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LA RISPOSTA AI COMMENTI

LE QUESTIONI SOLLEVATE DAI COMMENTI DEI LETTORI.

Regime della tutela dei dati personali e natura dei dati tributari, rilevanza delle modalità di divulgazione rispetto alla tutela della privacy, valenza del controllo sociale come espressione di un rapporto tra i consociati fondato sulla corresponsabilità condivisa nei confronti del bene comune, in corrispondenza ad una concezione democratica e partecipata del vincolo sociale, o invece incentivazione di un deprecabile voyeurismo di massa e (peggio ancora) strumento odioso di delazione, alla stregua, come dice un lettore, di quanto praticato da “tutte le dittature per controllare ogni respiro dei propri cittadini”. Queste, per sommi capi, le questioni su cui, nella varietà degli accenti e delle posizioni, si sono principalmente soffermati i numerosi commenti seguiti alla pubblicazione del contributo Contribuenti fra trasparenza e privacy. Una vera e propria risposta richiederebbe uno spazio di cui non si dispone, si cercherà quantomeno di fornire qualche elemento ulteriore di analisi e riflessione.

REGIME DELLA TUTELA DEI DATI PERSONALI E NATURA DEI DATI TRIBUTARI.

I dati oggetto della pubblicazione effettuata dall’Agenzia delle entrate rientrano, certo, tra i dati personali, come qualunque informazione riconducibile, anche indirettamente, a una singola persona, ma, va sottolineato, non sono dati sensibili. In base al Codice della privacy, infatti, i dati personali non sono posti tutti sullo stesso piano, ma sono protetti con diversa intensità in relazione al loro diverso contenuto. La tutela è massima per le informazioni in materia di salute o di vita sessuale della persona, mentre invece è ridotta per le informazioni di natura economica. Basti ricordare che per il trattamento dei dati riguardanti l’attività economica dei soggetti (fatto salvo il segreto industriale e aziendale) non è necessario il consenso dell’interessato (art. 24, c. 1, lett. d). Da questo differenziato regime della tutela dei dati personali non si può prescindere quando si opera il confronto tra le ragioni della trasparenza, che hanno guidato il provvedimento di pubblicazione adottato dall’Agenzia delle entrate, e le ragioni della privacy, che gli sono state contrapposte: la riservatezza dei dati economici non è nel nostro ordinamento un valore assoluto, ma al contrario risulta, nello stesso Codice della privacy, di portata circoscritta, in conformità peraltro con la Costituzione repubblicana, che non include più le situazioni a contenuto economico  nell’area  dei diritti fondamentali inviolabili. La tutela della riservatezza va ponderata con gli altri valori fondamentali affermati dalla Costituzione. Nel bilanciamento tra valore della riservatezza dei dati economici, dalla Costituzione e dal Codice della privacy considerati comparativamente meno meritevoli di tutela rispetto ai diritti fondamentali, e valore della trasparenza come strumento per garantire un’opinione pubblica adeguatamente informata rispetto a interessi pubblici fondamentali quali l’adempimento del dovere d’imposta (fin dalla nascita dello Stato democratico legato a filo doppio alla titolarità dei diritti politici) e l’eguaglianza fiscale (art. 53 Cost.), non può essere che quest’ultimo il valore destinato a prevalere.

MODALITÀ DI PUBBLICAZIONE E TUTELA DELLA PRIVACY.

