Lavoce.info

Strategie europee delle multinazionali di Cina e India

Nella nuova geografia dell’economia globale cambiano anche le grandi direttrici degli investimenti all’estero, storicamente dominate dai paesi avanzati. Oggi, quelli dei paesi emergenti sono il 39 per cento del totale. Dati per analizzare le strategie delle multinazionali cinesi e indiane.

LA NUOVA GEOGRAFIA DEGLI INVESTIMENTI

Mentre il baricentro dell’economia mondiale si sta progressivamente spostando a Oriente – soprattutto verso la Cina, prossima a diventare la più grande economia del pianeta – le imprese asiatiche si muovono sempre più verso Occidente. Ed è sempre la Cina a primeggiare in classifica: è il primo paese emergente tra gli investitori all’estero, al terzo posto nel mondo dopo Stati Uniti e Giappone. (1)
Nel 2013 gli investimenti diretti all’estero (Ide) dai paesi dell’Asia emergente verso il resto del mondo sono aumentati del 7 per cento, per un totale di 327 miliardi di dollari. Cina e India rappresentano insieme circa il 7 per cento dei flussi d’investimento a livello mondiale. Nella nuova geografia dell’economia globale sono chiaramente mutate le grandi direttrici degli Ide, storicamente dominati dagli investimenti dei paesi avanzati, oggi scesi al 61 per cento del totale rispetto all’88 per cento del 1999, mentre gli investimenti provenienti dai paesi emergenti hanno ormai raggiunto il 39 per cento del totale.
Le analisi sull’attività internazionale delle imprese dei paesi emergenti, così come di qualunque altra nazione al mondo, si basano tradizionalmente sui dati aggregati derivati dalle bilance dei pagamenti nazionali. Tuttavia, l’utilizzo di questi dati può essere fuorviante in quanto gli Ide sono calcolati come differenza algebrica dei flussi finanziari che intercorrono tra casa madre e affiliate estere, con il risultato che un dato negativo non significa necessariamente una riduzione dell’attività multinazionale delle imprese.(2)

DATI PER CINA E INDIA

Esistono diverse fonti di dati alternative sull’attività multinazionale delle imprese, come fDImarkets del Financial Times Group che registra gli investimenti greenfield (nuovi stabilimenti), Zephyr di Bureau van Dijk (BvD) e Sdc Platinum di Thomson Reuters che forniscono informazioni su attività di fusioni e acquisizioni. Un nuovo database sugli investimenti dai paesi emergenti in Europa – Emerging Multinationals’ Events and Networks Database – consolida le informazioni provenienti da questi tre diverse fonti, associando ad ogni investimento i dati di bilancio dell’impresa investitrice e del gruppo al quale essa appartiene. (3)
I dati a livello d’impresa disponibili in Emendata permettono di evidenziare alcuni fatti interessanti, in particolare sugli investimenti cinesi e indiani.
La principale modalità di investimento in Europa continua a essere l’attività di greenfield per la Cina, mentre nel caso dell’India greenfield e acquisizioni sono cresciuti in modo abbastanza simile fino al 2008, quando le acquisizioni sono diminuite molto più drasticamente dei greenfield che si sono mantenuti più elevati sino al 2011 (figura 1).
Se analizziamo la destinazione degli investimenti cinesi e indiani, quelli diretti verso l’Unione Europea rappresentano rispettivamente il 33 e il 31 per cento del totale a livello mondiale. Quanto ai paesi di destinazione, Cina e India si comportano in modo molto diverso. La principale destinazione degli investimenti cinesi è la Germania, mentre quelli indiani si dirigono soprattutto verso l’Inghilterra (tabella 1).
Anche a livello settoriale, le multinazionali cinesi e indiane hanno preferenze diverse, che riflettono i principali settori di specializzazione dei due paesi (tabella 2). Le imprese cinesi investono soprattutto nel settore elettronico, in quello dei macchinari, nelle comunicazioni e nell’automotive. Mentre per gli indiani, i principali settori d’investimento sono il software, i servizi alle imprese e il farmaceutico, unico settore nel quale le acquisizioni superano i greenfield.
Emendata offre anche un vantaggio analitico: il database permette un’analisi dinamica multi-livello (per tipo d’investimento, per impresa investitrice, per gruppo, per settore e per paese) delle strategie di espansione delle multinazionali emergenti, da cui si evince che la maggior parte degli investimenti (il 79 per cento di quelli cinesi e il 65 per cento degli indiani) sono isolati e solo un numero ridotto di grandi gruppi realizza più investimenti (il 13 per cento delle imprese cinesi che investono in Europa, tra cui per esempio Saic, e il 18 per cento di quelle indiane, tra cui Mahindra e Tata). Infine, ancora meno sono i gruppi con strategie miste, ovvero che operano sia attraverso i greenfield che le acquisizioni: il 6 per cento delle cinesi e il 17 per cento delle indiane (tabella 3).
Alcune considerazioni interessanti emergono proprio analizzando i principali gruppi investitori riportati nella tabella 4. Innanzitutto, tra i gruppi con almeno dieci Ide in Europa, quelli indiani sono molto più numerosi e attivi in quanto a numero di investimenti. Inoltre, in termini di strategie di espansione, nei settori manifatturieri più capital e knowledge intensive, come l’automotive, il chimico-farmaceutico e l’energia, i gruppi di entrambi i paesi perseguono strategie miste, a testimonianza di una molteplicità di obiettivi: dalla ricerca di nuovi mercati di sbocco alle acquisizioni strategiche mirate all’upgrading tecnologico. Al contrario, nei settori dei servizi (finanziari e software) e nell’elettronica, la strategia di espansione è totalmente dominata dagli investimenti di tipo greenfield. Dunque, logiche nazionali, settoriali e societarie s’intrecciano nella definizione delle strategie dei gruppi, ed è proprio lo studio di tali intrecci la frontiera della ricerca empirica più interessante sulle multinazionali dei paesi emergenti.

