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Quando il gioco si fa duro

Dal 2000 a oggi c’è stato in Italia uno sviluppo esponenziale del gioco d’azzardo, che oggi garantisce allo Stato entrate per 8 miliardi. Ma i costi economici e sociali derivanti dalla crescita delle ludopatie saranno ben superiori. Necessaria una rigida regolamentazione di slot machine e affini.

I NUMERI IN GIOCO
Il finanziamento dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa anche attraverso la sanzione per i gestori delle sale da gioco e la mozione della Lega che impone una moratoria di dodici mesi sull’istallazione di nuove slot in luoghi aperti al pubblico hanno riportato all’attenzione dei media la dimensione economica raggiunta dal fenomeno delle scommesse in Italia.
Si stima che gli italiani abbiano giocato “lecitamente” nel 2012 circa 87,1 miliardi di euro (primi in Europa e terzi nel mondo), che, al netto delle vincite, hanno generato per l’industria dell’azzardo una raccolta “netta” di 17,4 miliardi (1,1 per cento del Pil), di cui 8 miliardi versati allo Stato sotto forma di entrate erariali. (1) Se a questo aggiungiamo la stima di circa 10 miliardi di gioco illegale, si arriva a 97 miliardi (più del 6 per cento del Pil) di raccolta “lorda”. (2) Un’industria, quella del gioco d’azzardo, che conta su circa 6mila aziende che impiegano 120mila addetti e una struttura di vendita capillarmente diffusa su tutto il territorio nazionale: non solo sale gioco, ma anche e soprattutto le migliaia di bar dove sono localizzate le “macchine”, le famigerate slot machines.
È stata una deregolamentazione selvaggia iniziata nel 2000 che nel giro di pochi anni ha trasformato l’Italia in un casinò a cielo aperto: in Italia le slot sono 400mila, negli Usa sono 800mila (stima 2007). I dati di gioco, calcolati per Regione e pro-capite, completano il quadro epidemiologico del fenomeno: si va dai 1.473 euro pro-capite annui dell’Abruzzo agli 877 euro della Basilicata. La città che detiene il primato della spesa pro-capite è Pavia, con 2.123 euro.
esposito gioco
LA CRESCITA DELLE LUDOPATIE
L’Italia rappresenta un grande esperimento sociale, anche per valutare le conseguenze a lungo termine dell’inserimento del gioco d’azzardo nella quotidianità. Il “machine gambling” (slot, Vlt, poker e casinò on-line), che costituisce ormai il 62 per cento totale giocato, non è molto diverso nel suo design e nella sua modalità di fruizione dai videogiochi: luci, colori, effetti sonori, pulsanti, si gioca da soli, anche su Internet. Ma se un bambino a Las Vegas prova a avvicinarsi ad una slot, interviene la security del casinò e allontana lui e i suoi genitori. In Italia, invece, il 50 per cento delle slot sono installate nei bar, davanti a scuole, ospedali, nei centri commerciali. Non esiste alcuna regolamentazione per quel che riguarda la localizzazione, la pubblicità, gli orari di apertura.
Il machine gambling è anche la forma di gioco più pericolosa per lo sviluppo del gioco d’azzardo patologico, una forma di dipendenza, ufficialmente riconosciuta dall’Oms, che non a caso in Italia è trattata nei Sert, e non potrebbe essere diversamente. In un bel libro, non ancora tradotto in italiano, “Addiction by Design”, l’antropologa Dow Schull del Mit, dopo venti anni di ricerche sul campo a Las Vegas, descrive tutte le tecniche utilizzate per costruire locali e macchine in grado di “massimizzare i profitti”, che per l’industria del gioco significa massimizzare tempo e frequenza di gioco, mentre per gli psicologi significa massimizzare la dipendenza.
Non stupisce che il fenomeno della ludopatia, sconosciuto fino a pochi anni fa, stia esplodendo. Estrapolando studi clinici americani, si stima che la percentuale dei giocatori problematici (la forma pre-patologica) vari dall’1,3 al 3,8 per cento della popolazione generale e quella dei giocatori patologici vada dallo 0,5 al 2,2 per cento. Ne deriva che in Italia le persone a rischio di sviluppare forme di dipendenza sono tra le 300mila e i 1.300mila. Come accade anche per altre tipologie di dipendenza, quella da gioco si accompagna all’uso di sostanze tossiche. Tra le persone che giocano almeno una volta al giorno, la percentuale di uso di droghe è circa quattro volte superiore alla norma.
Curare i soggetti dipendenti, sostenere le famiglie in difficoltà, contrastare la criminalità che si sviluppa attorno ai soggetti dipendenti sono attività che generano oneri finanziari oggi sostenuti principalmente dalle strutture locali (comuni, Asl, forze di polizia), ma che inevitabilmente tracimeranno sul bilancio nazionale mano a mano che l’epidemia progredisce. Non si hanno stime attendibili a livello nazionale sul numero di pazienti in cura per la patologia del gioco d’azzardo, perché, trattandosi di una nuova forma di dipendenza, le strutture, anche quelle informatiche, non sono pronte e omogenee su tutto il territorio. Ad esempio, per una Regione grande come la Toscana non ci sono dati. Se prendiamo a riferimento la Lombardia, dal 2011 al 2012 il numero di pazienti trattati nei Sert per disturbi da gioco patologico è aumentato del 40 per cento, da 1.096 a 1.477. Fino a pochissimi anni fa, non esistevano. Quali saranno i costi quando i pazienti saranno nell’ordine delle decine di migliaia? Per non parlare dello spreco di capitale umano, dell’impatto sociale sulle famiglie e le comunità, delle risorse che la polizia e la magistratura dovranno dedicare al contrasto dell’illegalità che inevitabilmente si accompagna alla diffusione di nuove forme di dipendenza.
Come nel caso delle sigarette, il gioco d’azzardo va rigidamente regolamentato. Questo non vuol dire sposare un approccio ciecamente “proibizionista”. Le proposte non mancano, si veda la relazione del dipartimento politiche antidroga. Nel breve termine, l’erario perderà qualcosa, ma non è nulla rispetto a quanto perderemo nel lungo periodo continuando a dedicare l’1,1 per cento del Pil a un’attività sterile e dannosa, ancorché lecita.
 (1) I dati sono ripresi rispettivamente dalla, “Relazione annuale 2013” del dipartimento politiche antidroga e dal “Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica” 2013 della Corte dei Conti,
(2) Associazione Libera, “Azzardopoli”, gennaio 2012

