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Autore: Matteo Rizzolli

Ricercatore presso la facoltà di economia della Libera Università di Bolzano.

Insider e outsider: cosa cambia con l’abilitazione nazionale

La procedura di abilitazione scientifica nazionale per professore universitario di prima e seconda fascia si è praticamente conclusa. Il nuovo sistema di reclutamento riesce a superare la preferenza per i candidati interni rispetto agli esterni? Un primo bilancio.

Se la prima casa non è pignorabile

Circolano varie proposte per rendere in ogni caso non pignorabile la prima casa. Una misura del genere avrebbe effetti devastanti sul mercato del credito. Semmai si può pensare a un intervento meno radicale, che metta le abitazioni dei contribuenti al riparo dalla voracità del fisco.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo tutti per gli utili commenti ad una riflessione di due economisti che, lo ripetiamo, resta confinata all’ambito dell’analisi economica del diritto. Ad essa vanno certo affiancate altre considerazioni, di diversa natura.

Noi ci siamo limitati, come dice Giorgio Zanarone, ad una lettura neutra, a leggere cioé la norma e ad analizzarne gli effetti in termini di incentivi, indipendentemente da ogni pur meritevole considerazione di altro genere. Opportunamente, Federico Grillo Pasquarelli traduce per noi in cifre i processi eliminati dalla norma, una volta approvata, secondo i dati forniti dal Ministro Alfano: quel trascurabile 0,05% dei processi interessati dalla norma comporterebbe circa 6000 o 7000 processi che muoiono d’un tratto. Un numero impressionante, se pensiamo alle altrettante presunte vittime che aspettano giustizia. Qualche imputato ne avrà un beneficio, ma si tratta certamente di un “peggioramento paretiano”.

Il punto che invece abbiamo voluto sottolineare é che, secondo l’approccio di analisi economica del diritto, tra le motivazioni che spingono a commettere un illecito o un reato vi è il confronto tra benefici attuali privati e costi attesi privati. Questi ultimi derivano dal valore della sanzione (monetaria e/o non monetaria) moltiplicata per la probabilità di essere scoperti e condannati, se colpevoli. La prescrizione dei tempi processuali evidentemente riduce questa probabilità. Ci sono, in genere, ottime motivazioni sociali per questo e la letteratura che citiamo le evidenzia. Si contemperano due esigenze: quelle della vittima e quelle dell’imputato. Un cittadino che non ha commesso il reato, ad esempio, viene liberato da un peso ingiusto, a meno che non preferisca usare il processo per dimostrare compiutamente la propria innocenza. Ci rendiamo conto che è una visione particolare, quella appunto dell’analisi economica al diritto, e ha certamente ragione Federico Grillo Pasquarelli quando evidenzia che altre motivazioni possono manifestarsi.

Nel nostro schema, ciò che difficilmente trova una spiegazione razionale in termini di policy è il diverso trattamento dei tempi di prescrizione, tra incensurati e non, che la nuova norma introduce. La prescrizione viene cioè modulata non in funzione dei reati, ma dei rei. E’ qui il vulnus, anche economico. Perché è vero che tra gli incensurati vi possono essere innocenti (come evidenziato da Francesco Saverio Salonia), ma vi saranno anche i colpevoli, cioè persone che effettivamente hanno commesso l’illecito o il reato per il quale sono imputati. Al tempo stesso tra i recidivi sotto processo, vi potranno essere innocenti. Il punto che abbiamo voluto evidenziare è che trattare diversamente, ai fini della prescrizione, non già i diversi reati ma i diversi rei può generare effetti perversi. Perché la quota di coloro che hanno commesso reati e che non sono stati (ancora) condannati potrà aumentare in quanto per questi soggetti la sanzione attesa diminuirà. Per via di questo meccanismo, la norma novellata ridurrà la deterrenza. Non abbiamo assunto pertanto, come osservato da Francesco Saverio Salonia, che tutti gli imputati abbiano effettivamente commesso il reato, abbiamo solo convenuto che tra questi, coloro che sono colpevoli ma incensurati avranno ridotti incentivi a rispettare la legge. Non bisogna confondere il piano dell’errore giudiziario post-sentenza (innocenti giudicati colpevoli), con il piano dell’accertamento pre-sentenza (colpevoli prescritti in quanto incensurati).

