L’automazione dei processi produttivi cambia il mercato del lavoro. Offre anche opportunità. Ma le competenze necessarie a svolgere le nuove professioni sono diverse da quelle dei lavoratori attuali. E i giovani rispondono iscrivendosi all’università.

Robot e il mercato del lavoro

Sull’impatto delle nuove tecnologie sul mercato del lavoro il dibattito è aperto ormai da diversi anni, alimentato dalla crescente preoccupazione che molte delle mansioni svolte dagli esseri umani possano essere automatizzate.

I robot industriali sono senza dubbio tra le tecnologie di automazione che negli ultimi decenni hanno rivoluzionato i processi produttivi. In particolare, si tratta di macchine che possono essere programmate per svolgere autonomamente attività manuali (per esempio, assemblaggio, movimentazione dei materiali, imballaggio e saldatura) e sono utilizzate principalmente nell’industria automobilistica, elettronica e dei metalli. L’International Federation of Robotics stima che lo stock globale di robot sia aumentato da 500 mila a 2,7 milioni di unità negli ultimi trent’anni. I paesi maggiori utilizzatori sono la Corea del Sud e il Giappone dove, ogni mille lavoratori, vengono impiegati rispettivamente 10 e 5 robot. A queste tecnologie però si fa sempre più ricorso anche in Europa, in particolare in Germania e Italia, e negli Stati Uniti (Figura 1).

Gli studi più recenti mostrano che l’adozione di robot industriali nei processi produttivi ha ridotto l’occupazione in diverse industrie. Tuttavia, va sottolineato che non tutti i lavoratori sono ugualmente esposti al rischio di essere rimpiazzati. In particolare, ben nove su dieci di coloro che svolgono un lavoro a rischio automazione non sono laureati e si tratta generalmente di lavoratori impiegati nel settore manifatturiero. Al contrario, gli individui con istruzione terziaria spesso svolgono mansioni che richiedono qualità cognitive nella loro esecuzione e che pertanto sono difficilmente automatizzabili.

Il progresso tecnologico porta con sé anche elementi positivi, come l’aumento della produttività di processi esistenti e la creazione di nuovi lavori. Le nuove occupazioni spesso richiedono però l’interazione dell’uomo con macchine e algoritmi e non possono essere eseguite dai lavoratori spiazzati a causa della mancanza di competenze specifiche.

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L’impatto sul livello di istruzione negli Stati Uniti

Negli ultimi trenta anni si è assistito a una forte crescita del numero di laureati. Negli Usa, la quota della popolazione con almeno una laurea triennale (Bachelor’s degree) o una laurea biennale (Associate’s degree) è aumentata del 50 per cento (Figura 2).

Nel nostro studio “Automation and Human Capital Adjustment: The Effect of Robots on College Enrollment”, analizziamo il contributo dell’automazione alla crescita dello stock di capitale umano negli Stati Uniti. L’analisi è condotta a livello di mercato del lavoro locale (commuting zone). Queste unità corrispondono ad aggregazioni di contee adiacenti, caratterizzate da grandi flussi pendolari al loro interno. I nostri risultati mostrano che un aumento dei robot impiegati nel mercato del lavoro motiva gli individui a investire in istruzione terziaria. In particolare, per ogni robot addizionale, cinque individui si iscrivono all’università. Il risultato deriva dal fatto che l’utilizzo di robot da parte delle imprese contribuisce all’aumento delle differenze salariali tra laureati e non laureati, inducendo i lavoratori ad acquisire ulteriore capitale umano allo scopo di risultare più competitivi sul mercato del lavoro. Il differenziale salariale aumenta in quanto l’utilizzo di robot incrementa la domanda di lavoratori laureati, a essi complementari (effetto di produttività), e riduce la domanda di lavoratori non laureati, a essi sostituti (effetto di spiazzamento).

L’aumento del numero di iscritti all’università è concentrato nella fascia d’età che va da 18 a 35 anni. È pertanto plausibile che si tratti in gran parte di individui che, pur non essendo direttamente rimpiazzati dai robot, osservano il divario salariale e decidono di acquisire un livello di istruzione più elevato. Dall’analisi emerge anche che questi individui scelgono prevalentemente istituzioni che forniscono una laurea biennale con corsi specifici alle esigenze della comunità locale (community colleges). Infine, se si guarda alla scelta del corso di laurea, in linea con lo scenario descritto finora, troviamo che i nuovi studenti preferiscono corsi di studio che siano complementari o indifferenti rispetto all’automazione (ingegneria, scienze informatiche, ma anche economia e altre scienze sociali).

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Investire nella formazione

L’utilizzo dei robot e di altre tecnologie sostitutive del lavoro umano è destinato a rivoluzionare i processi produttivi del futuro. Non si tratta necessariamente di una brutta notizia. Infatti, l’utilizzo di queste tecnologie crea costantemente nuove occupazioni che richiedono l’intervento umano. Tuttavia, le competenze necessarie a svolgerle sono diverse da quelle possedute dai lavoratori attuali. I nostri risultati mostrano che gli individui hanno già cominciato ad aggiustare il loro livello di istruzione per stare al passo con la nuova domanda di lavoro. In questo scenario, il legislatore dovrà gestire la transizione verso il mercato del lavoro del futuro, investendo nella formazione della nuova forza lavoro e nella riqualificazione di quella “vecchia”. Infatti, l’istruzione ha il potere di mitigare l’impatto occupazionale delle nuove tecnologie senza ridurne i benefici in termini di produttività. Il mondo del lavoro sta cambiando, ma questo non significa che abbiamo perso nella nostra gara contro le macchine.

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