Il punto centrale della questione di illegittimità del provvedimento dell’Agenzia delle entrate sollevata dal Garante per la protezione dei dati personali riguarda la modalità della pubblicazione dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi, effettuata su internet. La legge, che risale ad anni antecedenti alla diffusione di internet, prevede la pubblicazione di tali dati nella forma del deposito degli elenchi dei contribuenti “per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i comuni interessati” (art. 69 del d.p.r. n. 600/1973). Il provvedimento del Garante ritiene prescritti dal legislatore, con tale disposizione, un limite territoriale e un limite temporale alla diffusione dei dati in oggetto. Il primo, costituito dalla delimitazione di ciascun elenco ai soli contribuenti della singola circoscrizione territoriale comunale alla quale soltanto l’elenco stesso è poi trasmesso e presso la quale soltanto è depositato. Il secondo, costituito dal limite di durata di un anno del deposito. Entrambi i limiti appaiono, evidentemente, scardinati dalla pubblicazione degli elenchi su internet, che travalica la delimitazione per circoscrizioni comunali e, consentendo a chiunque di “scaricarli” sul proprio computer, vanifica altresì il limite temporale. Il Garante lamenta che “l’Agenzia non ha previsto “filtri” nella consultazione on-line” e che ha posto in essere “una modalità di diffusione sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali l’attuale disciplina prevede una relativa trasparenza”. Affermare questo, però, significa non considerare che la disposizione che prevede la pubblicazione degli elenchi, ossia l’art. 69 cit., la prescrive “ai fini della consultazione da parte di chiunque”. Consentire la consultazione a chiunque significa non prevedere alcun filtro per la conoscibilità degli elenchi. La norma non richiede per la consultazione degli elenchi né il requisito della residenza nel comune corrispondente né la titolarità di alcun specifico interesse ad acquisire tale conoscenza. La previsione del “chiunque”, in altre parole, è di per sé incompatibile con il limite territoriale configurato nel provvedimento del Garante e che a suo dire sarebbe stato violato dalla pubblicazione su internet. Quanto al supposto limite temporale, in realtà l’art. 69 cit. prevede la durata di un anno del deposito non come termine massimo, per garantire il cd. diritto d’oblio dei dati, ma come garanzia della loro effettiva consultabilità, fino a che i dati di ciascun anno non siano sostituiti con quelli dell’anno successivo. Appare pertanto fondata la tesi dell’Agenzia delle entrate, che ha ritenuto andasse applicata anche a questo tipo di pubblicazione, prevista dal legislatore in una fase in cui non si era ancora avuta la diffusione di internet, la disposizione che oggi richiede allo Stato e alle altre amministrazioni pubbliche di assicurare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale (art. 2, c. 1, d.lgs. n. 82/2005, Codice dell’amministrazione digitale).
Va ribadito dunque che il ricorso alla pubblicazione su internet non è illegittimo per contrasto con l’art. 69 cit., in quanto, al contrario, consente una piena attuazione di tale norma, in cui è stato fissato dal legislatore, in termini generali, un ordine di priorità tra interesse alla trasparenza e interesse alla riservatezza, con riguardo ai dati fiscali, assegnando la prevalenza al primo, per le considerazioni di interesse pubblico già richiamate.
Sulla base di queste stesse considerazioni vanno affrontati anche gli ulteriori quesiti, emersi nel dibattito, relativi alla necessità di accompagnare la pubblicazione su internet con l’introduzione di soluzioni informatiche rivolte a consentire la tracciabilità degli accessi e impedire il trasferimento di file per evitare che siano costituite banche dati improprie e siano effettuati usi illeciti dei dati. A ben vedere: la tracciabilità degli accessi è in realtà incoerente con l’apertura della consultazione a chiunque, nel senso prima chiarito; bloccare la possibilità di “scaricare” il file è un rimedio solo apparente a fronte delle tecnologie attuali, in grado comunque di superare un tale impedimento. Va osservato peraltro che in realtà gli elenchi sono già da tempo disponibili sulla rete, attraverso gli archivi on line dei giornali che li hanno pubblicati, quantomeno in parte, anno per anno, e, ancora, va considerato che con le tecnologie attuali la stessa consultabilità degli elenchi cartacei nelle modalità testuali dell’art. 69 cit. apre potenzialmente la possibilità della loro registrazione. Quanto alla trasferibilità all’estero, la Corte di giustizia della Comunità europea ha statuito che l’inserimento di dati su internet non costituisce un trasferimento verso paesi terzi, anche se questi dati sono così resi accessibili per la consultazione da persone di paesi terzi, considerato il carattere ubiquitario delle informazioni su internet (sent. del 6 novembre 2003, Causa C-101/01). Quanto sin qui affermato non implica tuttavia che qualsiasi uso dei dati tributari così pubblicati sia da ritenere ammissibile, ma, in corrispondenza a quanto più volte sancito dalla giurisprudenza in materia di accesso ai dati, comporta invece che gli usi illeciti dei dati vadano perseguiti nel momento in cui si verifichino senza che per prevenirli si debbano soffocare le esigenze di trasparenza.

