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Quando il reddito è extra-parlamentare

La possibilità di mantenere un’attività lavorativa al di fuori del Parlamento ha due conseguenze. Da un lato, facilita l’ingresso alla Camera o al Senato di cittadini particolarmente affermati nel mercato privato che altrimenti non si sarebbero candidati. Un fatto auspicabile laddove la capacità dimostrata sul mercato sia in qualche maniera correlata con la capacità di risolvere i problemi del paese. Dall’altro, riduce il loro impegno nell’attività parlamentare, almeno in quella più strettamente legislativa.

In Italia, come in molti altri paesi, i parlamentari non hanno vincoli rispetto alla possibilità di guadagnare redditi da attività lavorative esterne. (1) Nella maggior parte dei casi si tratta della prosecuzione del lavoro che svolgevano prima di essere eletti, in altri sono lavori completamente nuovi, ad esempio le consulenze. (2)
Ma quali implicazioni ha sull’impegno in Parlamento la possibilità di lavorare contemporaneamente nel mercato privato? E quali sulla decisione di candidarsi?

Il trade off del parlamentare

In un recente lavoro (3) abbiamo cercato di rispondere alle due domande, confrontando le implicazioni teoriche con la banca dati sui parlamentari italiani.
L’idea di fondo è che se si può mantenere un lavoro al di fuori del Parlamento anche dopo essere stati eletti, si genera un trade-off. Da un lato, coloro che potenzialmente hanno maggiori possibilità di veder remunerate le proprie capacità nel settore privato, saranno più disponibili a candidarsi per un posto in Parlamento, se non devono più rinunciare alla propria attività redditizia. Dall’altro, però, questi stessi cittadini, di fronte alla scelta tra l’esercitare pieno impegno in Parlamento o dedicare una parte del loro tempo alla propria attività privata, opteranno più facilmente per la seconda.
Questa semplice intuizione sembra trovare riscontro nei dati relativi alle legislature XIII e XIV. (4)
Nella tabella riportiamo la media del reddito da lavoro extra-parlamentare (annuo), dell’assenteismo in votazioni elettroniche (nella legislatura) e del numero di disegni di legge di prima firma presentati (nella legislatura), divisi per precedente professione. (5)

 

Professione precedente

Reddito extra-parlamentare (€)

Assenteismo %

Ddl di prima firma

Avvocati

113,500

37

13.5

Professori

109,300

37

10.7

Imprenditori

106,600

34

8.5

Militari

82,800

39

15.5

Magistrati

60,600

36

13.9

Dirigenti privati

58,100

34

8.2

Dirigenti PA

49,500

35

11.3

Lavoratori autonomi

44,400

32

11.0

Dottori

41,500

32

12.5

Giornalisti

37,600

36

10.9

Sindacalisti

17,800

33

7

Insegnanti

17,200

27

12.9

Impiegati

14,900

27

11.3

Dirigenti di partito

12,500

27

7.3

Operai

2,100

23

10.2

Studenti

0

23

7.5

Si noti come le professioni con più alti redditi extra-parlamentari (e minori vincoli di incompatibilità, ad eccezione dei magistrati) sono quelle che presentano un maggiore assenteismo. L’evidenza è meno chiara per quanto riguarda le proposte di legge.
Nel caso in cui si tenga conto anche di altri fattori (come l’istruzione, l’età, l’esperienza politica e amministrativa, il partito di appartenenza, la regione di elezione, l’appartenenza alla coalizione di maggioranza), le nostre stime mostrano che 100mila euro di reddito extra-parlamentare corrispondono a circa 4.5 punti percentuali in più di assenze in votazioni elettroniche in (+14 per cento rispetto a un assenteismo medio pari a 33 per legislatura) e a circa 0.64 proposte di legge in meno (-8 per cento rispetto a una media di 8 per legislatura). Un dato non del tutto irrilevante se si tiene conto del fatto che il reddito extra-parlamentare medio ammonta a circa 61mila euro (33 per cento del reddito totale), che il 16 per cento dei parlamentari guadagna fuori dal Parlamento più di 100mila euro, il 6 per cento più di 200mila, e l’1 per cento più di un milione di euro.

I vantaggi della candidatura

Più difficile verificare empiricamente se la possibilità di guadagnare soldi al di fuori del Parlamento abbia una influenza sulla decisione di candidarsi. Ma partiamo da una semplice considerazione. Se i redditi extra-parlamentari non fossero permessi, coloro che avessero la possibilità di guadagnare nel settore privato più di 124mila euro (il salario parlamentare lordo al netto di rimborsi spese, assistenza sanitaria e benefit pensionistici) non avrebbero alcun incentivo economico a candidarsi, a meno che non si assuma che questi ultimi abbiano delle motivazioni ideologiche più elevate degli altri cittadini (assunzione difficilmente verificabile) o un vantaggio relativo in termini di redditi extra-parlamentari.
Il grafico sembra avvalorare la seconda ipotesi. Vi sono riportati alcuni indicatori: il reddito totale post-elezione, lo stipendio parlamentare e il reddito da lavoro extra-Parlamento, tutti rapportati al reddito da lavoro pre-elezione e ordinati per il livello di reddito da lavoro pre-elezione (in decili):


