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Autore: Giovanni Pica

Ph.D. in economia presso l'Universitat Pompeu Fabra di Barcellona e dottorato in matematica per l'economia presso l'università Federico II di Napoli, Giovanni Pica è professore di economia all'Università della Svizzera italiana. In precedenza, ha ricoperto posizioni presso l'Università degli Studi di Milano, l'Università degli Studi di Salerno e l'Università di Southampton. È affiliato al Centro Studi Luca D'Agliano, allo CSEF, al Centro Baffi and alla fRDB. La sua attività di ricerca si concentra sull'economia del lavoro, con particolare attenzione al ruolo delle imperfezioni di mercato e della regolamentazione.

Il problema delle professioni è l’auto-regolamentazione

Le riforme della regolamentazione delle professioni dovrebbero seguire principi specifici per ogni mercato. Ma tutte dovrebbero abbandonare il presupposto dell’auto-regolamentazione, in particolare nella definizione delle norme di pratica professionale.

Non è un mercato del lavoro per giovani

La disoccupazione giovanile continua a essere un problema irrisolto in Italia. Se in generale l’occupazione aumenta, seppur lentamente, non si può dire altrettanto per le fasce d’età più giovani. Neanche il Jobs act ha dato gli effetti sperati. Il problema della lunga transizione scuola-lavoro.

Geografia della mobilità sociale in Italia

Una società con più mobililità sociale è anche una società più prospera? A giudicare dalle province italiane sembra di sì perché dove la mobilità è più bassa sono più bassi anche il reddito e il grado di scolarizzazione, mentre è più alta la disoccupazione. Le correlazioni da approfondire.

MISSIONE QUALITÀ PER LE PROFESSIONI

La regolamentazione dei servizi professionali si giustifica solo se garantisce un’elevata qualità dei servizi. Obiettivo che non è stato raggiunto con le attuali normative. Ecco perché si discute di liberalizzare le professioni. L’evidenza empirica dimostra che limitare il potere degli operatori presenti sul mercato non ha un impatto negativo sulla qualità. Gli ordini, se vogliono sopravvivere, devono tornare al loro compito originario. E servono misure per stimolare la concorrenza e garantire una rigorosa selezione degli aspiranti professionisti.

TUTELIAMO IL REDDITO, NON IL POSTO FISSO

I vincoli ai licenziamenti previsti dalle normativa italiana hanno lo scopo di assicurare il lavoratore contro le possibili fluttuazioni del mercato del lavoro e trasferirne il peso sull’impresa che può neutralizzarle con maggiore facilità. Ma ai vantaggi di una maggiore stabilità dell’impiego corrispondono i costi di una più lunga durata della disoccupazione e di minori salari. Senza contare i diversi modi per aggirare la legislazione, un problema che la crisi ha reso ancora più evidente. Meglio allora ripensare l’intero modello.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo tutti i lettori per i commenti. Dimostrano che le imposte sulle successioni sono un tema caldo e che suscita opinioni fortemente contrastanti.
Un primo gruppo di commenti comprende quelli che hanno osservato che l’effetto trovato potrebbe essere dovuto ad un effetto di ricomposizione della ricchezza (gli individui potrebbero aver riallocato la ricchezza verso beni immobili in risposta alla riforma) o all’emersione del sommerso. Entrambi i commenti sono corretti. Con i dati a disposizione non possiamo distinguere tra queste ipotesi, come sottolineato nella versione completa dell’articolo al quale rimandiamo. Tuttavia, il fatto che quasi il 90 percento della ricchezza complessiva degli anziani sia detenuta sotto forma di immobili induce a pensare che è improbabile che l’effetto riallocazione spieghi tutta l’evidenza. Per quanto riguarda invece l’emersione del sommerso può essere utile sottolineare che l’analisi non si basa su dati di origine fiscale ma su un’indagine (l’Indagine sui Bilanci delle Famiglie della Banca d’Italia) nella quale gli individui hanno garanzia di anonimato e non hanno motivo di mentire. Ciò dovrebbe far sì che gli individui non abbiano una maggiore propensione a dichiarare di aver ricevuto un immobile in eredità dopo la riforma o, quanto meno, che eventuali differenze siano simili tra famiglie ricche e povere.
Un secondo gruppo di commenti include detrattori (l’imposta è ingiusta e in ogni caso ha un ruolo marginale a causa del basso gettito) e fautori dell’imposta (si tratta di un’imposta progressiva che riduce la diseguaglianza e promuove la mobilità). Su questo non intendiamo entrare nel merito. Ci limitiamo ad osservare che i trasferimenti intergenerazionali sono soggetti a tassazione nella gran parte delle economie sviluppate, e particolarmente negli Stati Uniti d’America e che, nonostante producano un gettito che raramente supera l’1 percento delle entrate fiscali complessive, sono spesso al centro del dibattito pubblico. Per i favorevoli esse aumentano la mobilità intergenerazionale, per i contrari riducono l’accumulazione di capitale.Il punto che ci interessa sollevare è che il dibattito avviene in assenza di riferimenti fondamentali: stime attendibili dell’effetto delle imposte di successione sui trasferimenti intergenerazionali, e quindi sulle entrate fiscali, sull’accumulazione di capitale, sulla trasmissione della ricchezza e sulla mobilità intergenerazionale. Crediamo che disporre di una misura dell’effetto delle imposte di successione sulla propensione a trasferire ricchezza ai propri eredi possa aiutare a rendere il dibattito più trasparente.
Infine al commento del lettore Vittorio Serito rispondiamo che in effetti, come precisato nell’articolo, le imposte di successione sono state reintrodotte per i grandissimi patrimoni alla fine del 2006 (legge 296/2006) e che i fattori da lui menzionati (l’evoluzione del mercato immobiliare e l’evoluzione dei valori catastali) sono senz’altro importanti. Nell’analisi condotta nella versione completa dell’articolo se ne tiene adeguatamente conto.

UNA TASSA CONTRO LA SOCIETÀ INGESSATA

Una delle poche riforme fiscali varate in Italia nell’ultimo decennio ha riguardato le imposte sulle successioni che sono state, in maniera bipartisan, sono state prima diminuite nel 1999-2000 e successivamente abolite nel 2001 dal governo Berlusconi. I dati della Banca d’Italia consentono di valutare l’impatto della riforma sulla propensione a lasciare immobili in eredità. La nuova norma ha aumentato significativamente i trasferimenti intergenerazionali consegnando un paese ancora più immobile e diseguale. Certamente non una buona notizia.

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