VALENZA DEL CONTROLLO SOCIALE

Il punto cruciale, in definitiva, sotteso a tutte le questioni sollevate, attiene all’alternativa tra due concezioni diverse della privacy, corrispondenti a due diversi modi di intendere il rapporto tra il singolo e la società. L’una considera la privacy come bene assoluto e indifferenziato, indipendentemente dal contenuto delle informazioni coinvolte, sicchè rivendica per quelle di natura economica le stesse garanzie che, viceversa, la legge, nella ricerca del contemperamento tra tutela della privacy e tutela di altri valori fondamentali, riserva ai soli dati “sensibili”. In tale prospettiva l’individuo è considerato in relazione esclusiva con lo Stato, avulsa da qualsiasi legame sociale. L’altra, coerentemente con l’impostazione recepita nell’impianto stesso del Codice della privacy, parte dal presupposto che la tutela della riservatezza vada ponderata con gli altri valori fondamentali affermati dalla Costituzione e, nel caso in esame, considera come esito di tale ponderazione la prevalenza da assegnare alla trasparenza dei dati fiscali. In essa ravvisa infatti uno strumento fondamentale per una corretta informazione in ambito sociale sull’adempimento da parte di ciascuno del dovere di contribuire secondo le proprie disponibilità al bilancio pubblico, quale espressione del vincolo che lega ogni soggetto agli altri componenti della comunità sociale, a fini di equità fiscale nella copertura della spesa per i servizi erogati alla comunità medesima nella sua interezza dall’intervento pubblico.

LE SFIDE DELL’UCRAINA

L’Ucraina entra nel Wto. Ma le sue relazioni internazionali, così come la sua economia, continuano a intrecciarsi con quelle della Russia. Senza dimenticare le incertezze della politica interna. Eppure la risultante di questa instabilità è una crescita economica costante da almeno otto anni, ora minacciata da inflazione, indebolimento della crescita globale e calo dei prezzi dell’acciaio. L’Ucraina è il tipico paese sulla frontiera sia del mercato sia della democrazia. “Mercato e democrazia” è il tema del Festival dell’Economia che si apre tra pochi giorni a Trento.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Cerco di rispondere brevemente:
1) Come ho scritto e devo ribadire, Rom e sinti in grande maggioranza non sono più nomadi, e a volte non lo sono mai stati. Inoltre, rifiutano di definrsi come nomadi: siamo noi che li definiamo così. Mi colpisce l’insistenza di  alcuni commenti nel ribadire l’etichetta
2) Ci sono Rom e sinti che rubano, certo. Nella nostra ricerca, riferita alla Lombardia ma probabilmente la più vasta mai realizzata in  Italia (su rom e sinti si fa anche poca ricerca, si preferisce in genere valutare sulla base di pre-giudizi), abbiamo trovato quasi ovunque persone incarcerate per vari crimini.  Il crimine va represso. Ci sono però anche rom e sinti che lavorano, nelle giostre, nella raccolta di rottami, o come i rom dell’insediamnto non autorizzato, ma tollerato, di S.Dionigia  a Milano, nel recupero di bancali. Stavano
mettendo in piedi una cooperativa, poi lo sgombero ha travolto tutto.
Ci somno poi rom e  sinti che cercano lavoro, ma non devono dire chi sono e da dove vengono, perché altrimenti nessuno gliene dà. Ci sono quindi molte differenze interne e anche conflitti. Come ha ribadito il Parlamento europeo, non possiamo condannarli in blocco e a priori. Semmai, dobbiamo cercare di guidare e accompagnare i processi positivi. Chiediamoci che cosa
sarà dei ragazzi che interrompono la scuola perché scacciati da uno sgomber all’altro: che destino avranno? Diventeranno dei bravi cittadini?
3) Gli insediamenti autorizzati costano soldi pubblici. Certo. Così come costano soldi le politiche per le minoranze (vogliamo vedere quanto ci costano Val d’Aosta e Alto Adige?) e le politiche destinate a soggetti e gruppi sociali in condizione di indigenza. E costa
soldi anche la custodia e il mantenimento dei carcerati. Da molti anni si investe in politiche sociali anche per cercare di non spendere poi in politiche carcerarie. Detto questo: 1) i soldi si pososno anche chiedere all’Unione europea, dove ci sono appositi stanziamenti, ma non è stato fatto; 2) ci sono diritti umani costosi ma incomprimibili: per es. che i bambini vadano a scuola, abbiano un tetto, siano curati; 3) le politiche che propongo costano meno dei grandi "campi nomadi": si tratta di favorire per es.  la ricerca di case  normali, di lavori normali; di favorire l’autocostruzione, o anche piccoli insediamenti a base familiare;
4) Servono misure di mediazione e accompagnamento, per emancipare dall’assistenza gli interessati e per rassicuare i residenti. Rom e sinti, come tutti noi, in genere non sono affatto desiderosi di abitare nei campi e di vivere di espedienti.
Ci vuole saperne di più, veda le ricerche pubblicate dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità, presso la Fondazione Ismu.