E’ vero, come rilevato da Matteo Villa, che a seguito di questa norma si potranno generare nuovi (convergenti?) equilibri, ma il nostro ragionamento vale per ogni “nuova” generazione di rei e dunque è altamente probabile, nel nostro schema logico che i reati incrementino a seguito della riduzione di deterrenza generata da una riduzione della prescrizione, anche se per la sola popolazione di incensurati.

Nella nostra lettura abbiamo ovviamente “assunto”, come dice Raffaello Morelli, che a fronte di un processo vi sia un illecito o un reato. Cioè un fatto contrario alla legge. E che quindi qualcuno quel fatto lo abbia commesso, ovvero che vi “debba” essere un colpevole che possa o meno essere poi coinvolto in un processo. E’ certamente vero, come suggerisce Morelli, che questa prassi dell’approccio economico al diritto si possa scontrare con l’idea, giuridicamente vincolante, che è unicamente il processo a stabilire tanto l’esistenza di un reato quanto l’eventuale colpevolezza. Se questo è vero, a maggior ragione però occorrerebbe evitare di intervenire prima del processo, trattando diversamente rei e incensurati, in quanto si utilizzerebbe una verità non processuale “prima” che siano accertati fatti, reati e rei. Peraltro, il piano dell’analisi economica del diritto, per la parte che qui rileva, si basa sulla deterrenza ovvero sugli incentivi a commettere o meno un illecito o un reato in funzione delle regole previste. Dunque il modo in cui “funziona” un processo, nonché il sistema di controlli che lo attiva, influenzano gli incentivi a commettere o meno reati, ceteris paribus. Le conseguenze logiche dell’osservazione di Morelli ci paiono, invece, alquanto estreme, se non paradossali.

Marco Pierini e Giorgio Zanarone evidenziano come il problema della giustizia italiana sia dato da un lato dalla inefficiente macchina amministrativa e dall’altro dai lunghi tempi dei processi. E’ su quel piano che occorrerebbe intervenire. Non già eliminando il processo, con incentivi perversi ai rei. ma garantendone il suo svolgimento in tempi accettabili, con incentivi opportuni a tutti gli attori, giudici e avvocati. Magari depurando le opportune esigenze garantiste dal crescente opportunismo da “azzeccagarbugli” volto ad allungare i processi per ottenere la prescrizione dei reati.

DEI DELITTI E DELLE PENE. E DELLE PRESCRIZIONI

La norma sulla prescrizione breve sposta la distinzione tra recidivi e chi viola la legge occasionalmente dal momento della decisione della pena a quello dell’accertamento dell’illecito, riducendo la possibilità di condanna per i criminali incensurati. Non serve a combattere il recidivismo né a introdurre un garantismo efficace. Se nel lungo periodo produrrà un numero inferiore di condannati, ciò non sarà la virtuosa conseguenza di una riduzione delle recidive, quanto il risultato di una minore probabilità di punire chi ha commesso un reato, ma non ha precedenti penali.

Wi – fi tra sicurezza e libertà

Richiesta a gran voce, si avvicina l’abolizione del decreto Pisanu che dal 2005 ha messo fuori legge le reti wi-fi ad accesso anonimo. Non per questo avremo in Italia una diffusione più capillare del wi-fi. Perché in altri paesi il successo della tecnologia senza fili è passato per le reti aperte non anonime, che da noi sono invece bloccate da ostacoli che nulla hanno a che fare con i vincoli della legge. Utile dunque snellire le procedure di accesso, ma meglio ancora agire sulle barriere nascoste.

 

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo per i commenti ricevuti, davvero molto numerosi. Questo articolo fornisce una replica complessiva, affrontando le critiche che sono state più frequentemente sollevate.

