La Legge obiettivo è uno “sportello” per il finanziamento di iniziative già decise da accordi politici tra l’amministrazione centrale e quelle locali. Vincolato unicamente agli stanziamenti disponibili sul bilancio dello Stato. Non si procede così a nessuna valutazione economica degli effetti degli investimenti pubblici. I meccanismi accelerativi della legge consentono anzi l’ammissione al finanziamento di opere non ben delineate e prive di progettazione. E le incertezze sui costi definitivi e sui ricavi futuri allontanano i capitali privati.

A distanza di oltre tre anni dall’approvazione delle legge 443/2001, nota come Legge obiettivo, che ha dato avvio al programma delle infrastrutture strategiche, è possibile tracciare un primo bilancio.

Che cosa è e che cosa non è la Legge obiettivo

La Legge obiettivo non è una procedura concorsuale o selettiva tra progetti, ma uno “sportello” per il finanziamento di iniziative già stabilite tramite accordi politici tra l’amministrazione centrale e le amministrazioni locali. Dunque, nessuna valutazione economica degli effetti degli investimenti pubblici e finanziamenti vincolati unicamente agli stanziamenti disponibili sul bilancio dello Stato. (1)
Il Cipe assegna così i singoli finanziamenti con un occhio attento alla platea complessiva degli interventi ammissibili (spesso artificiosamente frazionati in lotti e stralci per avere più probabilità di accesso ai finanziamenti). E ripartisce le somme non solo in funzione dei costi da sostenere e della disponibilità di altre fonti di finanziamento, ma facendo in modo che possano avviarsi contemporaneamente il maggior numero di progetti (alcuni, malevoli, lo chiamano “finanziamento a pioggia”). Per altri progetti il Cipe effettua solo un vaglio preliminare, con una promessa futura di finanziamento (oppure del finanziamento di spese per la progettazione). Infine, un ristretto numero di progetti è sottoposto al Cipe solo per fruire dei benefici di natura procedurale che la legge consente.
Il totale delle somme assegnate dal Cipe rappresenta una parte di un più ampio insieme di finanziamenti necessari per completare i lavori che vengono prenotati senza alcuna certezza sui tempi di assegnazione. Naturalmente, questo aspetto non si verificherebbe se vi fosse un’attenta programmazione finanziaria e se il completamento degli interventi iniziati non fosse in gran parte previsto a carico della finanza pubblica.
Infine, va osservato che l’incertezza sulla disponibilità dei finanziamenti si accompagna all’approvazione di iniziative con progettazione incompleta o con costi sottostimati, innescando così un pericoloso fenomeno di cost overrun di proporzioni imprevedibili, ma di cui si sono già intravisti i contorni. (2)

Quanti investimenti in più?

Studi recenti di Ance-Agi (www.igitalia.it) e della Corte dei conti (www.cortedeiconti.it) hanno messo in discussione gli effetti positivi del provvedimento, mentre il ministero delle Infrastrutture ha strenuamente difeso la sua creatura.
La querelle finanziaria non è tanto dovuta a fonti e calcoli diversi, quanto a questioni di carattere definitorio: cosa considerare come “stanziato”, “finanziato”, “cantierato”, “attivato”. Se ci si attiene alla terminologia e alle convenzioni utilizzate in contabilità pubblica, si possono comunque stabilire alcuni punti fermi.
Per gli anni 2002-2006 sono state stanziati limiti di impegno equivalenti a un volume di investimenti attivabili dell’ordine di 10,5 miliardi di euro. Di tali risorse (integralmente impegnabili), risultano assegnate per gli scopi propri della Legge obiettivo circa 9 miliardi, ma le somme impegnate e pagate rappresentavano solo una quota trascurabile del totale (rispettivamente 2,7 e 0,4 miliardi, secondo valutazioni ancora provvisorie e riferite alla fine del 2004).  Questi dunque i dati nudi e crudi dal punto di vista del bilancio dello Stato: negli anni 2002-2004 i maggiori impegni rispetto a una situazione senza Legge obiettivo sarebbero stati mediamente pari a 0,9 miliardi l’anno e quindi ben poca cosa.
Il ministero delle Infrastrutture ha sostenuto che questi dati andavano integrati con quelli relativi all’”attivazione” di altre fonti di finanziamento. Il ragionamento può risultare non del tutto corretto perché non è possibile stabilire se quelle risorse sarebbero o meno state utilizzate anche in assenza delle procedure proprie della Legge obiettivo. Anche accettando questo concetto di “attivazione”, l’ammontare totale dei finanziamenti sale a 24 miliardi. (3)
Ma il valore delle opere per le quali risultava avvenuta la consegna dei lavori e il relativo impianto di cantiere ammonta, a fine 2004 a un ordine di grandezza di appena 4,5-5 miliardi, secondo le stime della Corte dei conti. (4)
Con l’uso di un concetto di “attivazione” complementare a quello di stanziamento aumenta significatamene il totale delle risorse disponibili, ma resta invariata o addirittura si riduce la proporzione tra somme impegnate e risorse stanziate. L’effettiva realizzazione della spesa resta infatti scandita dagli impegni assunti nei bilanci pubblici e dai pagamenti effettuati alle imprese.

