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IL TRATTATO CHE VISSE TRE VOLTE

L’ultimo Consiglio europeo è stato un successo diplomatico perché gli Stati membri sono riusciti nella notevole impresa di far rivivere il Trattato di Lisbona, sepolto prima dai referendum francese e olandese e poi da quello irlandese. A ben vedere non è stato difficile: gli irlandesi avevano rifiutato ciò che il Trattato non chiedeva e ora gli Stati hanno concesso ciò che il Trattato già concede. Due gli insegnamenti: non ci sono altri spazi di manovra sugli assetti politico-istituzionali dell’Unione. E in questo campo i referendum non sono solo sbagliati, sono inutili.

Se lo si considera dallo stretto punto di vista diplomatico, il Consiglio europeo dell’11 e 12 dicembre rappresenta un notevole successo. Non solo perché gli Stati membri hanno raggiunto un compromesso per loro soddisfacente in materia di ambiente e misure statali dirette a contrastare la crisi finanziaria, ma soprattutto perché sono riusciti nella ragguardevole impresa di far rivivere il Trattato di Lisbona, che era già morto due volte.

LE PRIME DUE VITE

La prima vita, il trattato di Lisbona l’ha vissuta sotto il nome di Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Fu però una vita breve perché, firmato a Roma il 24 ottobre 2004, il trattato-costituzione morì a seguito degli esiti negativi dei referendum olandese e francese svoltisi nel maggio 2005.
Cambiati i governi in Francia e Olanda, gli Stati membri lo “resuscitarono” sotto diverse spoglie, firmando un nuovo accordo a Lisbona il 13 dicembre 2007. Il nuovo trattato, al netto delle modifiche simboliche, è talmente simile al trattato-costituzione da far affermare a Giuliano Amato, uno dei padri costituenti, che per contare le differenze tra l’uno e l’altro trattato bastano le dita di due mani. (1) E, vale la pena di aggiungere, non si trattava di differenze di rilievo. Sennonché, anche la seconda vita del trattato di Lisbona è stata assai breve: si è interrotta nel giugno di quest’anno a seguito di un altro “no” referendario, questa volta espresso dagli irlandesi.

LA TERZA VITA

Nel Consiglio di dicembre 2008, gli Stati hanno deciso che l’Irlanda si impegni a ratificare il Trattato di Lisbona entro l’estate del 2009, in modo che il trattato possa entrare in vigore per la fine dell’anno. Come si è giunti a ri-sottoporre agli irlandesi il Trattato di Lisbona senza alcuna modifica? A ben vedere non è stato difficile: gli irlandesi avevano rifiutato ciò che il Trattato di Lisbona non chiedeva loro e gli Stati hanno concesso ciò che il Trattato, in realtà, già concede.

COME MODIFICARE SENZA MODIFICARE

Ecco le cinque decisioni del Consiglio corredate da qualche riferimento al contenuto attuale del Trattato di Lisbona. (2)
Primo, si è deciso di assicurare che siano soddisfatte le esigenze dell’Irlanda riguardanti il mantenimento della sua tradizionale politica di neutralità. In realtà, Lisbona già stabilisce che le decisioni di politica estera e di difesa siano prese, di principio, all’unanimità e dunque l’Irlanda già poteva preservare la sua politica di neutralità. Anche in quei pochi casi in cui si decide a maggioranza, è comunque stabilito che uno Stato possa impedire la votazione, invocando “specificati e vitali motivi di politica nazionale”, secondo l’articolo 31 del Trattato dell’Unione Europea.
Secondo, con in mente soprattutto la questione relativa alla disciplina dell’aborto, si è deciso di assicurare che i termini del trattato non pregiudicano l’applicazione delle disposizioni della Costituzione irlandese in relazione al diritto alla vita, all’istruzione e alla famiglia. In realtà, il Trattato di Lisbona non dice nulla in materia di aborto e per quanto riguarda la famiglia e l’istruzione, la Carta dei diritti fondamentali a cui il Trattato di Lisbona attribuisce valore giuridico vincolante, già specifica che tali diritti sono garantiti e rispettati “secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio” (articoli. 9 e 11).
Terzo, si è deciso di assicurare che nel settore della fiscalità il Trattato di Lisbona non modifichi in alcun modo la portata o l’attuazione delle competenze dell’Unione. In realtà, il Trattato di Lisbona, così come gli attuali trattati, non riconosce all’Unione una competenza in materia fiscale (articoli 3,4 e 6 del Trattato dell’Unione Europea). Le uniche disposizioni che entrano in tale settore sono funzionali al mercato interno e non sono state modificate rispetto all’assetto attuale (articoli 110-113 Tfue). Rimane confermato inoltre che, in questo campo, le decisioni vanno prese all’unanimità.
Quarto, si è deciso di confermare che l’Unione annette grande importanza ai settori del progresso sociale, dei diritti dei lavoratori, dei servizi pubblici, dei servizi per l’istruzione e di tipo sanitario. Nonché di ribadire la discrezionalità delle autorità statali nel fornire servizi di interesse generale non economico. Qui la natura di mera ripetizione dell’esistente è trasparente, giacché il Consiglio afferma chiaramente di “confermare” ciò che già è.
Infine, il Consiglio ha stabilito di prendere una futura decisione affinché la Commissione continui a comprendere un cittadino per ciascuno Stato membro. Sul punto, il Trattato di Lisbona prevede che a decorrere dal novembre 2014 la Commissione avrebbe dovuto essere composta da un numero pari a due terzi degli Stati membri, “a meno che il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, non decida di modificare tale numero” (articolo 17). Dunque, il Consiglio ha semplicemente prefigurato di prendere una decisione conformemente a quanto lo stesso Trattato di Lisbona prevede. Si può discutere sulla saggezza di questa scelta che configura una Commissione pletorica e inefficiente, ma non che questa non rispetti Lisbona.
A mio avviso gli insegnamenti da trarre da questa vicenda sono due. Anzitutto che allo stato attuale gli assetti politico-istituzionali dell’Unione sono quelli consacrati nel Trattato di Lisbona e non vi sono altri spazi di manovra. In secondo luogo, con buona pace dei molti che credono nel mito della democrazia diretta, i referendum in questo settore non sono solo sbagliati, sono inutili. 