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  1. Luca D'Antonio

    Ogni volta che vedo spuntare l’ennesimo slot-negozio al posto di vecchi o storici esercizi commerciali nella città dove vivo, Firenze o in altre del sud, del nord, isole, a volte facendo scempio di pezzi di quartieri, c’é una sorta di angoscia che mi assale. E’ semplicemente criminoso e direi malvagio aver legalizzato il gioco d’azzardo. Si stanno creando dei mostri, i nuovi zombies o peggio gente violenta sparsa in ogni dove
    che ti trovi a pochi metri fin dalla mattina al bar mentre fai colazione.
    Lo Stato, o ció che ne rimane, non puó permetterlo e non deve. I danni che questa truffa che é la politica all’italiana sta facendo al Paese, al nostro presente e al futuro dei nostri figli evidentemente non sono colti dalla maggior parte degli italiani – un popolo composto in larga parte di ignoranti che vorrebbero definirsi di destra- altrimenti la rivolta sarebbe scoppiata da tempo…

  2. Luca D'Antonio

    e complimenti per il suo articolo lo trovo molto utile e interessante

  3. Davide

    Mi chiedo se il gioco d’azzardo sia così conveniente alle casse dello stato o questa normativa sia solo di aiuto ai soliti amici…
    Se quei soldi venissero utilizzati semplicemente in consumi ci sarebbero introiti sotto varie forme (iva, imposte sul reddito etc.) e senza gli alti costi sociali connessi al gioco.

  4. Davide Roccati

    Buongiorno, intanto complimenti per l’articolo. Vi chiedo però se sia possibile sapere come è stato calcolato (o meglio, stimato) il dato cittadino. Infatti, l’AAMS riporta come massimo livello di disaggregazione quello regionale. Grazie

    • Marcello Esposito

      La fonte è costituita ad esempio dagli studi dell’associazione Libera. Comunque l’AAMS censisce tutti i punti “vendita” (disponibili sul suo sito), Quindi, se lo desidera ritengo che con una semplice richiesta all’AAMS sia possibile avere una disaggregazione del giocato a qualunque livello geografico-amministrativo.

  5. Nino

    L’impressione che ricavo quando vedo le persone che si avvicendano nei tabaccai e nei bar in attesa del colpo fortunato è che … lo Stato si finanzi attraverso questa dipendenza, cioè mi sembra che per età e “divise” sociali, il giocatore medio è pensionato e quindi lo Stato si riprenda con la destra cio che elargisce con la sinistra. Si tratta di un impressione o costituisce il vero? Come si interviene su questa categoria? Lo Stato già si finanzia attraverso il fumo e l’alcool, vere piaghe sociali. Ma abbiamo una specie di istinto autodistruttivo in cui al singolo è concesso praticamente tutto a danno delle famiglie e dell’associazionismo?

    • Marcello Esposito

      L’intuizione è corretta. Le fasce di popolazione più a rischio sono quelle psicologicamente o economicamente più fragili. Quindi, pensionati, disoccupati e giovani.

  6. Emmanuele M. Cangianelli

    Articolo che parte da presupposti corretti ma – forse perchè fa riferimento a fonti sì pubbliche, ma parziali – non mette a fuoco il vero problema: non l’offerta (già “rigidamente regolamentata” dal 2004 in poi!) ma la domanda.
    Sarebbe necessario che una parte delle ingenti risorse finanziarie ancora incassate dallo Stato fossero destinate non alla fiscalità generale ma – oltre che a finalità sociali come scopo principale – ad efficaci campagne di marketing pubblico ed a controlli effettivi sul territorio: non solo delle sale autorizzate (facile destinazione dei controllori) ma dell’ancora florido gioco illegale.
    Diversamente, i risultati comunque raggiunti in termini di controllo pubblico e di sicurezza del giocatore (per quanto “perditempoperdisoldi”…) potrebbero risultare vani.
    Ribadisco, comunque, l’esigenza di dotarsi di strumenti informativi validi e non del copia&incolla di studi americani: vendereste pizze in Italia basandovi su studi del mercato USA?
    Ma non mi pare che queste siano le politiche adottate recentemente dai governi in carica…

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