Mi pare che i commenti siano uno specchio abbastanza fedele delle opinioni e dei sentimenti del nostro paese sulla questione: una minoranza condivide la mia riflessione; uno o due rom o sinti cercano invano di far sentire la propria voce, rivendicando il loro desiderio di normalità; la maggioranza dissente ad alta voce, spesso con rabbia. Parecchi lettori, a quanto pare, sono convinti che i rom vivano nella sporcizia perché lo desiderano; che non lavorino, perché non vogliono farlo; che siano (tutti) delinquenti pericolosi; che siano irrecuperabili; che non abbiano diritti. Mi colpisce
che nessuno per esempio accenni ai minori: l’unico lettore che ne parla è per proporre di sottrarglieli. Quando chi è collocato in un certo gruppo sociale non è più riconosciuto come uguale, è privato della dignità umana, e lo si coglie dal fatto che i suoi figli non meritano considerazione. I loro volti spaventati e braccati non raccolgono pietà né rispetto. Il punto decisivo credo sia il trattamento dei rom e sinti come un tutt’uno, condannati in massa. Che ci siano rom e sinti che rubano, è innegabile.
Anche dalla nostra ricerca questo emerge, i lettori possono sentirsene confermati. Che questo fatto possa portare ad un bando e a una condanna per tutti i rom, è il passaggio tra un sistema democratico e altri sistemi. Entra in funzione un’etichettatura collettiva e indistinta, che è esattamente ciò che gli psicologi chiamano pregiudizio.
Come ho cercato di spiegare, a quanto pare senza molto successo, si tratta di popolazioni eterogenee e stratificate, con vari gradi di integrazione. Ma non si può incolparli se non hanno una casa. Pochi fra loro circolano volontariamente sul territorio, e i comuni sarebbero obbligati a prevedere idonee aree di sosta, invece di affiggere cartelli con il divieto di campeggio. Che poi si possa impedire a dei cittadini europei di esercitare il diritto alla mobilità, mi pare sia un problema di non facile soluzione anche per il governo, una volta finita la campagna elettorale.
Detto questo, so bene che non è facile sostenere rom e sinti nell’affrancamento da lunghi anni di vita ai margini della società: formazione, inserimento lavorativo, normalità abitativa, non si costruiscono
in un giorno, e neppure dicendo che devono cavarsela da soli, anzi devono dimostrarci che possono vivere onestamente. Mi permetto di ribadire che, senza politiche intelligenti di accompagnamento, la questione tornerà a presentarsi, ancora più incancrenita come qui campi demoliti dalle ruspe che vengono riedificati pochi giorni dopo, più poveri e sgangherati di prima. Un’ultima considerazione, che non vuole essere polemica, ma solo descrittiva: chi sostiene che in Italia non c’è xenofobia, dovrebbe leggere i commenti al mio articolo. Forse diventerebbe più cauto.

 

L’IRPEF SENZA GLI STRAORDINARI

La detassazione degli straordinari modifica in modo significativo la fisionomia del più importante tributo italiano. Perciò, non bisogna solo capire se gli obiettivi siano giusti, ma anche se lo strumento individuato sia il più corretto. L’agevolazione fiscale persegue finalità che si prestano a non poche obiezioni, dà risultati iniqui, contrasta con principi cardine del sistema d’imposizione personale del reddito, risponde solo parzialmente a un possibile effetto di inefficienza che riguarda una parte esigua dei soggetti coinvolti e favorisce fenomeni elusivi.

GRANDI INTESE O GRANDI ELUSIONI FISCALI?