(1) Si veda la prefazione di G. Amato al libro di J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Il Mulino, Bologna, 2007.
(2) Vedi Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles del 11 e 12 dicembre 2008, 17271/08.

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CONTROMANO IN AUTOSTRADA

  1. PDC

    Le ragioni che hanno indotto gli elettori di Francia, Olanda ed Irlanda ad opporsi al trattato sono varie e a mio parere quasi tutte sbagliate. In particolare mi pare vi sia stata una diffusa identificazione del voto su Lisbona con un immaginario referendum pro o contro l’operato dei rispettivi governi nazionali. Alcuni poi hanno votato contro il trattato perché lo consideravano troppo moderato. Per altri invece si trattava di genuino antieuropeismo. Molti comunque mettevano in evidenza la scarsa credibilità della UE come istituzione democratica. La conclusione dell’articolo, ossia l’inutilità di questi referendum, è in sostanza condivisibile, ma assomiglia pericolosamente ad una famosa frase di Mussolini relativa alla governabilità degli italiani. Trovare il modo di esercitare la democrazia a livello europeo è sicuramente il problema cruciale che determinerà a lungo termine il successo o il fallimento dell’Unione. Probabilmente non sarà possibile arrivarci senza passare attraverso una drastica semplificazione delle strutture politiche a livello nazionale, e questo potrà avvenire (se mai avverrà) solo con un processo “upside-down” da cui l’istintiva diffidenza di molti.

  2. Giacomo Dorigo

    Il problema non è la democrazia diretta. Democrazia diretta nel caso dei vari trattati costitutivi l’Unione sarebbe elezione diretta di un’assemblea costituente pan europea con chiaro mandato costituzionale e conseguente referendum pan europeo di conferma. Nel caso di fallimento del referendum semplicemente la costituente si riunirebbe nuovamente emendando il testo fino a che i cittadini europei non lo ratifichino a maggioranza. Si noti inoltre che la maggioranza dovrebbe essere maggioranza assoluta dei cittadini europei aventi diritto di voto, e non la somma delle maggioranze relative dei singoli stati membri. Se tutti i cittadini europei infatti debbono essere uguali di fronte alla legge essi debbono avere tutti il medesimo peso, nei casi dei referendum praticati invece si è avuto invece un esempio di mancanza di democrazia diretta in cui delle maggioranze a livello nazionale ma minoranze a livello europeo hanno potuto imporre la loro volontà a tutti i cittadini, volontà che peraltro non conosceremo mai dato che un referendum pan europeo non è mai stato condotto né probabilmente mai lo sarà.

  3. alessandro

    "i referendum in questo settore non sono solo sbagliati, sono inutili": purtroppo è una triste verità. Se infatti la partecipazione democratica richiede come requisito base un’adeguata e corretta informazione sullo stato delle cose, a tutt’oggi l’Europa è più vittima degli slogan dei suoi detrattori (ringhiare contro qualcosa che si conosce poco e che difficilmente controbatterà punto su punto) che degli entusiasmi dei suoi sostenitori. Un’educazione civica europea si rende pertanto sempre più necessaria affinchè l’Europa diventi quell’unione di popoli progettata da Monnier.

  4. Paolo Sinigaglia

    Condivido pienamente le osservazioni, io andrei anzi oltre, dicendo che il trattato non è mai morto. Il consiglio di dicembre ha solo formalizzato questa volontà politica, che era già chiara in precedenza. Il punto oramai non è più questo, il punto è: come andare oltre Lisbona? E come evitare altri intoppi per le future ratifiche? È chiaro che i referendum nazionali sono dannosi nel processo di ratifica a 27, perché non ha senso che lo 0,9% della popolazione UE si possa arrogare il diritto di far fallire un disegno approvato da 490 milioni di europei e perché solitamente il voto assume accenti nazionali che nulla hanno a che fare con il testo in discussione o con il carattere sovranazionale del trattato. Esiste un "gruppo di riflessione indipendente" istituito dal Consiglio di dicembre 2007 per "aiutare l’Unione a rispondere ai problemi in modo più efficace a lungo termine". Sarà in grado di esercitare la necessaria fantasia per superare un quadro così statico e permettere di approfondire l’integrazione a 27? Oppure Lisbona rimarrà un “minimo comune denominatore” su cui si innesteranno numerose cooperazioni rafforzate che configureranno nei fatti un’Europa a più velocità?

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