Osservando la linea nera si può vedere come in media tutti i parlamentari abbiano un ritorno pecuniario dall’essere eletti (la linea è sempre sopra a 1). La cosa più importante, tuttavia, è la composizione di questo guadagno. Mentre per l’80 per cento lo stipendio parlamentare è superiore al reddito pre-elezione (quelli per cui la linea rossa è sopra a 1), il 20 per cento sosterrebbe invece una perdita rilevante qualora dovesse rinunciare alla propria attività privata. Perché allora sono entrati? Perché hanno un vantaggio relativo in termini di redditi extra-parlamentari (la linea blu è sempre sotto a 1 ma crescente): la loro attività sul mercato infatti si riduce in misura relativamente (e sostanzialmente) minore che non per gli altri parlamentari. La possibilità di continuare a lavorare nel settore privato sembra dunque un forte incentivo a entrare in Parlamento, soprattutto per coloro le cui capacità erano altamente remunerate sul mercato.
Alla luce di questo ragionamento non sorprende osservare come molti parlamentari guadagnassero prima di essere eletti più del resto della popolazione italiana di riferimento. Il grafico sotto riporta infatti la distribuzione di densità dei redditi (solo per dirigenti, imprenditori e lavoratori autonomi (6) di sesso maschile, tra i 40 e i 60 anni, laureati) rispettivamente dei parlamentari italiani prima di essere eletti (linea rossa) e del resto della popolazione italiana (linea blu, indagine Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane). Anche maggiorando del 30 per cento i dati Banca d’Italia per tener conto di eventuali under-reporting, si vede come la linea rossa sia spostata a destra (verso redditi più elevati) rispetto a quella blu.


Riassumendo, la possibilità di mantenere un’attività lavorativa al di fuori del parlamento ha due conseguenze. Da un lato, facilita l’ingresso di cittadini particolarmente affermati nel mercato privato che altrimenti non si sarebbero candidati (fatto auspicabile laddove la capacità sul mercato sia in qualche maniera correlata con la capacità di risolvere i problemi del paese, meno laddove la stessa correlazione sia negativa o l’attività esterna si accompagni anche ad eventuali conflitti di interesse). Dall’altro, riduce il loro impegno nell’attività parlamentare, almeno in quella più strettamente legislativa.
È probabile dunque che nel Parlamento italiano coesistano politici con maggiore dedizione, ma minore esperienza professionale al di fuori della politica, e viceversa. Quale delle due categorie è preferibile? Sarebbe forse utile avere entrambi i profili, soprattutto laddove l’impegno e le abilità avessero forti elementi di complementarietà.

 

(1) Fanno eccezione negli Stati Uniti, dove i redditi esterni da lavoro non possono eccedere il 15per cento dello stipendio di un Executive Public Officer (circa 24.780 dollari nel 2006). In quasi tutti gli altri paesi le dichiarazioni dei redditi dei parlamentari devono essere rese pubbliche (in Italia dal 1982), e un comitato interno al Parlamento sorveglia sulle attività lavorative esterne, senza che però siano fissate soglie o restrizioni.
(2) A meno di incompatibilità formali, come per i dipendenti pubblici, o incompatibilità pratiche, come per i lavoratori dipendenti nel settore privato.
(3)
Outside Income and Moral Hazard: the Elusive Quest for Good Politicians, Boston University IED WP n.164; UC3M Economics WP n.32.
(4) Le uniche per le quali i dati sull’assenteismo sono disponibili, ed entrambe elette con sistema elettorale misto.
(5) Redditi extra-parlamentari lordi da attività lavorativa sia dipendente che autonoma (inclusi i dividendi da partecipazioni qualificate) a prezzi 2004. Assenze per missioni escluse.
(6) Queste sono infatti le professioni per le quali è più facile aspettarsi una correlazione positiva tra redditi ed effettive capacità personali.

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  1. riccardo boero

    Egregi professori

    mi parrebbe pacifico che debba applicarsi la regola statunitense: non si puo’ fare contemporaneamente l’arbitro e il giocatore.
    La retribuzione degli uomini politici dovrebbe essere il minimo compatibile con l’indipendenza eocnomica (giustissima quella USA), viste poi le innumerevoli facilitazioni di cui dipsongono.
    E nessuna seria attività lavorativa dovrebbe essere permessa.
    Mi sembra che tale differenza con gli USA sia una dei tanti (un’altra è la legge Sarbanes-Oxley) della loro superiorita` morale.
    (Poi possiamo sempre consolarci con la loro pena di morte, pena che noi applichiamo a caso agli abitanti di Napoli e altre metropoli dei Sud, ma questo è un altro discorso).

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