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Quello che serve alle start-up

L’economia comportamentale suggerisce che per incentivare un’attività molto rischiosa con elevati tassi di insuccesso, come una start-up, non sono necessari gli incentivi fiscali, quanto meccanismi assicurativi che consentano un atterraggio morbido nella probabile ipotesi che le cose vadano male.
LE START-UP AL VIA

All’inizio dell’anno le Camere di commercio hanno predisposto le modalità per l’iscrizione al Registro delle imprese delle start-up introdotte dal decreto “Sviluppo bis”, ultimo atto del Governo Monti. (1) È un passaggio essenziale poiché diviene operativa la disciplina di questo nuovo strumento sul quale il Governo ha puntato molto per favorire la nuova imprenditoria e farne una delle leve per l’agognata fase due, della crescita.
Nell’articolo di Raffaele Lungarella sono descritti i benefici fiscali e le semplificazioni amministrative per incentivare chi vuole lanciarsi in iniziative imprenditoriali ad alto contenuto innovativo. Per certi aspetti, è un intervento che riecheggia quanto fatto da Barack Obama nel marzo 2012. (2) Da noi assume però particolare rilievo per le note carenze del nostro sistema, tradizionalmente poco amico verso chi vuole avviare attività con un elevato grado di rischio, e in questo momento decisamente ostile soprattutto se si cerca qualcuno pronto a scommettere (cioè a mettere soldi) in una start-up.
Il messaggio è importante, poiché è la prima volta che si definisce un quadro di riferimento per questa tipologia di imprese ed è anche importante il fatto che il decreto preveda la creazione di un sistema di verifica e monitoraggio dell’impatto della normativa, per verificarne la reale funzionalità e provvedere alle correzioni che si rendessero necessarie.

LA PAURA DI PARTIRE

Un approccio regolamentare pragmatico e consapevole delle incertezze legate agli esiti di misure (si pensi soltanto alle deroghe al diritto societario di cui all’art. 26 oppure alla raccolta di capitali tramite portali on line prevista dall’ art. 30) che finora non avevano avuto cittadinanza nel nostro ordinamento e che oggettivamente presentano grandi potenzialità, insieme a qualche innegabile rischio (ma mai come in questo caso vale, a mio parere, il vecchio detto “chi non rischia non rosica” ed è giusto che il regolatore lo faccia, pronto poi a correggere in caso di insuccesso). (3)
In attesa di conoscere i risultati della prima fase applicativa della legge, una riflessione la sollecita la discussione che si è aperta, appunto, negli Usa, in un contesto decisamente più dinamico e quindi non comparabile con il nostro, ma che può essere ricca di utili indicazioni che potremmo riassumere con la domanda: conta più il fisco o la nostra anima? Domanda alla quale in questo periodo qualsiasi italiano risponderebbe probabilmente a male parole, ma non è così per le start-up e per Richard Thaler che all’argomento ha dedicato una approfondita riflessione. (4)
Una breve, ma necessaria, premessa: Richard Thaler insieme a Cass Sunstein è l’ormai famoso sostenitore del Nudge, teoria che si basa sulle acquisizioni dell’economia comportamentale e in base alla quale il regolatore dovrebbe, attraverso un “spinta gentile”, orientare i comportamenti dominati dai nostri limiti cognitivi. Il dibattito scientifico su queste teorie è acceso (in alcuni casi, sono autentici duelli a colpi di papers), ma è innegabile, e le prime applicazioni pratiche lo testimoniano, che hanno avuto il merito di aprire nuovi e inesplorati territori, tanto che sia Obama che Cameron, da prospettive ideologiche diverse, ne hanno fatto una guida per le loro politiche di regolamentazione. (5)
Gli scienziati cognitivi ci dicono che quando ci impegniamo in operazioni rischiose e dall’esito incerto, siamo più propensi a considerare i pericoli derivanti dal perdere i nostri averi che non i possibili e ingenti guadagni (loss aversion). Secondo Thaler, quindi, per incentivare un’attività oggettivamente molto rischiosa con elevati tassi di insuccesso, come una start-up, non sono tanto necessari gli incentivi fiscali (che il candidato repubblicano Romney voleva ulteriormente ampliare), quanto un buon cuscino per consentire un atterraggio morbido nell’ipotesi, altamente probabile, che le cose vadano male e si debba pensare a riprendersi subito. Bisognerebbe quindi spostare l’attenzione su adeguati meccanismi assicurativi e normative concorsuali che evitino il fallimento, meccanismi molto più efficaci, rispetto a un sistema premiale, nello spingere i futuri imprenditori verso nuove attività.

