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Pubblico e privato nelle retribuzioni

Una lettura integrata dei dati dei conti nazionali, per settore economico e per settore istituzionale, consente di confrontare le retribuzioni di fatto del settore pubblico con quelle di industria e servizi privati. Dal 1992 questi ultimi hanno avuto incrementi complessivi nominali pari, rispettivamente, al 52,4 e al 50,2 per cento. Nel settore pubblico, la crescita è inferiore fino al 2001, ma nel 2005 è del 60,3 per cento. Se si guarda ai differenziali retributivi, al netto dell’occupazione operaia lo svantaggio del settore pubblico resta ancora consistente.

Il lungo periodo

Una lettura integrata dei dati dei conti nazionali, per settore economico e per settore istituzionale, consente di confrontare le retribuzioni di fatto del settore pubblico con quelle dei macrosettori di attività economica (industria, servizi privati). Esaminiamo le retribuzioni lorde per unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (ula) nei settori dell’industria, dei servizi privati (ad esclusione dei servizi sociali e personali) (1) e delle amministrazioni pubbliche (in qualunque settore di attività operino) (2), a partire dagli accordi tripartiti di luglio 1992 e 1993.
In questo arco temporale dinamiche sostanzialmente analoghe caratterizzano l’industria e i servizi privati, con incrementi complessivi nominali pari, rispettivamente, al 52,4 e al 50,2 per cento (Figura 1). Nel settore pubblico, invece, fino al 2000 la crescita rispetto all’anno base si mantiene inferiore a quella dei due comparti del privato; ma dal 2001 risulta significativamente superiore e, nel 2005, l’incremento nominale rispetto al 1992 è del 60,3 per cento.

Figura 1. Retribuzioni lorde nominali per ula dipendente nelle pubbliche amministrazioni, nell’industria e nei servizi privati – Anni 1992-2005 (numeri indice 1992=100; per i servizi, settori da G a K della classificazione Ateco-02)

Fonte: Istat, Conti nazionali per settore di attività economica e conti istituzionali

Il profilo evolutivo può essere analizzato nel dettaglio esaminando i tassi di variazione. Possiamo distinguere nettamente tre fasi di crescita delle retribuzioni pubbliche (Figura 2). La prima, corrispondente al 1992-96 (varo del nuovo sistema e blocco temporaneo della contrattazione pubblica), caratterizzata da una crescita annua per i dipendenti pubblici (3,2 per cento) sensibilmente inferiore a quella dell’industria e dei servizi market oriented (4,4 per cento in entrambi i casi). La seconda (1997-2001) in cui, mentre nei settori privati la dinamica rallenta (il tasso di crescita medio annuo è del 2,9 per cento nell’industria e del 3,0 per cento nei servizi), nel settore pubblico – pur con le discontinuità legate ai ritardi nei rinnovi – accelera e si porta, in media, al 3,7 per cento annuo. La terza (2002-2005), in cui prosegue il rallentamento nell’industria (2,7 per cento) e nei servizi privati (2,2 per cento), mentre le retribuzioni continuano ad accelerare nel pubblico impiego (4,1 per cento l’anno).

Figura 2. Retribuzioni lorde nominali per ula dipendente nelle pubbliche amministrazioni, nell’industria e nei servizi privati – Anni 1993-2005 (tassi annui di variazione % e, per le pubbliche amministrazioni, tassi medi annui di periodo; per i servizi, settori da G a K della classificazione Ateco-02)

Fonte: Istat, Conti nazionali per settore di attività economica e conti istituzionali