Leggi anche:  Tra percezione e realtà: il ruolo dell'economia nelle presidenziali Usa

Figura 1 Ide cinesi e indiani nell’Unione Europea, per tipologia (#) 2003-2011Amighini tab 1Fonte: Emendata

Tabella 1 –Distribuzione degli Ide cinesi e indiani nell’UE per paese di destinazione e tipologia (#) – 2003-2011amighini tab 2bIn parentesi la percentuale sul totale. I totali includono anche gli investimenti di minoranza.
Fonte: Emendata

Tabella 2 – Ide cinesi e indiani nell’Unione Europea per settore e tipologia (#) 2003-2011amighini tab 3d
In parentesi la percentuale sul totale.
Fonte: Emendata

Tabella 3 – Le strategie di investimento cinesi e indiane nell’Unione Europea, 2003-2011 (#)amighini tab 4d
In parentesi la percentuale sul totale.
Fonte: Emendata

Tabella 4 – I maggiori gruppi cinesi e indiani nell’Unione Europea, 2003-2011 (#)amighini tab 5e
In parentesi la percentuale sul totale.
Fonte: Emendata

 

(1) Unctad, Global Investment Trends Monitor, No. 16, 28 aprile 2014
(2) Si vedano Beugelsdijk, S., Hennart, J. F., Slangen, A. & Smeets, R. (2010), “Why and how FDI stocks are a biased measure of MNE affiliate activity”, Journal of International Business Studies, 41(9): 1444-1459; Amighini, A., Cozza,C., Rabellotti, R., Sanfilippo, M. (2014), “An analysis of Chinese outward FDIs in Europe with firm-level data”, CIRCLE Working Paper No. 2014/02; Jean, S. e F. Toubal, “Les investissements étrangers en France: biais statistiques et astuces comptable”, Le Monde, 3 febbraio 2014.(3) Su Emendata si veda Amighini et al, 2014.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Lezioni di Brixit dall'Italia

Precedente

Lavorare senza frontiere: un manifesto per il futuro dell’Europa

Successivo

App, la nuova frontiera dell’economia

  1. davide

    In un’ottica di delocalizzazione di servizi alle imprese, pensate che se in India iniziassero a parlare le nostre lingue europee (ad esempio italiano, spagnolo, francese) le multinazionali sarebbero disposte a trasferire lì i dipartimenti aziendali che ancora sono qui a causa della “language dependancy”? Articolo interessante, grazie.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén