Lavoce.info

Autore: Pietro Garibaldi Pagina 6 di 12

garibaldi Professore ordinario di Economia Politica presso l'Università di Torino, è Fellow e direttore del Programma Allievi della Fondazione Collegio Carlo Alberto e responsabile degli studi sul lavoro della Fondazione Debenedetti. È consigliere di sorveglianza (ed ex-vicepresidente) di Intesa SanPaolo. È stato Consigliere economico del Ministro dell'Economia e della Finanze nel 2004 e 2005, e consulente in materia di lavoro per il Dipartimento del Tesoro. Ha conseguito il Ph.D. in Economia presso la London School of Economics nel 1996. Dal 1996 al 1999 ha lavorato come economista nel dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale, ed è stato professore associato presso l'Università Bocconi dal 2000 al 2004. Redattore de lavoce.info.

E PER L’OCCUPAZIONE SENTENZA RIMANDATA A GIUGNO

Nel quarto trimestre del 2008, nonostante la frenata del Pil, l’occupazione in Italia è scesa solo dello 0,2 per cento. Sostanziale tenuta anche del lavoro a termine. Sono fatti positivi, ma è decisamente presto per sostenere che la recessione in atto non avrà impatto sui livelli occupazionali. Bisogna aspettare giugno, con i dati del primo trimestre 2009. Che daranno conto dei contratti dei precari scaduti e non rinnovati e del ritardo con cui le aziende si adeguano al calo del Pil. Ma negli ultimi anni non sono mancate le sorprese positive nel nostro mercato del lavoro.

LA RISPOSTA DEGLI AUTORI

Ringraziamo molto Anastasia e Trivellato per il loro commento alla nostra proposta e i tanti lettori per i loro incoraggiamenti e anche osservazioni critiche. Lo scopo del nostro articolo era proporre dei costi di base per un sussidio universale ai disoccupati. Riteniamo che sia utile, a questo stadio, avere stime un pò più precise su quello che potrebbe costare un sussidio unico. Una volta accettato il concetto, sarà importante e doveroso entrare in maggiori dettagli, e il commento di Anastasia e Trivellato va esattamente in quella direzione.
Con riferimento alla platea degli ammessi al sussidio, le stime del nostro articolo si riferiscono effettivamente a un sussidio da erogare a tutti i disoccupati con eccezione dei giovani disoccupati senza alcuna esperienza. Tra le eccezioni e le esclusioni previste da Anastasia e Trivellato, riteniamo che la più importante sia quella relativa ai disoccupati che precedentemente erano fuori dalla forza lavoro. Viceversa, sulla differenze tra cessazioni volontarie  e involontarie preferiremmo procedere con grande cautela, anche perché la distinzione tra le due è una delle più difficili questioni in economia del lavoro (quando si tratta davvero di dimissioni spontanee e quando invece di dimissioni spontanee?). Normalmente questo problema lo si affronta introducendo un periodo di attesa, prima della fruizione del sussidio, per chi formalmente ha volontariamente lasciato un’azienda.
Con riferimento alla relazione tra durata del sussidio e periodo contributivo, nel nostro calcolo di base non abbiamo inserito alcuna durata minima. Siamo d’accordo che si dovrebbe operativamente ipotizzare un periodo contributivo minimo, che riteniamo possa essere di sei mesi lavorativi nell’ultimo anno, in modo da evitare l’accesso al sussidio per il lavoro strettamente stagionale. 
Con riferimento alla stima dei costi, siamo effettivamente convinti che i 15,6 miliardi di stima ipotizzati nel nostro articolo siano ragionevoli. Come abbiamo indicato nell’articolo, abbiamo utilizzato una retribuzione media per i dipendenti a tempo indeterminato pari a 22.000 euro, pari a 18.000 euro per i lavoratori a tempo determinato e pari a 8.000 euro per i lavoratori precari. Nelle nostre stime il sussidio medio pagato a queste tre categorie sarà pari a 716 euro mensili, ottenuto da una media ponderata (dai flussi in ingresso medi nel periodo 2003-7) di un sussidio di 1.000 euro per i lavoratori a tempo indeterminato, di 800 euro per i lavoratori temporanei e di 500 euro per i precari. Tra l’altro, i nostri 15,6 miliardi sono il doppio dei costi attuali a cui fanno riferimento Anastasia e Trivellato. Non deve perciò sorprendere che, nonostante la platea aumenti da 600 mila attuali a 1,8 milioni circa, il costo totale raddoppi. Basta ad esempio ricordare che la probabilità che un lavoratore a tempo indeterminato perda il lavoro è di circa l’1 per cento, mentre per un precario è del 15 per cento e – come ricordiamo sopra – la retribuzione di un precario è circa un terzo rispetto al lavoratore a tempo indeterminato.

MA QUANTO COSTA IL SUSSIDIO UNICO DI DISOCCUPAZIONE?

Secondo le nostre stime, un sussidio unico garantito a tutti i disoccupati, indipendentemente dal tipo di contratto, assicurando in partenza il 65 per cento della retribuzione precedente e non meno di 500 euro al mese costerebbe a regime circa 15,5 miliardi. Sostituirebbe però indennità di mobilità, sussidi di disoccupazione ordinari e a requisiti ridotti e gestioni speciali per edilizia e agricoltura che ammontano in media a 7,5 miliardi all’anno. Potrebbe essere interamente finanziato con un contributo di circa il 3 per cento delle retribuzioni. Anche se nella fase di transizione alcuni costi dovrebbero essere coperti dal bilancio dello Stato.

