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I DISASTRI DELLA SCUOLA CHE PROMUOVE TUTTI

Se descrivessimo il sistema dell’istruzione in Italia con la terminologia della finanza, apparirebbe evidente che almeno al Sud avviene ogni anno un indiscriminato salvataggio dell’impresa-scuola, con una sopravvalutazione dell’attivo, ovvero delle competenze degli studenti diplomati. La conseguenza ・una universit・fortemente sovradimensionata. Mentre sarebbe necessario ricominciare a investire nella scuola dell’obbligo, con risorse progettuali oltre che finanziarie. Per esempio, si potrebbero misurare i progressi non solo per anno, ma anche per materia.

Con la crisi finanziaria, che in qualche modo ci coinvolge tutti, s’è imparato questo termine “write-down”, che vuol dire “scrivi un numero più basso”, riferito al valore contabile di un titolo sopravvalutato. S’è capito che a questo punto il write-down di cui avrebbero bisogno gli asset nell’attivo dei bilanci del settore finanziario è diventato talmente pauroso che quasi tutti concordano vada in qualche modo ammorbidito. D’altra parte, tutti concordano anche che va fatta chiarezza per riallocare le risorse facendo riemergere le attività più produttive e ridimensionando quelle meno produttive; questo è essenziale per la crescita che, come magistralmente sintetizzava Daron Acemoglu qualche settimana fa su queste colonne , è fatta di innovazione e riallocazione.

SE LA SCUOLA FOSSE UN’IMPRESA

C’è un altro write-down che stiamo evitando, quello del bilancio del settore istruzione al Sud Italia. Nel passivo di questo bilancio ci sono le partecipazioni degli azionisti, cioè i fondi versati dai contribuenti; nell’attivo c’è capitale umano. Non credo di essere il solo a sospettare che i valori dell’attivo comunicati all’azionista-contribuente siano sopravvalutati. E dunque si impone una riflessione su opportunità riallocative, come nel settore finanziario.
Lo snodo più importante, anche per le sue implicazioni sul mercato del lavoro, è quello delle competenze certificate con il diploma di maturità. Insegno Economia politica al primo anno di Economia a Palermo e il primo esercizio del compito d’esame che ho assegnato qualche giorno faera ripreso da un testo di terza media: “In una azienda ci sono 102 dipendenti, operai e impiegati. Se si tolgono i 3/4 di impiegati e i 2/7 di operai, il numero degli operai diventa doppio di quello degli impiegati. Quanti operai ci sono nella azienda?”. (1) Dei trenta studenti presenti, che oltre a essere diplomati avevano già sostenuto l’esame di Matematica generale, due hanno risolto il problema. 
Se l’azionista-contribuente chiedesse un write-down nel bilancio della scuola, per esempio stabilendo semplicemente quali esercizi del compito di maturità bisogna svolgere correttamente per essere promossi e inducendo gli insegnanti a non dichiarare il falso, provocherebbe il collasso dell’università al Sud.
Il contribuente evita, pressato da vincoli di periodo breve. Ma così si impedisce una riallocazione di fondi per l’istruzione al Sud, importante per la crescita. Se il contribuente esigesse chiarezza nell’attivo, rappresentato dal capitale umano, del bilancio della scuola, sarebbe subito apparente che al Sud l’università è fortemente sovradimensionata. E che è necessario ricominciare a investire massicciamente nella scuola dell’obbligo, con risorse finanziarie ma soprattutto progettuali. L’università è sovradimensionata perché è gonfia di studenti che non hanno le competenze dichiarate nei loro diplomi. L’investimento nella scuola sarebbe opportuno per riallineare le competenze reali a quelle dichiarate.
Ogni anno si provvede invece a una copertura indistinta dei costi del settore, a un “bail-out” si direbbe in finanza, lasciando a coprirsi di muffa i compiti irrisolti dei promossi in uscita dalla scuola e affidando all’università il compito di verificare le competenze in entrata e integrarle. Così facendo si palesa una imbarazzante non approvazione del bilancio della scuola e si impiegano risorse in modo inefficiente. Ma soprattutto si sbaglia ad assegnare il controllo alla parte che ha incentivo a manipolarlo: perché l’università ha il preciso interesse di stabilire gli standard in modo da evitare proprio il ridimensionamento di cui avrebbe bisogno.

