Esce nelle librerie “Luigi Spaventa, un economista civile”. Per ricordare il grande economista a quasi un anno dalla scomparsa. E per ripercorrere una storia eccezionale, divisa tra impegno accademico, politico, istituzionale e gli affetti. Pubblichiamo qui l’introduzione.
spaventaIl 6 gennaio 2013 è scomparso Luigi Spaventa. Uomo colto, vivace e appassionato. Un amico e una persona instancabile che, grazie al suo impegno e alla profonda preparazione, ha lasciato un segno importante nella storia del nostro Paese.
L’idea di realizzare questo libro è nata spontaneamente alla fine della celebrazione delle esequie nella Basilica di San Lorenzo Fuori Le Mura, con Francesco Giavazzi e, successivamente, con Carlo Favero. Molti gli amici, incluse le più alte cariche istituzionali, intervenuti per rendergli omaggio. La commozione e la sincera partecipazione che si percepiva quel giorno ha dato il la al lavoro. Questo libro nasce proprio per ricordarlo. Non solo per ripercorrere insieme una storia eccezionale, divisa tra impegno accademico, politico, istituzionale e gli affetti; ma anche per condividere il ricordo da parte di chi ha avuto la fortuna di conoscerne le passioni e confrontarsi con lui.
Luigi Spaventa aveva una passione speciale per individuare e coltivare i talenti, valorizzandone il lavoro. Rigoroso con se stesso e con gli altri, s’illuminava quando vedeva dei germogli sbocciare. Nel suo giardino di Tivoli, come nella vita. Luigi aveva un acume e una sensibilità tutta speciale nel discernere le qualità nei giovani e nei meno giovani, con cui dialogava nelle poliedriche funzioni che la vita gli aveva fatto assumere. Ma in un campo eccelleva in modo unico: riconoscere la qualità tra i giovani economisti. Incoraggiarli, promuoverli e indirizzarli erano compiti che svolgeva con naturalezza. Quasi una missione. Riconoscere il merito era l’unico fattore discriminante nelle sue scelte. Dialogava con tutti coloro che – indipendentemente dalle idee – offrivano spunti di riflessione originali e basati su analisi rigorose. Discuteva sempre volto al riconoscere la qualità e la capacità di arricchire il confronto. In compenso diventava burbero e spazientito quando s’incrociava con la mediocrità. Sono sempre più i giovani di talento che espatriano per cercare miglior fortuna all’estero, a cui il nostro Paese non offre adeguate opportunità e incentivi a tornare. Luigi è, anche in questo, segno di speranza: dopo gli studi a Cambridge e con brillanti prospettive all’estero, ha preferito rientrare e lavorare in Italia, nonostante le difficoltà, e ha formato decine di studenti che danno lustro all’Italia.
Era un uomo di grande generosità, capace talvolta di taglienti asprezze. Nelle istituzioni che ha presieduto si dedicava ai contenuti dove poteva contribuire al meglio, prediligeva il volare alto, le grandi idee, delegando gli aspetti operativi (talvolta con un eccesso di fiducia). Tra i pochi economisti italiani di fama internazionale, ha sviluppato un legame molto stretto con la Gran Bretagna, anche grazie alla presenza al suo fianco della moglie Clare, compagna di tutta la sua vita. Insieme sono tornati da Cambridge e insieme hanno percorso un lungo cammino, allietato dalla nascita di tre figli.
Nella lettura, dava sfogo al suo perfezionismo. Quasi un esegeta, cui nulla sfuggiva. In un articolo accademico, come in quello di un giornale. Con una capacità critica sempre lineare e asciutta. E con un forte senso pratico. Mal sopportava i commentatori che definiva «benaltristi» (che asserivano ad esempio: «Ben altri sono i problemi che affliggono il capitalismo italiano…»), li attaccava dicendo: «Ci dicessero loro come si fa la rivoluzione…». Stessa impazienza provava per quei critici che dicevano sempre che è troppo e non troppo poco.
Appassionato. Sarcastico. Anche burbero. La sua intelligenza, il suo rigore morale e intellettuale illuminavano il suo sguardo, i suoi occhi vivaci e dolci. L’ironia, anche pungente, non lo abbandonava mai. Amava discutere di politica, economia e finanza, certo. Ma anche di musica, di montagna, della Roma di cui era tifoso, dei suoi amati cani. Mi ricordo di come, dopo aver ricevuto in regalo due guinzagli di Gucci, con snobismo mai supponente aveva esclamato divertito che li avrebbe d’allora in avanti chiamati i suoi «guccioli». Rimase invischiato nel crack dei bond argentini su cui aveva fatto qualche piccolo investimento convinto che, alla luce dei fondamentali e se governato in modo appropriato, quel Paese avrebbe potuto e dovuto evitare il default. Come sempre l’ironia lo sosteneva: «Ormai è una questione che riguarderà i nipotini…». Ancora: presentato a una platea di banchieri, con il nuovo titolo di presidente del Monte dei Paschi di Siena, e apostrofato pertanto come banchiere, lui stesso interrompeva l’oratore che lo stava annunciando pregando di non offenderlo con quell’epiteto.
