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Produttività, un problema italiano

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Fonte: Oecd
Al di là delle differenze su temi quali l’euro, le riforme del lavoro o delle pensioni, quasi tutte le parti politiche e sociali sembrano essere d’accordo sul fatto che per far uscire l’Italia dalla crisi economica sia necessario aumentare la produttività. E infatti questo è il vero problema. Il grafico riporta la misura più semplice di produttività che si possa calcolare in modo comparabile tra paesi, ovvero il prodotto interno lordo per ora lavorata. Si tratta del rapporto tra il valore complessivo della ricchezza prodotta da un paese e il numero totale di ore di lavoro effettuate nel corso dell’anno. In altre parole, tale rapporto misura il valore di quanto in media un lavoratore produce in un ora di lavoro. Il 2012 è l’anno più recente per il quale l’OCSE mette a disposizione dati di questo tipo in forma comparabile tra paesi. Come si vede, rispetto ai nostri maggiori partner economici, l’Italia ha la produttività del lavoro più bassa. In un’ora di lavoro il lavoratore medio italiano produce beni o servizi per un valore di circa 37 dollari (a prezzi 2005 e tenendo conto delle differenze nel potere d’acquisto tra paesi). Negli Stati Uniti lo stesso indicatore si attesta a oltre 56 dollari, più del 50% in più. Francia e Germania sono a pari merito intorno ai 50 dollari, sempre un consistente vantaggio di quasi un terzo sull’Italia. Ma anche la Spagna, che pure ha subito fortemente la grande recessione, ha una produttività di circa 41 dollari per ora lavorata, il 10 per cento in più di noi. È un bene quindi che ci sia consenso sul fatto che la bassa produttività sia il problema chiave dell’Italia. Le differenze riemergono in fatto di proposte per migliorare la situazione ma è necessario trovare un accordo in tempi brevi per evitare di perdere ancora terreno rispetto agli altri.

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12 commenti

  1. Massimo Matteoli

    I dati sono seri e, purtroppo, ormai noti da tempo.
    Da non economista mi domando però come è possibile che le imprese italiane, mentre vedevano aumentare il gap di produttività, anno dopo anno segnavano ( e continuano anche adesso) record su record nell’export, cioè proprio su quei mercati in cui la concorrenza è massima.
    Per quali misteriosi motivi la minore produttività che queste ricerche segnalano non ha prodotto, come sarebbe stato logico, difficoltà nelle vendite?
    La mia impressione, ripeto da semplice osservatore, è che questi studiosi siano troppo attenti ai dati macroeconomici e non siano in grado di comprender la forza vera delle piccole e medie imprese italiane e e dei distretti industriali ove operano le migliori di esse.
    D’altra parte è difficile dargliene conto visto che troppo spesso nemmeno da noi, a cominciare da Governo e Parlamento, ci riusciamo.

    • nextville

      Fatto un grande elogio a quelle imprese italiane che riescono a resistere nonostante tutte le zavorre e riescono a tenere benissimo la concorrenza internazionale, bisogna ricordare che questo è solo un segmento, e non rappresenta il totale che ha invece gravi problemi. Il mercato globale è molto cresciuto negli ultimi 15-20 anni, ma l’Italia è riuscita a conquistarne una fetta comparativamente minore degli altri paesi eurozona ed è vasta l’area di imprese che non si è aperta alle economie emergenti e all’integrazione globale.

    • Marziano Sgro'

      La soluzione del rebus (Bassa produttività/Buone Esportazioni) sta nella piccola dimensione media delle aziende italiane rispetto a quelle dei paesi presi a raffronto. Le piccole aziende hanno costi di struttura molto più bassi che permettono prezzi competitivi in campo internazionale per lo meno per prodotti di nicchia, ma al contempo spiegano la bassa produttività che è direttamente correlata ai prezzi di vendita.