UN PROGETTO PER LA SCUOLA

È ovvio che non sarebbe possibile né desiderabile provocare un collasso repentino del sistema universitario. Si tratterebbe di ridurre gradualmente il numero degli ammessi all’università in base a valutazioni gradualmente più realistiche fornite dalla scuola. La direzione di miglioramento per l’università è dunque chiara: ridurre la dimensione ed elevare la qualità.
Per la scuola il discorso è più complicato, perché passa per una difficile riflessione sugli obiettivi di quella dell’obbligo e sul come raggiungerli. Qui lo snodo critico è la media inferiore, dove la pratica del "tutti promossi" produce squilibri all’ingresso delle superiori. Questi squilibri si potrebbero correggere misurando i progressi non solo per anno, ma anche per materia: per esempio, la promozione sarebbe non alla seconda classe, ma al secondo livello di italiano. Alla fine della scuola dell’obbligo si avrebbero certificazioni di competenze di livello diverso nelle diverse materie. E da là, come avviene in Inghilterra, si accederebbe alla fase finale delle superiori se in possesso dei requisiti minimi stabiliti. Ciò renderebbe gli obiettivi più chiari, per lo studente e per la scuola. Al Sud, per esempio, capiremmo tutti che italiano, inglese, matematica e scienze sono beni di prima necessità. E che dieci materie alla media inferiore sono un bene di lusso.

 

(1)Illustrato con palline rosse e verdi il problema è a p. 317 di G. Flaccavento Romano, Realtà e Modelli. Soluzione: si asserisce che 5/7*Op.=2*1/4*Imp. da cui usando Op.+Imp.=102 si ottiene 42.

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UN REGALO DI OBAMA ALLE BANCHE *

37 commenti

  1. gian luca podestà

    Forse anche la storia. Avremmo meno problemi di identità nazionale.

  2. Diego Minoia

    D’accordo sull’analisi generale e sulla proposta di valutare per livelli nella Scuola media. Non capisco però la chiusa sul lusso delle dieci materie nella scuola secondaria inferiore. Io insegno musica convinto di formare i cittadini di domani, educati “anche” all’arte e al bello, alla pratica esecutiva e alla creatività. Le sembra un lusso avere cittadini che, oltre doverosamente a sapere di scienza e di matematica, siano in grado di capire e apprezzare un aspetto culturale basilare come la musica?

    • La redazione

      L’asserzione sulle dieci materie come bene di lusso e’ per me estremamente sofferta. Quando piango ascoltando un pezzo di musica poi penso spesso Ma uno che queste cose non le prova mai che vive a fare? I miei quattro piccoli figli studiano tutti musica anche se nessuno di loro e’ un talento. Penso anche che uno che sa la Storia e’ diverso da uno che non la sa. Dico di piu’. Qual e’ oggi la differenza fra destra e sinistra? La mia risposta e’: delle tre cose importanti della vita, Salute Amore e Lavoro, per uno di destra il Lavoro viene prima dell’Amore, per uno di sinistra e’ il contrario. Purtroppo la mia opinione qui ed ora e’ quella che ho espressa nell’articolo. Perche’ se non si comincia col sapere l’Italiano tutto il resto non arriva.

  3. Davide

    Articolo molto condivisibile. Peccato che la risposta al problema sia sbagliata. Se la domanda e’ quanti sono gli operai, la risposta corretta e’ 42, mentre 60 sono gli impiegati.

  4. Lucia Valente

    Sono un ricercatore dell’Università di Roma, facoltà di Giurisprudenza, Diritto del lavoro. Condivido integralmente l’analisi del Prof. Modica. Durante il corso istituzionale, sono previsti degli esoneri scritti, e gli errori di grammatica sono numerosi. A ciò si aggiunga che gli studenti spesso fanno fatica a comprendere le materie d’esame e questo, in un esame scritto, emerge immediatamente. Credo però che buona parte della impreparazione degli studenti universitari dipenda anche dalla didattica. I nostri studenti, passano dall’esame di maturità alla tesi di laurea senza mai scrivere nulla di giuridico e senza avere contezza di come si affronti un parere o un atto giudiziario. Credo che anche per questa ragione, facciano poi fatica a superare i concorsi o l’esame di abilitazione.

  5. marco

    Temo che la situazione così bene descritta non differisca molto al nord. Un allievo di un quinto anno di un istituto commerciale, che ho avuto occasione di aiutare, dovrebbe in teoria affrontare argomenti di programmazione lineare e ottimizzazione, ma in pratica dopo 3 o 4 promozioni con debiti formativi non è in grado di risolvere problemini elementari, non conosce le tabelline, non è in grado di calcolare a mente 85.000 diviso 1000 e neppure il risultato di una sottrazione come 22-17 (casi reali!). Credo che la perfida invenzione dei crediti formativi e l’uso dei calcolatori tascabili abbia dato ormai il colpo di grazia all’insegnamento della matematica in Italia, salvo eccezioni.