Ironico sì, ma sempre con l’occhio lungimirante. In un Forum Analysis a porte chiuse del settembre 2004 – una mia iniziativa cui aveva collaborato sin dall’inizio, nel 1988 – si domandava perché l’industria italiana fosse in declino da ben prima dell’11 settembre e perché stessimo perdendo colpi rispetto agli stessi Paesi europei. Individuava chiaramente il punto chiave:
Col cambio fisso, l’Italia aveva avuto una rivalutazione reale molto pesante del costo del lavoro. L’andamento dei salari nominali e reali non poteva però esserne la causa. Trattandosi di un rapporto, il problema del Paese doveva necessariamente essere la scarsa produttività.
E concluse: «Quella che stiamo vivendo è un’onda lunga: le vere soluzioni si potranno avere solo con un programma di medio termine articolato e con molto, molto coraggio». Ahimè, spesso inascoltato.
Amava il suo Paese. Ne era sempre orgoglioso, anche quando era in grande difficoltà. Aveva, ad esempio, con Milano un rapporto articolato. Ne era attratto e al tempo stesso respinto. Amava la Scala, anzi la adorava. Lui, così legato a Roma, sentiva costantemente la mancanza della magia che solo quel teatro sa trasmettere. Per questo cercava di andarci non appena ne aveva l’opportunità. L’Accademia di Santa Cecilia, a cui si è dedicato con generosità, gli diede però molte soddisfazioni. Ironizzava sul fatto che il quartiere Spaventa di Milano non godesse di buona fama e si domandava talvolta perché la città, rasa più volte al suolo nei secoli, fosse sempre stata ricostruita in un luogo senza un grande fiume o un colle che la rendesse maggiormente difendibile. Amava profondamente Roma. Ma non certi suoi riti, estraneo com’era ai salotti e ai meccanismi consociativi. Il suo tratto asciutto e rigoroso era sufficiente ad allontanare da sé fanfaroni e affaristi pronti al compromesso.
Considerato tra i padri nobili del centro-sinistra, accetta la candidatura come indipendente al Parlamento e viene eletto deputato nelle liste del Pci nell’ottava legislatura (1976-83), è ministro del Bilancio nel governo Ciampi (1993-1994) ed è lo sfidante (sconfitto) di Silvio Berlusconi nel collegio di Roma 1 alle elezioni del 1994. Luigi è abituato a ragionare di cifre e contenuti: forse anche per questo la sua esperienza di parlamentare dura una sola legislatura.
Quanto da lui stesso scritto il 24 settembre 2007 sulla «Repubblica», in memoria del comune amico Riccardo Faini, descrive perfettamente il nostro pensiero nei suoi riguardi:
Oggi diremo addio a Riccardo Faini […]. Con i colleghi era un amico generoso; per le istituzioni era un collaboratore indispensabile. Affrontava la sua attività intensissima  –  di ricerca, di insegnamento, di promozione culturale  –  con distacco sereno, e quasi ironico. Perciò non strillava mai i suoi argomenti e le sue convinzioni: conversava, ragionava, convinceva e si faceva convincere. Eppure era grande il suo impegno civile, che si esplicava nel suo lavoro, nelle sue iniziative, nei contributi di proposte e di idee, con una chiara scelta di valori. I tanti, economisti e non, che, pur in modi diversi, in toni diversi e a volte con scelte diverse, si esercitano in un simile impegno riconoscevano in Faini un punto di riferimento e di equilibrio: oggi possono dire, con orgoglio e con rimpianto, «he was one of us», era uno di noi, forse il più saggio. E chi a tempo perso (ma proprio perso) si è chiesto chi siano e che cosa siano i riformisti di cui tanto si parla avrebbe potuto soddisfare la sua curiosità facendosi due chiacchiere con Riccardo Faini. Oggi non può più farlo.
A Luigi sono, come molti, debitore di tanti consigli e di paterna presenza. Nell’ultimo incontro con lui nell’ottobre 2012 sul terrazzino della sua casa romana, pur provato dalla malattia e impossibilitato a parlare, abbiamo conversato di tutto per più di un’ora. Era presentissimo. Il dialogo era serrato perché esprimevo le mie opinioni e lui asseriva o, raramente, dissentiva con la sua gestualità. In questo caso esprimevo quello che immaginavo essere il suo punto di vista: a quel punto muoveva il capo e mi sorrideva. Abbiamo parlato di politica, di economia e di altro. Come in passato. Ma stavolta il congedo fu assai più commovente.
In un articolo sulla «Repubblica» del 7 aprile 1990 Luigi celebrava la nascita del centro che la Bocconi dedicava a Paolo Baffi:
Era un maestro in vita e lo resta adesso. E, quando si parla di maestri, si pensa a quelle rarissime persone la cui presenza dura, perché viene sempre da chiedersi come esse si sarebbero comportate, se avrebbero approvato una scelta, che cosa avrebbero pensato di un problema; a quelle persone, che, vive o morte, restano un punto di riferimento. […] A maestro lo hanno promosso la sua opera in vita, l’insegnamento che ha dato in parole e in azioni, i suoi scritti, il suo dubitare laico e la sua laica tolleranza. […] Era e resta un maestro di tanti, con opinioni e convinzioni disparate, conservatori e progressisti, credenti e non: un maestro trasversale, come oggi si direbbe, e forse perciò non gradito ad alcuni. Nel ricordo dell’Università e di chi con lui ha lavorato ritroveremo il maestro.
Niente di meglio che richiamare le sue parole per esprimere il sentimento, l’affetto e la riconoscenza con cui molti suoi amici hanno voluto ricordarlo. Questo è lo spirito con cui serbiamo in noi la sua fedeltà, i suoi principi e il senso di solidarietà e giustizia.
Per molti di noi, un «maestro»…

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