L’obiezione più ricorrente è quella secondo cui “anche altri” sono i problemi dell’università italiana. Indirettamente, questa critica conferma che il punto da noi sollevato merita attenzione. Siamo del resto ben consapevoli che ci siano altri nodi da risolvere nell’Università italiana. L’articolo aveva però la finalità di concentrarsi su un solo di questi aspetti: il numero di volte in cui un esame può essere sostenuto. La preparazione dei docenti, la qualità della didattica e della ricerca, l’adeguatezza delle strutture, l’eccessivo numero di corsi, la sovrapposizione dei programmi, la dubbia coerenza di taluni insegnamenti sono tutti temi già ampiamente dibattuti, anche su questo sito. Non averli menzionati non significa pensare che non siano parte del problema. A nostro avviso, però, una riforma del sistema degli esami nella direzione da noi indicata sarebbe una di quelle riforme a costo zero (anzi a risparmio) che indurrebbe infine vantaggi anche e soprattutto per gli studenti. Ci teniamo particolarmente ad enfatizzare il seguente punto. Crediamo che il circolo vizioso in cui ci ha trascinato la possibilità di appello infinito sia il seguente: il basso costo di ripetizione dell’esame induce molti studenti a tentare diverse volte l’esame senza davvero prepararsi adeguatamente per passare al primo colpo; questo, a sua volta, causa un ingolfamento nelle sessioni di appello, al quale molto spesso (purtroppo) molti professori reagiscono abbassando la qualità dell’esame: per non rivedere “le stesse facce” negli appelli successivi, agli studenti viene concesso poco tempo per dimostrare la loro preparazione e a volte essi sono promossi con il famoso 18 politico; questo alla fine genera frustrazione, senso di arbitrarietà e disaffezione verso lo studio: un problema che molti studenti intervenuti nei commenti hanno denunciato. Cosa cambierebbe con un sistema con pochi appelli? Noi crediamo che si innesterebbe un circolo virtuoso tra studenti più preparati e docenti più motivati, generando risultati negli esami che riflettono più fedelmente la preparazione di ciascuno.

Poiché però siamo parte in causa, cogliamo l’occasione per arricchire il “carnet delle riforme a costo zero”, come quella dell’esame unico, con la proposta della pubblicazione on line obbligatoria delle valutazione degli studenti al corso e al docente. Proprio perché auspichiamo un aumento della qualità dell’università italiana, siamo favorevoli alle valutazioni della nostra didattica e della nostra ricerca e non contrari. Come tanti altri giovani ricercatori, sogniamo – e ci aspettiamo – una progressione della nostra carriera basata sul merito. E la misurazione del merito deve passare necessariamente attraverso determinate valutazioni (degli studenti e anche ministeriali). Ci aspettiamo che gli studenti stessi si battano per promuovere il merito nelle Università. Certo, sarebbe auspicabile che anche il sistema di remunerazione dei docenti assecondasse in parte i “meriti didattici” degli stessi. Ad oggi nelle università dove le cose funzionano bene, i docenti trovano motivazioni (in termini di progressione di carriera, di accesso a fondi, etc.) nel fare ricerca mentre in quelle dove le cose vanno male i docenti non hanno alcun incentivo se non la propria volontà e senso del dovere. In entrambi i casi la qualità della didattica non trova spazio. Bisognerebbe trovare delle formule che incentivino i docenti ad essere sia dei bravi ricercatori che dei bravi insegnanti, con tutte le tensioni che un simile trade-off si porta appresso.
Alcuni commenti sottolineano poi che non sia possibile fare confronti con le realtà all’estero perché la realtà nostra è peculiare. Pur facendo salve le specificità del nostro sistema non possiamo però rinunciare a guardare cosa fanno gli altri (tutti gli altri) solo perché il confronto è imbarazzante. Senza scomodare il mondo anglosassone, sistemi universitari molto più vicini al nostro, come quelli tedesco e francese, non hanno l’anomalia dell’esame ad libitum che abbiamo noi. Da questo dato di fatto emerge la domanda: questa peculiarità è un vantaggio o uno svantaggio per gli studenti? Noi pensiamo che sia decisamente uno svantaggio.
Lo studente che si prepara seriamente all’esame dimostra capacità di apprendimento e senso di responsabilità. Questo studente non teme l’appello unico; egli potrebbe però temere la cattiva organizzazione degli appelli e siamo sorpresi che pochi commenti abbiano evidenziato questo fatto. Avere a distanza di pochi giorni (addirittura nello stesso giorno) esami molto impegnativi può essere scoraggiante o psicologicamente pesante per ogni studente (i patiti dei confronti con l’estero sappiano però che in Gran Bretagna – per esempio – questo è la norma). Crediamo che gli studenti debbano pretendere una distribuzione degli esami più razionale.