  6. Marco Campione

    Siamo certi che "la scuola promuove troppo"? La secondaria inferiore certamente promuove con tassi inverosimili, ma altrettanto non si può dire delle superiori (ultimo dato in provincia di Milano: almeno il 20% degli iscritti in 1a non arriva alla qualifica triennale!). E se al primo anno di università non sanno risolvere una semplice operazione forse non è solo colpa della scuola che hanno frequentato almeno 5 anni prima. Concordo molto sulla proposta conclusiva (che peraltro non limiterei all’obbligo), ma per superare i problemi posti dall’Autore a questo va aggiunto molto altro. A solo titolo di esempio: rafforzamento della formazione superiore non universitaria che in Italia è stata fin qui penalizzata per responsabilità precisa delle Università; valorizzazione insegnamento tecnico-scientifico nelle superiori (interessante la proposta Berlinguer di un liceo "scientifico/tecnico" senza latino); didattica laboratoriale per l’insegnamento delle Scienze (in Lombardia molto interessante l’esperienza di "Scienza Under 18" e di "Teatro e Scienza"); immissione massiccia delle nuove tecnologie a scuola; aggiornamento obbligatorio x gli insegnanti.

  7. Antonio Bozza

    Condivido a fondo il messaggio che lei lancia nell’articolo e sono d’accordo anche nelle soluzioni da lei proposte. Vorrei aggiungere però che il problema non riguarda solo il mezzogiorno, le leggi e i programmi d’insegnamento sono gli stessi in qualsiasi regione d’Italia, così come il carattere e la voglia di apprendere di ciascuno studente. Sarebbe meglio forse discutere caso per caso, senza la necessità di dividere in due la nazione. Inoltre penso che la necessità per la società sia quella di ridurre il numero di iscritti alle università ma semmai di aumentarli. Perchè già il seguire anche un solo corso universitario migliora, anche se di poco, la cultura di una persona; pensiamo a come sarebbe diversa l’Italia se nelle strade si respirasse la tessa aria di un campus universitario, se tutti, dal pizzaiolo allo spazzino conoscessero qualcosa in più del proprio mestiere o del vincitore di un reality show. Bisogna quindi valorizzare sì i più meritevoli, ma anche trovare strade che incoraggino i meno bravi ad aumentare le proprie conoscenze, e forse il semplice porre dei paletti non basta.

  8. Alessandro Spinelli

    Noto con divertito stupore che l’autore ha riportato anche la soluzione, oltre che il testo, del complicato problema. Non si sa mai, magari tra i lettori ci sono anche gli studenti cui si faceva riferimento nel testo…

    • La redazione

      Non penso di avere la soluzione in tasca, e non penso che quello che succede all’estero sia sempre giusto. Sono sicuro solo del fatto che non e’ bene ignorare il problema.

  9. Markus Cirone

    Tristemente vero. Qualcuno degli studenti di cui parla l’autore potrebbe essere un mio ex-alunno. Il problema esiste e peggiora ogni anno. In particolare al Sud vige il principio "fate di tutto per tenerli a scuola" per ovvie ragioni di carattere sociale. In più i tagli del bilancio spinge a bocciare sempre meno, per diminuire il numero di classi e quindi le spese. Aggiungiamo che le conoscenze scientifiche costituiscono un tutt’uno: è come una catena, se un anello è debole, è debole tutta la catena. Le ore di lezioni a disposizione sono assolutamente insufficienti. Per finire: l’apprendimento da parte dei miei alunni è spesso transitorio: al momento dell’interrogazione riescono magari a cavarsela, ma qualche settimana dopo hanno dimenticato quasi tutto.

  10. EDOARDO

    Purtroppo paghiamo, e non solo nel settore dell’istruzione, 40 anni di appiattimento egualitarista comunista che non riesce a stimolare i meno dotati ed appiattisce in una palude di mediocrita’ i piu’ dotati.

  11. Luigi Proia

    La responsabilità del disastro della scuola è: 1) dei politici 2) dei sindacati 3) dell’amministrazione 4) della lobby dei presidi oggi dirigenti scolastici (sic) 5) dei professori che non hanno saputo ribellarsi a questa vergogna e hanno dimostrato scarsa professionalità ma "Don Abbondio" insegna. E non escludiamo la Chiesa, che dal 1948 vuole appropiarsi del sistema educativo italiano e dell’Italia tutta, e oggi mette in campo addirittura le vecchie teorie di Vincenzo Gioberti, senza menzionarle, e il federalismo a questo ci porterà. La nostra "intellighenzia" è troppo presa per servire il potente di turno (scrittori, economisti, finanzieri ecc.) che non ha tempo di occuparsi di queste quisquiglie con buona pace dei nostri padri della Patria e della Repubblica che si rivolterranno nella tomba nel vedere lo scempio che sta avvenendo.