Si profila all’orizzonte un grande accordo sulla detassazione dello straordinario e delle componenti variabili del salario. Sarebbero d’accordo tutti: dalla maggioranza all’opposizione, da Confindustria al sindacato. Nelle migliori intenzioni dovrebbe servire a rafforzare il decentramento della contrattazione salariale e un più forte legame dei salari con la produttività. Ma vi sono grandi rischi di elusione fiscale. Non a caso il Governo sta predisponendo tanti paletti, complicando ulteriormente il sistema fiscale. E per decentrare la contrattazione non c’è alcun bisogno di sgravi fiscali. Meglio sarebbe tagliare le tasse sul lavoro per tutti e riformare davvero la contrattazione.

IL VICINO ROM

Dal punto di vista dei numeri, non c’è ragione di lamentare “invasioni” di rom e sinti nel nostro paese. Piuttosto sono assai problematiche le politiche adottate per la gestione di queste minoranze. Nel migliore dei casi si sono allestiti i campi nomadi, diventati oggi un aspetto saliente del problema. Servono invece soluzioni abitative plurime, negoziate con i diretti interessati e con le comunità locali. E progetti più ampi, con il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei destinatari, la condivisione di regole, la presenza di figure di mediazione e accompagnamento.

LA SPERANZA CHE VIENE DAL CARO PETROLIO

I prezzi alti del petrolio, determinati dalla domanda dei paesi asiatici, preoccupano l’Occidente. Eppure, almeno per gli Stati Uniti, c’è una correlazione positiva tra il costo del petrolio e la produzione industriale, come mostra uno studio recente. Perché la comparsa di nuovi attori economici rende alcune risorse più scarse, aumentandone il costo, ma offre nuove opportunità di commercio. E’ la capacità di innovare e rimanere leader in produzioni sofisticate e poco sostituibili che gioca un ruolo chiave nel decidere se la sfida di oggi sia un’opportunità o una sciagura.

I VOTI DI LAUREA NON SONO NORMALI

Se il “110” è il voto di laurea di uno studente su tre, questo non dà alcun segnale al mondo del lavoro sulle competenze del laureato. L’appiattimento verso l’alto deriva dal peso elevato attribuito alla tesi, oggi anacronistica nella laurea triennale. Ma anche la distribuzione dei voti per esame è sbilanciata verso l’alto perché gli insegnamenti cuscinetto alzano la media. Necessaria perciò una correzione. E infatti considerando solo le materie più importanti si ottiene una più significativa distribuzione normale.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Appare evidente in questi commenti una forte contrapposizione tra donne e uomini. Mentre le donne chiedono più opzioni, per aumentare la possibilità di conciliazione lavoro-famiglia e parità di responsabilità nella famiglia (part-time, reinserimento dopo i periodi di maternità,orari degli asili più flessibili, politiche aziendali  family..), gli uomini che tendono a considerare come vincolante  qualsiasi soluzione che possa incentivare il lavoro femminile, sostenendo l’importanza del lavoro familiare delle donne.
Inoltre emerge una radicata convinzione della componente maschile che le preferenze delle donne non siano ben note e male interpretate e che in realtà ogni donna desideri soprattutto rimanere a casa ad accudire marito e figli. Strano che nessuna donna che ci scrive rivendichi questa vocazione.
L’obiettivo qui era di ragionare su politiche che allarghino le possibilità di scelta e che rispondano ad esigenze diverse di famiglie diverse nell’ottica di una maggiore uguaglianza di opportunità più che uguaglianza degli esiti. L’obiettivo non è mandare tutti i bambini al nido ma mettere tutti nelle condizioni di avere per i figli piccoli di tipo di cura che ritengono più appropriata. Né di mandare tutte le donne a lavorare.
Siamo convinti che molte donne hanno preferenze per il lavoro in casa. Tuttavia una parte di esse desidera lavorare  e ne ha anche bisogno. Lo dimostrano un tasso di disoccupazione del 10% e il fatto che tra gli inattivi disposti a lavorare (secondo le indagini ISTAT)  il 67% sono donne. Lo suggerisce, tra le varie cose, il fatto che le giovani donne italiane di oggi siano in media più istruite dei loro coetanei maschi (il 25% delle venticinquenni raggiunge la laurea contro il 19% dei loro coetanei)
Lo desiderano e ne hanno bisogno anche perchè i redditi familiari italiani (soprattutto delle famiglie con figli piccoli) sono tra i più bassi d’Europa e i tassi di separazione/ divorzi sono in crescita e si stanno avvicinando a quelli degli altri paesi europei. L’obiettivo qui è pensare a interventi che aumentino le opportunità di fare la propria scelta con una varietà di opzioni maggiore di quella attuale.