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UN BUON CUSCINO

Adottando la prospettiva di Thaler, la norma più importante del decreto sviluppo diventa, allora, l’ultima e cioè l’articolo 31, che sottrae le start-up al fallimento e le assoggetta alla procedure di riorganizzazione dei debiti dei privati, prevista dalla legge 27 gennaio 2012 n. 3. Bisogna quindi guardare a quella disciplina per vedere se effettivamente è in grado di rappresentare un buon “cuscino”, facilmente applicabile e possibilmente in maniera indolore. Ma in realtà le suggestioni di Thaler possono assumere una valenza più di sistema. Bisogna cioè chiedersi fino a che punto conti per il nuovo imprenditore il “tutto e subito” del meno tasse, oppure la consapevolezza di un futuro libero da ostacoli burocratici che gli rendono la vita più difficile nella operatività di tutti i giorni e nell’eventualità di una crisi. E se non sia il caso di spostare le risorse destinate agli incentivi in questa seconda direzione (ad esempio abbassando i costi di determinati servizi, o rafforzando strumenti di natura pubblica in grado di supportare e garantire fasi di ristrutturazione aziendali). Le regole (e le politiche industriali), nel perseguire i loro obiettivi, debbono attentamente considerare la realtà sulla quale incidono, e questa è, o almeno dovrebbe essere, una ovvietà: molto meno ovvio il fatto che conoscere i processi decisionali e i fattori di contesto che influenzano le nostre scelte, può divenire per il regolatore una bussola molto utile: non è tutto, ma serve. (6)

(1)Il Sole-24Ore 3 gennaio 2013, p. 16.

(2) Il riferimento è al Jobs Act del 5 aprile 2012.

(3) F. Vella, Tanti piccoli investitori per crescere e rischiare

(4) R. H. Thaler, Making Risk-Taking Riskier Will Hurt Startups, su www., bloomberg.com, 24 ottobre 2012.

(5) Purtroppo i limiti di spazio consentono solo qualche rapidissimo e superficiale richiamo a una materia in realtà molto ricca e complessa e che meriterebbe adeguati riferimenti scientifici. Sono, quindi, costretto a rinviare a F. Vella, La finanza è bella, regole per viverla meglio, in Finanza comportamentale. Investitori a razionalità limitata a cura di U. Morera, F. Vella, AGE, Analisi Giuridica dell’Economia n. 1, 2012, p. 215 ss.

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(6) Secondo un metodo che si ispira alla Behavioural Law and Economics. Anche qui per i necessari richiami scientifici rinvio a un volume appena pubblicato di E. Righini, Behavioural Law and Economics, Milano, Franco Angeli, 2012 .

> Nuove regole per futuri imprenditori, Raffaele Lungarella, 18.01.2013

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  1. Luca Enriques

    Bell’articolo. Resta il dubbio se effettivamente la disciplina sulla riorganizzazione dei debiti dei privati ‘è in grado di rappresentare un buon “cuscino”, facilmente applicabile e possibilmente in maniera indolore’. A un’occhiata molto superficiale, mi sembra una procedura che da’ un ruolo eccessivo al giudice e contiene una disciplina penale sicuramente meno punitiva di quella della legge fallimentare, ma pur sempre rischiosa anche per un imprenditore onesto.

    • Francesco Vella

      Ringrazio Luca Enriques per le sue osservazioni sulle quali concordo. Vi sono alcuni aspetti delle disciplina dell’insolvenza civile (oltre a quello penale, anche una certa complessità procedurale) che andranno attentamente verificati per valutarne la funzionalità alle Start-up. E augurabile che il monitoraggio sulla regolamentazione del quale parlo nel mio articolo valga anche per questi profili.

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