  12. Piccolo Vincenzo

    Insegno Nutrizione e Alimentazione animale presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli. Ho letto l’articolo in oggetto e ho trovato il tema molto interessante. Condivido le considerazioni relative all’abbassamento del livello culturale degli studenti che accedono all’Università e a seguire di quello dei laureati (ovviamente sempre come dato medio, altrimenti non si capirebbe la fuga dei cervelli dall’Italia). Se ho capito bene l’autore dell’articolo ne fa un problema che riguarda essenzialmente il Sud. Resto molto dubbioso su questo punto. Per quanto concerne la soluzione proposta, mi sembra contorta. Non necessariamente tutto ciò che viene dagli altri paesi europei e non rappresenta una soluzione ideale. Vale per tutti l’esempio dell’introduzione della laurea triennale al fine di creare un professionista giovane, duttile, di preparazione meno specialistica da immettere subito nel mondo del lavoro. L’innovazione si è rivelata un fallimento nella maggior parte dei settori scientifici e la considerazione più amara è che questo tipo di professionista decantato in Europa noi lo tenevamo già e non a 22 ma a 18 anni ed erano i migliori diplomati dei nostri Istituti Tecnici.

  13. loris

    Nel 1960 gli immatricolati all’università sui 19enni erano l’8.8% (CNVSU 2005) oggi si attestano intorno al 60%. Solo questo dato dovrebbe far capire che un conto erano la scuola e l’università pensate e rivolte alle élite di un paese (con un background famigliare e culturale di un certo tipo dunque) e un altro una università sostanzialmente massificata. Gli studenti eccellenti ci sono oggi come c’erano ieri, il problema (o la fortuna, dipende dai punti di vista) è che oggi sono inseriti in classi meno omogenee di un tempo e quindi formate anche da ragazzi che una volta non avrebbero avuto accesso all’università. Altrimenti mi accodo alle rimostranze e aggiungo: non ci sono più i sapori di una volta, le stagioni di una volta, etc.

  14. maurizio

    Per decenni la scuola andava discretamente bene, poi vennero gli anni delle raccomandazioni e i raccomandati, non avendo una figura ben definita, pian piano si riversarono negli enti pubblici, tipo la scuola. Dopo la sfortuna volle, che in Italia diminuirono i figli, pertanto diminuirono gli alunni, ma caso strano i vaganti continuarono ad aumentare. Oggi si vuol tornare ai sani principi di una volta, ma,questo, è difficoltoso causa ma io dove vado? In comune -alle poste – agli uffici pubblici – no io non lascio le comodità resto nella scuola. Caro Brunetta e Cara Gelmini forza e coraggio.

  15. Enrico

    Io credo che il problema sia la metafora. La scuola non è un ‘impresa e basta. Quello che vale per un’azienda di scatolette non vale per un’attività statale che non produce utile. La differenza non è di poco conto. Dovremmo interrogarci sul motivo ideologico di questa proliferazione del modello dell’impresa. Lo Stato e l’impresa non sono la stessa cosa ed è bene mettere i puntini sulle "i". Ai liberali estremisti potrebbe non piacere ma è la semplice verità. Io invece mi interrogo su come sia possibile che in un momento di crisi lo stato mandi a casa decine di migliaia di insegnanti. Sarebbe meglio che lo Stato (ora) intervenisse di più e non di meno. Questo è l’unico vero problema: la scomparsa di oltre 40.000 posti di lavoro. Tutto il resto è francamente secondario.

  16. amsicora

    La scuola italiana è fra le più costose al mondo, con circa 8000 euro di costo per studente (totale spesa pubblica istruzione/numero studenti, siamo a livelli scandinavi) ed è quella con più insegnanti (1 ogni 10 alunni contro la media Ocse di 1 ogni 14). Ingenuamente si potrebbe pensare che sia una delle migliori del mondo, alla luce delle ingenti somme spese dai cittadini per finanziarla e della vastità del corpo insegnante…mentre invece, a leggere i commenti, pare una sorta di grande intrattenitore antimeridiano. Insomma, per dirla con una battuta, la scuola, certo, non è un’impresa, anche perché, se lo fosse, sarebbe già fallita.

  17. Antonio Pezzano

    Il problema di fondo e’ che la scuola nel Sud, come tutta la PA, e’ un ammortizzatore sociale. L’utilita’ aggregata che deriva dall’assegnare posti di lavoro pubblici e’ maggiore del costo aggregato di diplomare somari. Basterebbe introdurre test di selezione in tutte le universita’ sul modello del GMAT, cioe’ capaci di valutare in modo oggettivo (e senza interferenze) le competenze matematiche, logiche, scientifiche ed espositive. Questo incentivo creerebbe le condizioni per valutare l’introduzione di tutte le novita’ necessarie a modernizzare la nostra scuola.

  18. enrico dallasta

    Gli insegnanti italiani non stanno nel rapporto 1:10 come lei hai scritto contro l’ 1:14 degli altri paesi UE. Le faccio notare che: 1- quel valore tiene conto anche degli insegnati di sostegno (che in Europa sono sotto i ministeri alla salute o al welfare); 2- gli studenti della scuola dell’obligo che abitano nelle piccole frazioni in montagna e nelle piccole isole non possono essere abbandonati e quindi ci vogliono insegnanti pure li; 3- senza contare i quasi 30.000 insegnanti di religione che gravano sul bilancio dell’istruzione ma sono scelti dal vescovo (è tutto dire). Io insegno in un Istituto superiore in una città dell’Emilia-Romagna e le mie classi 1°, 2° e 3° hanno rispettivamente un minimo di 26 studenti per le classi 3° e 27 e 28 studenti per il biennio. Bisogna, secondo me, trattare della scuola usando i corretti numeri altrimenti si genera solo confusione e non corretta informazione. Questo vale non solo per lei, ma anche per tutti quelli che guardano i numeri, ma non sanno cosa ci sta dietro.

  19. Luca

    Forte di una pluriennale esperienza nei licei di Brescia e provincia in qualità di insegnante di matematica e fisica, posso assicurarvi che la situazione al settentrione è identica; fanno eccezione 1 o 2 istituti, che pur non manifestando eccellenza, si mantengono su discreti-buoni livelli formativi. Le valutazioni sono gonfiate, e non poco, anche al Nord Italia. Condono delle valutazioni e permissivismo educativo sono la norma nelle nostre istituzioni; li si avalla per il quieto vivere, oppure per incapacità di interpretare il ruolo delle istituzioni e dell’educazione in generale. Se un singolo insegnante vuole opporsi a tali indecenze, non solo deve scontrarsi con colleghi, presidi, genitori e alunni, ma è altresì impossibilitato ad agire secondo la sua coscienza professionale per quanto riguarda il proprio ambito disciplinare. Difatti il singolo docente può solo proporre il proprio voto, ma è il consiglio di classe a maggioranza ad assegnarlo! Uno studente per essere promosso deve avere la sufficienza in tutte le materie. Ergo, una o due materie, le più difficili, gli vengono quasi sempre condonate! Le istituzioni sono marce, i valori in crisi, al sud come al nord!

    • La redazione

      Parlo del Sud perche’ ne ho esperienza diretta. Al Nord, almeno stando ai risultati PISA, credevo che la situazione fosse migliore.

  20. Alessandro Zanardo

    Brillante riflessione di Modica, sottoscrivo le testimonianze di chi denuncia una analoga situazione al Nord. Mi spiace che nei commenti ci si scagli contro questa o quella fazione politica (un paio d’invettive faranno sorridere qualcuno…), anche elencando i dati per argomentare queste tesi… Il problema innegabile è la mancanza di preparazione: com’è possibile non vedere i problemi di un sistema che non produce Cultura, ma ignoranza? Non è da ciechi spacciare per un bene il fatto che il 60% dei diplomati oggi frequenta l’università, senza contare che la loro preparazione è ben inferiore a qualche anno fa? Basta confrontare la qualità dei diplomati degli istituti tecnici (un ragioniere di 20 anni fa con la "laurea breve" in economia di oggi).Per questo in questo frangente in Italia le imprese assumono più diplomati che dottori.. La soluzione passa sì da test (magari eseguiti dai docenti del ciclo scolastico successivo a quello in esame), ma non basta; va rivisto il ruolo dell’insegnante all’interno della scuola (che ad insegnare vadano quelli capaci),e nella società (che vede il fine nel diploma e non nella Cultura).Sennò diplomi e lauree saranno solo carta-straccia…