Per quanto riguarda il quoziente familiare per una spiegazione piu’ approfondita si rimanda “Imposte:una questione di famiglia”di Maria Concetta Chiuri e Daniela Del Boca a “Aliquote rosa” di Marco Leonardi e Carlo Fiorio) e a “Quel singolare quoziente di famiglia” di Claudio De Vincenti e  Ruggero Paladino, 5 Marzo 2007). Come si spiega in questi articoli, il quoziente familiare favorisce, rispetto al sistema attuale, la famiglie dove entra un unico reddito elevato tramite l’abbassamento dell’aliquota media che deve pagare. Mentre se ci sono due percettori di reddito, quello con reddito inferiore e’ sottoposto ad una aliquota marginale decisamente più alta elativamente al sistema di tassazione disgiunto (il reddito più basso è in genere quello femminile), con conseguente disincentivo a possedere un reddito da tassare.
E’ sicuramente vero che in Francia, dove è in vigore il quoziente familiare da molto tempo, il tasso di partecipazione femminile è tradizionalmente  molto più elevato  rispetto al caso italiano. E’ altresì vero che in Francia sono da tempo adottatati molti strumenti di conciliazione famiglia-lavoro decisamente carenti in Italia, quali asili statali e privati più diffusi ma anche forte presenza di asili aziendali, orari di lavoro più flessibili e ridotti, incentivi statali per l’assistenza domiciliare dei bambini e, infine, generosi sussidi per i figli (Allocation Parental d’Education). Tutto questi strumenti hanno contribuito al “miracolo” francese, ovvero alta natalità ed alta partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Per un confronto delle varie politiche per la famiglia e indicatori dettagliati che comprendono anche il benessere dei bambini (1)

Un ultimo aspetto riguarda il presunto effetto negativo dell’uso dei servizi educativi per la prima infanzia sul benessere dei bambini. Studi recenti che hanno analizzato a fondo questa questione (tra questi il premio Nobel 2000 James Heckman) mostrano come i servizi educativi per l’infanzia (quelli di alcune regioni Italiane  sono tra l’altro tra i migliori d’Europa) offrono ai bambini importanti possibilità di interazione, soprattutto per i bambini italiani che crescono spesso senza fratelli o sorelle, ed enormi possibilità  di stimolo e apprendimento. Vi è inoltre la convinzione che i bambini risentano del lavoro della madre in termini di minor tempo e minori attenzioni a loro dedicati. I dati Multiscopo  ISTAT mostrano, invece, che le donne che lavorano ‘compensano’ il minor tempo a loro disposizione riducendo in primis il proprio tempo libero piuttosto che quello passato con i figli; inoltre, tendono a incrementare le attività di qualità (quali lettura , gioco, etc) sicuramente positive per lo sviluppo del bambino. Rimane, pertanto, tutta da provare l’eventuale relazione negativa fra lavoro della madre e sviluppo del bambino. Queste ricerche mostrano anche che l’apporto dei padri e ‘ molto importante ai fini dello sviluppo cognitivo e non dei bambini piccoli indicando come anche dalle prime fasi del ciclo vitale il ruolo dei genitori potrebbe essere molto più intercambiabile.

(1) si veda Del Boca D. e C. Wetzels “Social Policies Motherhood and Labour Markets” Cambridge University Press 2007

UNA CASA PER LA POLITICA MONETARIA

Le innovazioni nei sistemi di finanziamento legati all’edilizia, registrati da molte economie avanzate negli ultimi vent’anni, hanno modificato il ruolo del settore immobiliare nel ciclo economico e nel meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Sono oggi più accentuati i rischi di contagio delle crisi al resto dell’economia. E può dunque essere necessaria una risposta più aggressiva della politica monetaria agli andamenti del mercato immobiliare. Soprattutto nei paesi con un mercato dei mutui più sviluppato.

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