La critica secondo cui l’appello unico rischia di penalizzare troppo gli studenti è immotivata. Paradossalmente, anzi, rischia di favorirli fin troppo. Il timore è il seguente: se trovo il docente con la luna storta, verrò sicuramente bocciato. Questo ragionamento vale ovviamente per tutti gli studenti. Il risultato sarebbe un appello senza promossi. Cosa potrebbe accadere l’anno seguente? Nota la severità (o lunaticità) del docente, il suo corso, se non addirittura la sua facoltà, non raccoglierebbero più iscritti. Per evitare questo rischio, i docenti potrebbero forse rendere addirittura fin troppo semplice l’esame, per non scoraggiare i nuovi studenti. In mezzo a questi due estremi, crediamo che con l’appello unico si avrebbero una buona percentuale di studenti promossi e piccole percentuali di studenti bocciati e promossi con lode.

Molte obiezioni riguardano gli studenti lavoratori. Lo studente lavoratore in genere è fuori corso non perché prenda poco seriamente gli esami (per la nostra esperienza infatti, l’impegno e la motivazione di uno studente lavoratore sono mediamente superiori a quelli di uno studente non-lavoratore) ma perché spesso i corsi di laurea sono pensati ed organizzati solo per studenti a tempo pieno.  A nostro avviso la strada da percorrere è quella battuta dall’università di Trento che chiede agli studenti diverse modalità di iscrizioni a seconda che essi siano studenti full o part time. Da questi ultimi ci si aspetta ovviamente ritmi di progressione più lenti, ma questo ha poco o nulla a che fare con la cadenza degli appelli e la possibilità di ripetere gli esami all’infinito e rifiutare i voti positivi. Un’obiezione simile vorrebbe che una riforma siffatta bloccasse l’accesso delle classi meno abbienti all’università. Francamente ci sembra un passaggio ardito. Crediamo che chiedere agli studenti di prepararsi bene per l’esame e programmare con un po’ più di anticipo questa preparazione sia benefico in primo luogo per gli studenti stessi, che infine riuscirebbero, nella maggioranza dei casi, a finire il loro percorso in minor tempo. Sono anzi gli studenti delle classi più abbienti quelli che possono concedersi di rimanere parcheggiati in Università ed espugnare infine un titolo con la strategia della stanchezza solo perché l’istituzione non vede l’ora di liberarsi di loro. A questo ultimo punto si collega una metafora usata in uno dei commenti che ci è piaciuta molto: la metafora sullo studio universitario inteso come “corsa” opposta allo studio visto come “tiro al bersaglio”. Facciamo solo notare che anche nelle gare di tiro al bersaglio vi è un tempo massimo oltre al quale l’avere fatto centro o meno perde di significato.

LA LOTTERIA ITALIA DEGLI ESAMI

In Italia è molto semplice per gli studenti ripetere più volte un esame universitario finché non lo  passano, magari con un buon voto. Ma tutto ciò ha costi alti. Per gli stessi studenti perché si allunga il percorso di studio. Per i docenti che all’esamificio devono dedicare tempo e risorse. E alla fine, poi, si toglie ogni contenuto informativo al voto di laurea. La soluzione è una riduzione drastica degli appelli. Ma potrebbe funzionare anche un innalzamento delle tasse per i “ripetenti” e i fuoricorso.

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