati. Forse doveva fare l’avvocato… Un agricoltore ha piantato delle pesche. I vicini agricoltori hanno ‘pensato’ che forse le pesche hanno mercato e hanno piantato a loro volta pesche. Il mercato si è inflazionato e spesso le regalano in piazza. Secondo punto. Sono rimasto sorpreso che in Inghilterra ci sia molta mobilità nel lavoro e molta libertà di scelta. Non solo, non vi è preoccupazione nei giovani se perdono il lavoro, c’è n’è sempre uno dietro l’angolo. In Italia sembra siamo culturalmente ingessati e le competenze specifiche non sono da meno. Non so se per una sorta di mentalità provinciale o per poca praticità. Gli inglesi sono calvinisti e come tali hanno una concezione più pratica dell’esistenza. Ma se non vi è domanda regolare di lavoro, nessuno si sogna di rischiare. Perchè non c’è domanda di lavoro a sufficienza? Profitto?

  8. AM

    Mi pare che la bassa imposizione sulle successioni (solo quella dai genitori ai figli) abbia ben poco a vedere con il fatto che in Italia i figli di uomini politici, professori universitari, magistrati, ufficiali dell’esercito, notai, avvocati, commercialisti, dirigenti statali, architetti, medici, attori, sindacalisti, calciatori, broker assicurativi, bancari, ecc seguano spesso l’attività del padre (o talora della madre). Si tratta in molti casi di professioni che consentono un buon livello di vita, ma certo non l’accumulazione di grandi patrimoni come imprenditori, grandi manager, finanzieri, ecc. Le cause del fenomeno, peraltro non circoscritto all’Italia, sono altre! Riguardo poi all’eliminazione dell’imposta di successione fra genitori e figli decisa da Berlusconi, mi spiace essere in totale disaccordo con un commento precedente. In genere i paperoni non sono affatto contrari all’imposta di successione (es. dichiarazioni di miliardari americani) perchè è noto che questa imposta grava soprattutto sugli strati più alti del ceto medio, mentre è elusa, grazie alla costosa consulenza di professionisti, dai grandi ricchi.

  9. Tom

    C’è anche da dire che gli studenti che non hanno una famiglia alle spalle che possa mantenerli difficilmente opteranno per percorsi universitari impegnativi (come medicina ad esempio). Sarebbe interessante analizzare il livello di reddito medio delle famiglie secondo i vari corsi di laurea. In Italia poi mancano borse di studio e adeguate tutele degli studenti lavoratori (che addirittura devono prendersi i permessi dal lavoro perchè professori e segreterie vaire non si sono ancora aggiornati alle comunicazioni sul web…)

  10. AL

    Da ex studente di una università pubblica e attuale studente di una business school privata (ESCP) anglo–francese, sono rimasto basito dal notare quanti studenti italiani coinvolti nelle università private (caratterizzate da costi "molto" elevati) abbiano alle spalle famiglie benestanti nella maggior parte dei casi, mentre studenti esteri hanno nella maggior parte dei casi, un prestito sulle spalle per finanziare i loro studi. Dalla mia personale esperienza ricavo che noi italiani siamo più ignoranti per quanto riguarda il finanziamento allo studio, e cerchiamo l’università vicina a casa per contenere i costi, che nella maggior parte delle volte si traduce in una prospettiva lavorativa poco "rosea". Forse gli istituti di credito dovrebbero focalizzarsi di più sull’istruire gli studenti su quanto sia importante fare un calcolo sul ritorno dell’investimento nell’istruzione. Dopo aver frequentato l’università pubblica, lo stipendio medio percepito dopo la laurea si aggira intorno ai €14.700 (dopo 3 anni dalla laurea). Dopo aver frequentato una business school mi vedo offrire posizioni manageriali (ho 22 anni) con prospettive salariali di circa £30.000 ancora prima di finire gli studi!

  11. Antonino Barbera Mazzola

    Il mix sociale all’interno delle scuole pubbliche, cioé dove vanno quasi tutti, non credo sia così basso. Il problema, secondo me, è che chi ha disposizione maggiori risorse finanziarie può investire in attività extra come corsi di musica, viaggi, etc. che formano ragazzi più ambiziosi.

  12. Gemma Menigatti

    Ho 67 anni ed ho potuto laurearmi in Lingue grazie alla benemerita liberalizzazione dell’accesso ai corsi di laurea. Provenivo da una famiglia di modeste risorse economiche con 5 figlie da istruire. In 4 siamo arrivate alla laurea con grandi sacrifici di tutti. Negli anni 60-70 la mobilità sociale ha avuto il massimo incremento; ora siamo al minimo, non solo per la precarietà del lavoro dei genitori, ma anche perché i figli non sono più disposti a fare i sacrifici che abbiamo fatto noi.

  13. max

    Non cito autorevoli fonti ma riporto la mia esperienza di vita. Allo scientifico e all’università nel mio corso ero l’unico figlio di operaio. Mi sono laureato per primo e col massimo dei voti pensando di acquistare vantaggio e di far valere le mie capacità. Ho inviato il curriculum a destra e a manca, ma non ho trovato nessuno disposto a leggerlo. Alla fine, dopo diversi anni mi sono visto raggiungere dai figli di papà che avevo lasciato indietro. Sono stato assunto per concorso in un ente pubblico e adesso, con un master conseguito con la massima votazione, porto a casa un potere di acquisto pari a quello di mio padre operaio. Le relazioni sono l’elemento fondamentale per la riuscita di una carriera. Fare ciò che ha fatto il padre permette di utilizzare da subito la rete di relazione familiare e ciò consente di raggiungere certi risultati più facilmente e velocemente. Altrimenti si tira il collo per non si sa quanto anni e con il rischio pure di non farcela. Avessi voluto fare l’operaio manifatturiero, attraverso le conoscenze di mio padre sarebbe stato uno scherzo. Quando si comincerà a domandare “cosa sai fare” piuttosto che “chi sei” allora ci sarà più mobilità sociale.

  14. ANTONELLI

    Molto semplicemente credo che come se l’amministrazione pubblica, banche, assicurazioni, studi professionali, fossero obbligati ad assumere con un periodo di prova di 1 anno in via prioritaria i laureati con 110 e lode lasciando ai singoli laureati la facoltà di scegliere le diverse opportunità. Esauriti i 110 e lode la priorità passerebbe ai laureati con 110 alle stesse condizioni sopra descritte e poi ai laureati con 105 e così via. Probabilmente una parte del problema "mobilita sociale" sarebbe risolto.

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