I differenziali

Gli andamenti retributivi nel corso del tempo, tuttavia, non bastano ad assicurare un confronto sufficientemente approfondito: è necessario considerare i differenziali retributivi e gli effetti che su di essi hanno le dinamiche osservate. Secondo i conti nazionali, le retribuzioni dei dipendenti pubblici, che nel 1992 sono pari al 120 per cento di quelle medie dell’intera economia e nel 1995 sono scese al 114 per cento, nel 2005 risultano pari al 126 per cento, con un aumento di 12 punti rispetto a dieci anni prima.
Queste cifre, però, non devono condurre a conclusioni affrettate. Per una corretta analisi comparativa, infatti, è necessario eliminare i motivi di eterogeneità tra i valori confrontati.
Le stime di contabilità nazionale, che hanno ad obiettivo l’esaustività, tengono conto non solo dell’occupazione regolare, ma anche di quella non regolare. Nel 1992 il 15,9 per cento del totale delle ula dipendenti non risultava conosciuto alle diverse istituzioni fiscali-contributive e statistiche, in quanto volontariamente nascosto; nel 2004 il tasso di irregolarità era ancora stimato al 15,7 per cento delle ula dipendenti. (3)
Un secondo motivo di eterogeneità è dovuto alla presenza, nel settore privato, di un numero consistente di dipendenti con qualifica operaia, assenti nel settore pubblico. Nell’insieme del settore privato extragricolo, nel 2004 il 40,3 per cento dei dipendenti era occupato con una qualifica di operaio o apprendista. (4)
Infine, data la tendenza delle retribuzioni a crescere con la dimensione dell’impresa, la preponderanza nella pubblica amministrazione di strutture organizzative di dimensioni elevate in termini di numero di dipendenti (5), suggerisce, ai fini di una più omogenea valutazione comparativa, un confronto con le sole imprese di grandi dimensioni. È possibile utilizzare i dati della rilevazione mensile sulle grandi imprese. (6)
La Figura 3 propone, con riferimento agli anni 2000 e 2005, un confronto tra le retribuzioni lorde per ula dei dipendenti pubblici e del totale dipendenti (regolari) o dei soli impiegati e quadri delle grandi imprese. (7) Nel 2000, la retribuzione lorda dei dipendenti pubblici risulta inferiore di circa 6 punti percentuali rispetto alle grandi imprese industriali (dove si riscontra, però, un’elevata incidenza di qualifiche operaie), e di 14 punti rispetto a quelle dei servizi privati. Escludendo dal confronto operai e apprendisti, lo svantaggio cresce fino a 32 punti nei confronti dell’industria e a 20 punti nei confronti dei servizi privati. Nel 2005, grazie alla forte crescita retributiva del pubblico impiego, i differenziali si riducono sostanzialmente: quello con il totale industria si annulla e quello con il totale servizi cade a 7 punti. Ma, al netto dell’occupazione operaia, lo svantaggio del settore pubblico resta ancora consistente: 30 punti sotto gli impiegati delle grandi imprese industriali, 17 punti sotto quelli delle grandi imprese dei servizi.

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Figura 3. Retribuzioni di fatto per ula nella pubblica amministrazione e nelle grandi imprese dell’industria e dei servizi privati – Anni 2000 e 2005 (numeri indice in base totale industria 2000=100)

Fonti: Istat, Rilevazione mensile su lavoro e retribuzioni nelle grandi imprese; Conti istituzionali; elaborazioni dell’autore.

Operai, impiegati e dirigenti

Il risultato è dovuto al consistente ampliamento dei differenziali retributivi tra operai e impiegati nelle grandi imprese che, per quelle dei servizi, risulta più che doppio rispetto al recupero dei differenziali degli impiegati (e dirigenti) del settore pubblico (Tavola 1). Dato che una quota non indifferente del recupero delle retribuzioni pubbliche è stato trainato dai rilevanti aumenti dei dirigenti, come testimonia il Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, se ne deduce che gli impiegati pubblici non hanno intrapreso il cammino di accelerazione retributiva da soli: i consistenti differenziali negativi dei dipendenti pubblici si sono ridotti, ma in misura limitata, conservando nella sostanza le fair relativities che legano i dipendenti pubblici al wage contour degli impiegati delle grandi imprese del settore privato. Probabilmente, ciò che resta da spiegare non è l’accelerazione delle retribuzioni pubbliche, ma quella delle retribuzioni di dirigenti e impiegati rispetto alle retribuzioni operaie, che ha coinvolto anche gli impiegati pubblici.

 

Tavola 1. Differenziali retributivi impiegati-operai nelle grandi imprese dell’industria e dei servizi privati e tra impiegati delle grandi imprese e impiegati (e dirigenti) della pubblica amministrazione – Anni 2000 e 2005 (retribuzioni lorde per ula; incidenze % e differenze in punti %)

Fonti: Istat, Rilevazione mensile su lavoro e retribuzioni nelle grandi imprese; Conti istituzionali; elaborazioni dell’autore.

* Dirigente di ricerca dell’Istat. L’articolo e le opinioni in esso contenute sono presentate dall’autore a titolo personale e non sono pertanto necessariamente attribuibili all’ente dove lavora.
(1) Sezioni da G a K della classificazione Ateco-2002 delle attività economiche. Le retribuzioni di fatto sono relative a tutte le voci retributive e a tutte le qualifiche (apprendisti, operai, impiegati e dirigenti) delle unità di lavoro dipendenti; e, nei settori orientati al mercato, includono anche i dipendenti irregolari. In particolare, a questi ultimi, per convenzione statistica, viene assegnata una retribuzione uguale a quella della classe dimensionale minore (1-9 dipendenti).
(2) Stimata nell’ambito dei conti del settore istituzionale pubbliche amministrazioni.
(3) Istat, La misura dell’occupazione non regolare nelle stime di contabilità nazionale. Anni 1980-2004, “Statistiche in breve”, 16 dicembre 2005 (http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/ 20051216_01/).
(4) Istat, Forze di lavoro. Media 2004, “Annuari”, 2006.
(5) Secondo i dati del censimento 2001 dell’industria e dei servizi il numero medio di dipendenti nelle istituzioni pubbliche è pari a circa 200 unità.
(6) L’Indagine sulle grandi imprese (con 500 o più addetti), rileva mensilmente la retribuzione lorda totale (comprensiva cioè del lavoro straordinario, dei premi, mensilità aggiuntive, ecc.) nelle grandi imprese del settore privato non agricolo, e consente di operare confronti al netto degli operai.
(7) In realtà anche questo confronto risente di alcuni limiti metodologici, legati alla non piena coincidenza del campo di osservazione. Infatti, se le retribuzioni lorde stimate dai conti nazionali includono la totalità dei dipendenti (inclusi i dirigenti), quelli rilevati dall’indagine sulle grandi imprese escludono i dirigenti. Va poi sottolineato che si tratta di un confronto tra equivalenti a tempo pieno, che quindi non tiene conto delle differenze negli orari di lavoro vigenti nei diversi settori.