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Se non si affrontano i problemi

Il principale difetto delle legislazioni speciali è di agire sugli effetti e di occultare le cause che ostacolano determinati processi. La Legge obiettivo non affronta e non risolve le problematiche chiave che riguardano le modalità di selezione degli interventi (programmazione) e la progettazione degli stessi.  Eppure, alla fine degli anni Novanta era iniziato un lento e faticoso cammino (anche normativo) che aveva reso possibile, e in certi casi obbligatoria, la redazione degli studi di fattibilità e aveva al tempo stesso favorito il finanziamento della progettazione indipendentemente dal finanziamento dell’intervento (in modo da rendere il più possibile definitivo e assestato il piano economico finanziario del progetto). I meccanismi “accelerativi” della Legge obiettivo rendono possibile l’ammissione al finanziamento, o la sua prenotazione, di iniziative non ben delineate negli effetti e prive di progettazione. Ed è inutile scaricare le colpe della lentezza e dei ritardi sulla scarsità di risorse disponibili. L’assenza di un avanzato livello di progettazione è dovuta al fatto che le amministrazioni continuano a non assumersi il rischio di finanziare la progettazione se non hanno anche la garanzia del finanziamento dell’opera, anche per perversi meccanismi della nostra contabilità pubblica. Ciò ovviamente complica le cose anche dal punto di vista della Legge obiettivo.
Resta in ultimo la domanda del perché non si è riusciti a mobilitare capitali privati nel finanziamento delle grandi infrastrutture, e che doveva essere uno degli effetti più significativi della Legge obiettivo. Le ragioni sono molte e non c’è qui lo spazio per riassumerle tutte. La principale probabilmente consiste nel fatto che la maggior parte dei progetti proposti, presenta incertezze e rischi sia sul costo definitivo sia sui ricavi futuri. Tale incertezza è accresciuta dall’assenza di valutazioni economiche attendibili, cioè proprio da uno dei più significativi “marchi di fabbrica” della Legge obiettivo. Tali rischi rendono aleatoria la redditività per gli investitori privati, per loro natura e tradizione già poco propensi a investire in progetti di infrastruttura dalla redditività molto differita nel tempo. La vicenda di questi giorni con il progressivo ritiro di tutti i partecipanti stranieri alla gara per i general contractor del Ponte sullo stretto sembra un altro pessimo segnale.

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(1)
Per le infrastrutture a tariffa è stato fatto un timido tentativo di mettere a punto un piano economico-finanziario, che però non ha avuto alcun esito concreto. Si può sostenere che sono proprio alcune finalità della legge (velocizzazione delle procedure, creazione di una corsia preferenziale per l’approvazione dei progetti) tra le cause dell’espunzione della valutazione dai processi decisionali.
(2) Il costo complessivo del programma decennale è stato valutato inizialmente in 126 miliardi, ma recentemente ricalcolato dallo stesso ministero delle Infrastrutture in 196. Una stima del Cresme risalente al 2004 si attestava su valori più elevati (232 miliardi).
(3) Tutti i dati esposti relativi alle assegnazioni da parte del Cipe e agli altri finanziamenti disponibili sono stati calcolati da chi scrive e sono rilevabili dalle delibere Cipe. Il totale di 24 miliardi è ben distante dalla valutazione di progetti “attivati” dal Cipe data dal ministero delle Infrastrutture, pari a 52 miliardi (riferita ai costi complessivi da sostenere e non ai finanziamenti effettivamente disponibili).
(4) Tali opere sono definite “cantierate”, concetto in qualche modo simile all’impegno formale assunto nel bilancio dello Stato ma riferito a tutte le fonti di finanziamento disponibili.

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