  21. Giulio

    Gentile professore, complimenti per la chiarezza e per aver fornito come esempio un fatto da lei stesso vissuto. Purtroppo non ho competenze e dati per discutere la validità del sistema scolastico italiano, pertanto mi limito a fare considerazioni sull’esempio-esperimento da lei condotto: immagino che dei 30 alunni 28 siano stati o bocciati all’esame o valutati molto severamente. Ma ancor più severo deve essere stato il giudizio sul collega di "matematica generale" che non dovrebbe "traslare" in avanti il problema con facili promozioni ma indirizzarlo a sua volta a chi lo precede nella catena, che sia la scuola superiore o eventualmente altri colleghi di altri corsi. In sostanza auspico una maggiore assunzione di responsabilità di ciascuno e una volontà di mettersi in discussione, motivo per il quale apprezzo molto la citazione del proprio vissuto.

  22. AB

    Purtroppo avvengono cose impensabili. Inutile che un docente (delle elementari, delle medie inferiori o superiori, dell’università) cerchi di imporre un livello minimo di preparazione: tutto si muove contro, come altri commenti hanno descritto. Il risultato è che all’università si è costretti ad abbassare il livello dei corsi a causa della insufficiente preparazione degli studenti e con un effetto a catena si abbassa il livello della preparazione delle superiori e così via. Il risultato è già chiaro: certificati di laurea che valgono come fogli di block notes. Ciò che è peggio è che questo abbassamento di livello penalizza gli studenti migliori, quelli che avrebbero ottenuto il massimo dei voti anche dieci o venti anni fa, che imparano molto meno di quello che avrebbero potuto imparare in condizioni migliori con grave danno per il loro futuro e per il futuro dell’intera società. Per quanto riguarda gli altri studenti, mi dispiace che vengano illusi fino al giorno della laurea che sia così facile andare avanti. Se ne accorgeranno il giorno dopo, quando cominceranno a cercare lavoro, di quanto sia importante una solida preparazione.

  23. marco scaccia

    Analisi impeccabile della realtà dell’istruzione in Italia. La corrispondenza con il mondo della finanza è attuale, molto ironica e divertente. Le medie inferiori hanno come compiti primari quelli di distribuire competenze, ma soprattutto di indirizzare la capacità critica e di ragionamento dello studente. A quella età i margini di miglioramento intellettuale sono enormi e creare troppi filtri sarebbe sbagliato e iniquo. Anche a livello universitario una errata selezione spesso blocca talenti autentici. Ma questo è un altro discorso. Lei stesso sembra suggerire tra le righe che gli scompensi tra i due blocchi formativi sono forse inevitabili e indica, per ridurre il peso delle due entità, una logica via di uscita di stampo anglosassone con introduzione di un terzo blocco finale che prepari il salto verso l’università, riducendo nel contempo gli attriti fra i tre carichi. Quanto alle dieci materie-beni di lusso, penso ancora alle “secondarie di primo grado” (slang Sig.ra Moratti) dove si affronta la questione della formazione intellettuale e analitica degli studenti e in misura minore quella della loro specializzazione tecnica.

  24. Giuseppe Terruzzi

    Chi altri in Italia ha il coraggio di parlare di valutazione per livelli di competenza? Bisognerebbe introdurla forse alle medie inferiori, ma sicuramente alle superiori (dove insegno). Non riesco però a capire perchè nessuno propone di introdurre anche nella scuola italiana il sistema anglosassone dei curricoli flessibili: il raggiungimento obbligatorio di alcuni livelli di competenza in alcune materie, l’acquisizione di altre competenze opzionali, con un sistema di crediti certificati. Si tratterebbe di una rivoluzione, che da un lato darebbe agli adolescenti la libertà e la responsabilità di scegliere il proprio percorso formativo (motivandoli nello studio) e, dall’altro, provocherebbe una riduzione della spesa per gli insegnanti. Si otterrebbe quel che cerca il trio Gelmini – Tremonti – Berlusconi e si darebbe una boccata d’aria alla scuola, ormai in stato di paralisi. Possibile se da un lato si smette di usare la scuola come ammortizzatore sociale, se si riduce il potere dei sindacati a termini più appropriati e, dall’altro, se si introduce un efficace sistema di valutazione (esterna) della qualità delle scuole. Un’equazione con troppe incognite per essere risolta?

  25. sandro

    Mi scusi la domanda esplicita ma ho notato che ha dimenticato di rispondere ad un commento che implicitamente le chiedeva la stessa cosa. Sono del Nord e non conosco in dettaglio le percentuali di promozione/non promozione degli esami di Palermo ma un tasso di "bocciature" del 93.33% sarebbe finito sui giornali, sui siti Intenet ecc. Le faccio questa domanda sperché il Suo intervento mi ricorda molto i discorsi di un ex Collega (insegno in un istituto tecnico serale) che parlava, parlava, … ma poi candidamente ammetteva di dare a tutti almeno 6, aspettando che le insufficienze le mettessero gli altri. Sperando di essere stato solo "molto maligno", le porgo i migliori saluti. a.a.