COME CAMBIA LA CONTRATTAZIONE

Il nuovo accordo quadro sulle regole della contrattazione comporta un conto salato per il resto dei contribuenti e per i lavoratori una copertura contro l’inflazione inferiore rispetto al vecchio modello. E non è affatto detto che, attraverso la sua applicazione, si sviluppi la contrattazione di secondo livello. Proponiamo qui una soluzione che ha il pregio di non confondere la copertura contro l’inflazione con la ricerca di un legame più stretto fra salario e produttività. Perché sono due problemi diversi che vanno affrontati con strumenti diversi.

DAL TESORETTO A CAPORETTO

Se il Governo Prodi continuava a scoprire tesoretti, il nuovo governo sta facendo l’errore opposto. Nonostante il forte rallentamento della congiuntura, non ha aggiornato le previsioni sui conti pubblici e si trova ora costretto a motivare consistenti peggioramenti dei saldi. Per rassicurare i mercati occorrono trasparenza e chiare scelte di politica economica contro la recessione. Rimanere in mezzo al guado, tra la sponda del rigore e quella di una politica fiscale espansiva, è la peggiore soluzione possibile perché i conti si deteriorano senza migliorare le prospettive dell’economia.

POLITICA ECONOMICA SULLE MONTAGNE RUSSE

Si parla di ridurre l’orario di lavoro settimanale integrando il salario con sussidi per salvaguardare posti di lavoro: una correzione di rotta notevole per un esecutivo che con la detassazione degli straordinari puntava ad allungare quell’orario. I contenuti della proposta non sono ancora chiari. Ma potrebbe risolversi nell’ennesimo intervento a favore di chi un lavoro ce l’ha già. Mentre Il governo continua a sostenere che non ci sono risorse per una seria riforma degli ammortizzatori sociali.

MA IL MERCATO DEL LAVORO HA SIN QUI TENUTO

Il mercato del lavoro ha tenuto, più che altro, grazie ai lavoratori stranieri. I dati pubblicati oggi dall’indagine sulle forze lavoro relative al terzo trimestre del 2008 mostrano un mercato del lavoro che tra giugno e settembre del 2008 non ha perso posti di lavoro. Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione è rimasto invariato al 6,1 per cento rispetto al secondo trimestre.
Anche se non vi è stato il crollo temuto, la situazione del mercato del lavoro segna un chiaro peggioramento su base annua. Confrontando i dati con il terzo trimestre del 2007, i nuovi occupati nell’anno sono stati 100 mila circa, una quantità decisamente inferiore a quella registrata negli ultimi due anni.
Il dato forse più significativo su base annua è la leggera caduta del tasso di occupazione, ossia del rapporto tra occupati e popolazione in età lavorativa. E’ la prima volta da diversi anni. Il motivo della caduta di questo rapporto è legata all’aumento del numero di lavoratori potenziali. Quest’ultima, a sua volta, è legata alla popolazione straniera e al suo assorbimento nel campione delle forze lavoro. Nel dettaglio, in un anno l’occupazione straniera è aumentata di 285 mila unità, mentre l’occupazione italiana è diminuita di circa 180 unità. In altre parole, dobbiamo ringraziare gli immigrati se il mercato del lavoro ha tenuto.
Sul fronte interno, si conferma il forte dualismo territoriale. L’occupazione nel Nord del paese è infatti aumentata dell’1 per cento, quando nel mezzogiorno si è registrata una diminuzione dello stesso ammontare. Anche questo dipende in larga misura dagli immigrati, perché sappiamo bene che gli immigrati sono molto più mobili e tendono a spostarsi in posti a maggior domanda di lavoro.

UNA RETE PER TUTTI

La crisi dei mercati finanziari si trasferisce all’economia reale. Tra qualche mese inizieranno le vere e proprie riduzioni di personale e i primi a essere colpiti saranno i circa quattro milioni e mezzo di lavoratori precari. Per questo l’Italia ha urgente bisogno di introdurre un sussidio unico di disoccupazione, a cui si acceda indipendentemente dal tipo di contratto con cui si è stati assunti. Dove trovare le risorse? Sufficiente utilizzare i fondi destinati in via sperimentale alla detassazione degli straordinari, un provvedimento che diminuisce l’occupazione.

NERO SU BIANCO MA SCRITTO AL CONTRARIO

La riforma del modello contrattuale è fondamentale per permettere a tutti i lavoratori di avere un contratto più tempestivo e per rafforzare il legame fra salari e produttività. Ora Confindustria ha presentato una proposta formale. Prevede il superamento dell’inflazione programmata con l’indice di inflazione previsionale, aumenti applicati esclusivamente alle retribuzioni contrattuali e l’inserimento di una clausola di garanzia. E’ un passo avanti perché è un punto di riferimento per la discussione. Ma si prefigge il contrario di ciò di cui l’Italia ha bisogno.

UNA POLITICA ECONOMICA BELLA NELLA FORMA MA AVVILENTE NELLA SOSTANZA

Con l’approvazione del decreto fiscale che anticipa la legge Finanziaria, la programmazione economica ha fatto un passo avanti epocale. Ma il percorso di politica economica per la legislatura tracciato dal Dpef è avvilente nella sostanza. Ci sarà un significativo aumento della pressione fiscale per tutta la legislatura e una riduzione delle spese in conto capitale, anziché della spesa corrente. Tutto il contrario di ciò che servirebbe al paese per uscire dalla stagnazione.

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