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Autore: Pietro Garibaldi Pagina 10 di 12

garibaldi Professore ordinario di Economia Politica presso l'Università di Torino, è Fellow e direttore del Programma Allievi della Fondazione Collegio Carlo Alberto e responsabile degli studi sul lavoro della Fondazione Debenedetti. È consigliere di sorveglianza (ed ex-vicepresidente) di Intesa SanPaolo. È stato Consigliere economico del Ministro dell'Economia e della Finanze nel 2004 e 2005, e consulente in materia di lavoro per il Dipartimento del Tesoro. Ha conseguito il Ph.D. in Economia presso la London School of Economics nel 1996. Dal 1996 al 1999 ha lavorato come economista nel dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale, ed è stato professore associato presso l'Università Bocconi dal 2000 al 2004. Redattore de lavoce.info.

Un sentiero verso la stabilità

I problemi strutturali del nostro mercato del lavoro sono tutti legati all’ingresso e al rientro: per i giovani in cerca di prima occupazione, per le donne dopo la maternità, per chi sceglie un “periodo sabbatico”. Invece deve essere possibile entrare, uscire e poi rientrare nel mercato del lavoro, senza trovarsi ogni volta di fronte a ostacoli pressoché insormontabili. Per il primo impiego si può concepire un percorso a tre fasi: la prova, l’inserimento e la stabilità. Affiancato da altri due provvedimenti: salario minimo e contributo previdenziale uniforme.

I programmi elettorali sulla regolamentazione del lavoro

La Casa delle libertà si limita a indicare la riforma Biagi tra le trentasei approvate dal Governo. E a promettere la creazione di un altro milione di posti di lavoro. Più articolato il programma dell’Unione. Due i punti centrali: la modifica della legge 30 e la riforma degli ammortizzatori sociali, partendo dal presupposto che bisogna distinguere tra flessibilità e precariato. Gli interventi proposti potrebbero facilitare l’accettazione di un mercato del lavoro flessibile. Sono ovviamente onerosi, ma sui finanziamenti il programma non si esprime.

Un percorso verso la stabilità

Non c’e’ solo ideologia nelle piazze francesi. Come in Italia, i giovani temono di rimanere intrappolati in un mercato del lavoro parallelo, in una sequenza di contratti temporanei inframmezzati da periodi di disoccupazione. Ai giovani si dovrebbe prospettare un percorso di ingresso ai contratti permanenti senza grandi discontinuita’ nel concedere tutele contro il rischio di licenziamento.

Decontribuzione: come e per chi?

Prodi si è impegnato a ridurre di cinque punti il cuneo fiscale nel primo anno di un suo eventuale Governo. Mancano ancora dettagli importanti sulla proposta, a partire dalle coperture e dalla platea di lavoratori a cui la decontribuzione dovrebbe essere applicata. L’analisi dei potenziali effetti della decontribuzione su competitività del paese, sistema previdenziale e finanza pubblica fa ritenere che l’intervento dovrebbe essere limitato solo ai percettori di bassi salari. Se così fosse, la manovra sarebbe interamente finanziabile con l’inasprimento della tassazione delle rendite finanziarie.

Standard minimi e nuove tipologie contrattuali

Dopo le riforme degli ultimi anni, il mercato del lavoro italiano è un sistema estremamente complesso, che prevede scarsi contributi previdenziali per i lavoratori più giovani, per i quali è oltretutto assai difficile il passaggio a contratti a tempo indeterminato. Occorre correggere questa situazione, con pochi interventi ben congegnati e a costo zero. Come fissare un salario minimo e un contributo previdenziale uniforme per tutto il mercato del lavoro, aumentare considerevolmente il periodo di prova e ridurre la lunghezza massima del contratto a tempo determinato.

Un terzo trimestre triste per le forze lavoro

Il quadro che emerge dalle statistiche del mercato del lavoro non è roseo. Si torna alla “normalità”: a una crescita economica stagnante corrisponde una crescita dell’occupazione pressoché nulla. E non solo aumenta il divario Nord-Sud, ma addirittura il Sud arretra. Si è esaurito infatti il periodo di “luna di miele” delle riforme marginali del mercato del lavoro. Mentre le statistiche ufficiali hanno assorbito la regolarizzazione di lavoratori immigrati. Uniche buone notizie l’incremento dei lavoratori dipendenti e del part-time femminile nel Nord.

Più occupazione senza prodotto, un paradosso spiegato dagli immigrati

Il ruolo degli immigrati contribuisce a spiegare i due fenomeni più eclatanti rilevati dall’indagine delle forze di lavoro per il secondo trimestre del 2005: la conferma della crescita sostenuta dell’occupazione, superiore alla crescita tendenziale del Pil, e l’aumento del divario territoriale, in particolare fra Nord e Sud. Il tasso di disoccupazione scende al 7,5 per cento. Sale l’occupazione dipendente a tempo indeterminato, smentendo i timori di “precarizzazione” del mercato del lavoro. Ma nel Mezzogiorno le donne occupate diminuiscono ancora.

Buone notizie in momenti difficili

L’inchiesta sulle forze lavoro relativa al primo semestre 2005 segnala un aumento di 84mila posti di lavoro rispetto al quarto trimestre del 2004, pari allo 0,4 per cento. Come si spiega questo andamento se si considera la riduzione del Pil degli ultimi due trimestri? L’aumento occupazionale è legato al processo di riforme del mercato del lavoro. Ma anche alla rilevazione di lavoratori sommersi. Nel complesso, la crescita dell’occupazione rimane un fatto totalmente settentrionale, con il Centro e il Mezzogiorno addirittura in leggero calo.

Cresce il lavoro, ma si è perso il Mezzogiorno

Una discreta performance aggregata della crescita dei posti di lavoro, ma con una differenziazione regionale Se al Centro gli occupati salgono del 2,5 per cento, nel Mezzogiorno si riducono dello 0,4 per cento. Un divario impressionante e insostenibile, la cui soluzione deve necessariamente passare attraverso un decentramento della contrattazione. Il tasso di occupazione ha smesso di crescere, ma il fenomeno riflette un aumento della popolazione in età lavorativa, principalmente dovuto all’immigrazione. Come testimonia la distribuzione settoriale della crescita dell’occupazione.

Responsabilità sociale d’impresa, ma non per legge

La dottrina della responsabilità sociale d’impresa ha pro e contro. Sicuramente non vanno ostacolate le iniziative che il mercato produce spontaneamente. Ma i fautori di un intervento legislativo che ne favorisca l’adozione devono porsi due domande: è vero che le attività imprenditoriali coerenti con la Rsi e generate spontaneamente dalle aziende sono socialmente insufficienti? Ed è vero che i benefici sociali legati all’aumento di queste attività superano i costi? Qualche dubbio anche sull’efficacia di norme nazionali in un’economia globalizzata.

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