  26. Norberto Bottani

    In Italia la spesa per allievo dell’insegnamento primario e secondario addizionati non è anomala. In Germania e nel Regno Unito si spende perfino di meno per allievo. Questo è un dato globale che dovrebbe essere analizzato per capire come si arriva a questa somma. Si sa, per esempio, che in Italia, una parte cospicua della spesa per la scuola è devoluta agli stipendi. Siccome gli stipendi degli insegnanti delle scuole primarie e secondarie non sono elevati, ci si deve chiedere come mai si arriva a questo importo. La risposta probabile è l’alto numero di personale occupato nel sistema scolastico e dell’istruzione in Italia. Anomala invece è la spesa per studente universitario. A questo livello d’istruzione, la spesa italiana è del tutto anomala perché è bassissima, praticamente la metà della spesa del Giappone o della Germania, un quarto di quanto non si spenda negli Stati Uniti per studente dell’insegnamento superiore. Come mai questo divario? Cosa non funziona a questo livello? Dal punto di vista politico oggigiorno tirerei una conclusione diversa: la priorità è lo sviluppo del settore terziario. Non occorre invece investire massicciamente nella scuola dell’obbligo.

  27. Guido Tirone

    Una proposta: aboliamo il sistema dei Licei ed introduciamo una Scuola Media Superiore nella quale i ragazzi possano concentrarsi su 5 materie a loro scelta; al termine esami multiple choice certificherebbero la preparazione specifica in ciascuna di esse. L’accesso all’Università sarebbe a questo punto subordinato al conseguimento di determinati score in determinate materie (Matematica per Ingegneria; Letteratura Italiana per Lettere…..). Certo nascerebbe qualche problema di cattedre (penso a Latino per esempio) ma pretendere che i ragazzi di oggi seguano 13 materie mi sembra francamente assurdo. D’altra parte se decido di fare Latino lo faccio con compagni motivati senza la zavorra di tanti che nel sistema attuale sono costretti a farlo dalla rigidità del curriculum.

  28. GIANFRANCO ZUCCOTTI

    Ho da poco terminato gli esami di stato che ho svolto come presidente e nella mia relazione mi sono permesso tra le altre cose di riprendere il concetto sopra esposto dall’autore: mi permetto di osservare, non senza prima chiedere scusa, che ritengo comunque questi esami inutili nell’attuale momento storico che stiamo attraversando. Vedrei bene una scuola così impostata:• n. 4 anni anziché 5 intensificando l’orario ( es. dalle 8.30 alle 18.00 con la pausa pranzo di almeno 1.30); (gli allievi entrerebbero prima nel mondo del lavoro o all’università);•il tempo scuola dovrebbe esaurire anche i compiti pomeridiani e dare l’opportunità agli studenti di frequentare anche attività sportive;•abolirei le bocciature introducendo per ogni disciplina l’obbligo di conseguire un numero di moduli (esempio: tutte le discipline nei 4 anni attraversano 20 step, (n. 5 all’anno):al termine dei 4 anni ogni studente avrà maturato in ogni disciplina i suoi moduli con la relativa media e si presenterà sul mercato del lavoro o all’università con la media del 9 su 10 in inglese,etc.). Non attribuirei quindi più valore legale al titolo di studio.

  29. PASQUALE BOLLI

    Il dramma della scuola e,quindi della societa’ italiana e’ la mancanza di docenti, non di quantita’ ,ma di qualita’, cioe’ di competenza e di amore nel trasmettere il proprio sapere alle generazioni che seguono. Quando il docente non gioisce nel trasmettere quello che sa, il suo operato diventa freddo e gli studenti non imparano. Oserei dire, che l’insegnamento e’ missione, e chi tanto comprende,dovrebbe fare altri mestieri,in caso contrario,fa un lavoro non piacevole .e fa danno alla societa’. Un giovane ragioniere,un laureato in economia ,molto spesso ignora la tecnica della scritturazione contabile perche’ la scuola gli ha fatto imparare solo inutile teoria e trovare un buon contabile e’ come vincere un terno al lotto. Negli istituti tecnici sono abilitati all”insegnamento della ragioneria anche i laureati in psicologia. Gli istituti tecnici sono forniti di calcolatori per la meccanizzazione della contabilita’ ma i primi a non conoscere il loro funzionamento sono i docenti. Purtroppo questa e’ una ‘italia ,senza speranza e senza futuro.