    • Enrico

      Premetto che anch’io non sono un economista e di seguito riporto la mia interpretazione di produttività (probabilmente ci saranno imprecisioni).
      La produttività non è collegata all’export in linea diretta anche se certamente lo facilita e supporta. Faccio riferimento al commento di Manshoon: è il valore aggiunto del prodotto ad incidere sulla produttività; un esempio:
      supponiamo sia possibile costruire un auto in 1 ora, se ci sono 2 operai di cui uno costruisce in quell’ora una panda e l’altro una mercedes, entrambi hanno costruito un’auto, ma il prodotto mercedes ha un valore aggiunto superiore in quanto il livello tecnologico, di brand etc permette di venderlo ad un prezzo superiore. Quindi il secondo operaio ha una produttività maggiore.

  2. Mario

    Cause?

    • Manshoon

      L’Italia vende prodotti a basso/bassissimo valore aggiunto. Chi ha investito per fare prodotti migliori li può vendere più cari. E la produttività per ora lavorata sale.

  3. Manshoon

    Se il paese A produce tappi di sughero e il paese B produce strumenti finanziari derivati quale paese avrà la più alta produttività per ora lavorata? Per aumentare la produttività il metodo più efficace si chiama “ricerca e sviluppo”: prodotti migliori che possono essere venduti ad un prezzo maggiore.

  4. Francesco Tartarini

    Scusate ma il costo in termini di tempo della burocrazia è valutato ?

  5. chinacat

    “Il 2012 è l’anno più recente per il quale l’Ocse mette a disposizione dati di questo tipo in forma comparabile tra paesi”
    Prof. Pellizzari, quel grafico si riferisce solo al 2012?

  6. Joe

    Se io produco un bene ma questo rimane in magazzino perché non lo vendo, viene comunque considerato il bene prodotto oppure no? Visto che siamo in una crisi di domanda mi chiedo se la l’indice di produttività non sia influenzato dal fatto di non vendere il bene prodotto.

  7. Joe

    Siamo in una crisi di domanda. Dunque se io produco ma non vendo la mia merce vengo visto come non produttivo? Se ho il magazzino pieno di beni ma non riesco a venderli vengo visto come improduttivo, secondo i parametri con cui sono stati fatti questi grafici. Ovvio a questo punto che se i miei prodotti costano troppo non riesco a venderli e rimango improduttivo. Sbaglio?

  8. Maurizio Cocucci

    Il concetto di produttività mi sembra che venga talvolta male interpretato. Esso, riferito ad una nazione, non determina la ‘bravura’ dei lavoratori di uno Stato rispetto ad un altro perché ha un livello di produttività più alto, ma semplicemente determina il livello di benessere che il Paese raggiunge. La figura inserita in questo articolo non comporta che i lavoratori americani o tedeschi siano più ‘bravi’ o più ‘veloci’ degli italiani, ma che negli Stati Uniti o in Germania per ogni ora lavorata si ottiene un valore aggiunto superiore rispetto all’Italia e quindi vi è un maggiore livello di ricchezza da distribuire e facilmente il livello di benessere sarà anch’esso maggiore. Confrontare la produttività tra due aziende che producono lo stesso prodotto è relativamente semplice, ma se lo si vuole fare per un settore economico o un’area geografica (regione, nazione) occorre un minimo comune denominatore visto che qui non si mettono assieme mele con pere, ma addirittura mele con pneumatici. Ecco quindi la necessità di ricorrere alla misurazione del valore aggiunto (ricavi meno costi) per unità di tempo occorsa per produrlo (ora). Non è quindi corretto pensare che vendendo un prodotto più costoso, anche a parità di tempo impiegato, la produttività risulti maggiore. Ad esempio posso vendere una automobile a 30 mila euro ma che mi è costata complessivamente 25 mila e in un secondo Paese si vende una diversa autovettura al prezzo di 15 mila ma che è costata in termini di manodopera e capitale impiegato 5 mila. Il valore aggiunto in questo secondo esempio è maggiore e se le ore impiegate fossero le stesse anche la produttività risulterebbe maggiore da cui deriverebbe un maggiore livello di benessere. Il problema del nostro Paese è che nel totale delle ore prodotte vendiamo beni e servizi ad un valore aggiunto inferiore rispetto ad altri e quindi questo comporta un livello inferiore di ricchezza da distribuire e quindi di benessere generale.

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