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Sommario 12 dicembre 2006

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  1. ettore antoniello, taranto

    Sarà pure vero che negli ultimi anni le retribuzioni del pubblico sono aumentate più rispetto a quelle nel settore privato, ma bisogna anche considerare che il pubblico partiva da retribuzioni più basse. Non ho dati statistici al riguardo, ma so quanto guadagno io, e quanto guadagnano tante persone che conosco che lavorano nel pubblico e sono retribuzioni da fame. Un dipendente di un Comune, VII qualifica funzionale, laureato, guadagna circa 1150 euro al mese; parimenti, un dipendente di una ASl, VII livello, laureato, guadagna circa 1200 euro al mese. Inoltre, un’altra osservazione che spesso sfugge quando si parla di Pubblico Impiego e di assunzioni. Bisogna sapere (basta consultare le leggi Finanziarie degli ultimi 5 anni, io l’ho fatto) che l’80 per cento delle assunzioni che avvengono nella P.A, ormai sono costituite unicamente da poliziotti e insegnanti. Per le altre categorie di pubblici impiegati, le assunzioni vengono fatte con il contagocce. Infatti, nella Finanziaria in corso di approvazione, sono state previste circa 150.000 assunzioni nella scuola, 3000 assunzioni nelle forze dell’ordine (in Italia abbiamo il rapporto per abitanti più alto in Europa di poliziotti e di insegnanti), 166 guardie forestali, mentre per tutte le altre categorie di Pubblici dipendenti sono state previste in tutto meno di 300 assunzioni (200 ispettori del lavoro, e altre categorie) e, sempre nell’ultima Finanziaria, sono state negate le assunzioni di 450 tra Ufficiali e Cancellieri Giudiziari (laureati) in un settore, quello giudiziario, dove ci sono carenze organiche medie del 30%! Quindi, se si dice che si fanno troppe assunzioni nel Pubblico Impiego, in base alla proprietà transitiva, bisogna anche dire che occorre bloccare innanzitutto le assunzioni di Insegnanti e di Poliziotti.

  2. Daniela

    a me non sembra per nulla che le retribuzioni nel pubblico siano da fame. Dopo anni di esperienza un impiegato medio del settore del commercio (uno dei contratti più usati) guadagna si e no 1.200 € al mese. nel pubblico oltre alla retribuzione c’è sempre il buono pasto spendibile al supermercato (non sono soldi quelli?), un’orario di lavoro a 36 ore con entrata e uscita flessibile e una sicurezza del posto di lavoro che comincerei a monetizzare visti i tempi. per cui secondo me gli impiegati pubblici guadagnano più di quelli privati

  3. giovanni La Torre

    Dopo la polemica Confindustria-Padoa Schioppa vorrei provare a lanciare un dibattito con questa domanda: “è possibile una politica di rientro dal debito pubblico senza effetti potenzialmente recessivi nel breve termine?”
    Leggerò molto volentieri qualche risposta.

  4. Andrea Zaff

    Bella domana. Credo che si possa fare, ma secondo me occorrono 3 cose. 1)aspettative, dunque un governo credibile che faccia credere ai cittadini che l’inasprimento fiscale sarà temporaneo e non permanente, il tempo necessario a ricostruire l’avanzo primario 2)giustizia sociale. Vale a dire sacrifici ripartiti equamente fra tutti i cittadini, e in questo senso occorre primariamente la lotta all’evasione 3)contestuali politiche di lungo periodo, vale a dire investimenti in innovazione, ricerca, politiche del lavoro che favoriscano l’occupazione.
    Mi piacerebbe continuare la discussione…

  5. Riccardo Rigon

    Mi chiedo quale sia il differenziale di retribuzione a parità di livello o di ruolo, nella pubblica amministrazione e nel privato, nel 2020. Esistono degli studi comprensibili per un non tecnico, capace di fare le quattro operazioni ? Mi ha incuriosito infatti un recente articolo riportato da La Repubblica, in cui si sostiene che i dipendenti pubblici sono meglio pagati dei dipendenti nel privato. Nelle statistiche però, non c’è nessuna disaggregazione che riguarda ruoli etc e mi pare in questa superficialità, si possa o nascondere situazioni molto diverse.

    Grazie,

    riccardo rigon

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