  30. PASQUALE BOLLI

    Oggi siamo tutti, o quasi tutti, forniti di diplomi e lauree, ma certamente il nostro sapere è, molto scadente e non adeguato alle discipline intraprese. Le colpe di chi sono? In primis dei politici. Quelli che fanno questo mestiere, sottolineo questo mestiere, e non questa professione, non hanno, però, tanta differente cultura. Quindi, tanto non ha prodotto che tanto. Sicuramente al sistema politico non conviene elevare il grado culturale della società, perchè se questa si evolve difficilmente si lascia sottomettere. Oggi gli italiani vivono un in uno stato di torpore, di voluto letargo e, quindi di felicità, perchè inconsapevoli. La società italiana evidenzia un paese disaggregato nelle sue componenti senza il concetto della solidarietà ma costituita sfortunatamente, da falsi colti, con titoli di studio senza lavoro e che se, invece, artigiani, potevano essere utili alla società e a se stessi. Un bravo artigiano di qualunque settore ha un reddito superiore ad un professore universitario. Chi ha diretto il paese ha illuso i padri di famiglia che anche dopo costi economici notevoli, adesso vedono i propri figli senza lavoro e senza una lira. Fiduciosi, attendiamo il risveglio.

  31. Andrea Bitonto

    L’abbassamento del livello culturale degli studenti è cresciuto proporzionalmente a partire dall’introduzione della scuola dell’autonomia: fino a quel momento, il sistema scolastico era un servizio pubblico riferito ad una utenza. Adesso, previa aziendalizzazione, è diventato un servizio pubblico, ma offerto a dei clienti. E il cliente ha sempre ragione. La madre di tutti i problemi è qui: la percezione della scuola come luogo tenuto a soddisfare richieste, piuttosto che a promuovere la crescita. “Ogni dolore deve essere allontanato da mio figlio”. Senza ulteriori motivazioni, la scuola diventa un luogo di noia e di assenza di apprendimento, anche violenta, ma soprattutto grottesca. Necessità estrema di educazione alla resilienza. Non tutti i docenti, d’altro canto, hanno le competenze, se non altro psicologiche e caratteriali, per svolgere con efficacia il proprio ruolo: andrebbe effettuata una più rigida e scientifica selezione del personale. Non credo ai missionari, ma ai professionisti: il problema è quanto possano costituire massa critica tali persone serie, in questa situazione critica. Lavorare seriamente credendo nel valore della cultura e nel rispetto delle regole, nella scuola del ‘laissez faire’, è come svuotare il mare con un cucchiaino.

  32. Giuseppe Stella

    Prima di poter bocciare ogni docente ha il dovere-obbligo di dimostrare nei fatti e con documenti cosa ha fatto per il recupero dei ragazzi giudicati insufficienti e quindi da bocciare. Prima si faceva ma ora e da molti anni non è più possibile far ripetere un anno a un ragazzo che non è stato seguito dovutamente dai docenti e in modo individualizzato. Lo dicono le norme. Personalmente sarei per l’abolizione dei voti anche perchè le valutazioni che fanno gli insegnanti, la maggior parte, sono poco e nulla attendibili. La scuola di massa ha portato a tutto questo e anche la scuola dell’obbligo. Il vero problema è anche la preparazione dei docenti di ogni grado.

  33. Giuseppe Stella

    Dobbiamo ricordare che il 30% di coloro che hanno studiato, anche con diplomi e lauree, non è in grado di capire il vero significato di un testo che legge. Ci sono tanti laureati in varie discipline che non conoscono neppure le tabelline, e questo perchè la scuola dal ’68 in poi è andata sempre peggiorando.

  34. Michele

    Salve, so di andare fuori tema ma ho una soluzione alternativa al problema. Siccome A (numero operai) e B numero impiegati sono divisibili, rispettivamente, per 4 e per 7 basta trovare tra tutti i numeri divisibili per 4 e per 7
    compresi tra 4 e 102, una coppia che sommata dia 102. Inoltre essendo che la somma da un numero pari, entrambi sono pari (questo restringe di molto la ricerca). Solamente le coppie 42 /60 e 98/4 soddisfano queste ipotesi. Sappiamo anche che “Se si tolgono i 3/4 di impiegati e i 2/7 di operai, il numero degli operai diventa doppio di quello degli impiegati.” quindi pare ovvio che solo la coppia 42/60 sia quella giusta.

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