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Autore: Francesco Daveri Pagina 20 di 28

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È stato Professor of Macroeconomic Practice alla School of Management dell'Università Bocconi, dove insegnava Macroeconomics, Global Scenarios ed è stato direttore del Full-Time MBA. Ha insegnato in varie università come l’Università Cattolica (sede di Piacenza), Parma, Brescia, Monaco e Lugano. Ha svolto attività di consulenza presso il Ministero dell’Economia, la World Bank, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo. Le sue ricerche si sono concentrate sulla relazione tra le riforme economiche, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Ha collaborato con il Corriere della Sera e ha fatto parte del comitato di redazione de lavoce.info, di cui è stato Managing editor dal 2014 al 2020. Scomparso il 29 dicembre 2021.

OLTRE LA MANOVRA

Nel dibattito pubblico l’attenzione si è concentrata solo sulla manovra del luglio 2011 dimenticando gli effetti di trascinamento dei vari interventi di finanza pubblica precedenti. Una valutazione complessiva dei dati di bilancio indica che le entrate hanno giocato un ruolo importante, ma inferiore al 50 per cento nella riduzione del deficit. E che più che di rinvio della manovra al 2013-14, si dovrebbe parlare di un alleggerimento sul 2012 rispetto al 2011.

LA POLITICA ECONOMICA PER USCIRE DALLA CALMA PIATTA

La calma piatta dell’economia italiana nei primi mesi 2011 è il riassunto di situazioni molto diverse. C’è chi langue sul mercato interno e chi sta sfondando sui mercati lontani. Ma se le aziende che esportano stanno in piedi con le loro gambe, la politica economica dovrebbe sostenere la domanda interna. Senza devastare i conti pubblici. Non serve la riforma fiscale complessiva di nuovo in agenda. Meglio la ripresa delle liberalizzazioni e un piano anti-burocrazia, oltre a specifici interventi fiscali e legislativi sul mercato del lavoro.

UNA NUOVA REGOLA: NON PAGA PANTALONE

L’enorme debito pubblico, unito allo scarso supporto politico di cui godono le riforme, rende l’Italia un osservato speciale delle agenzie di rating e delle organizzazioni internazionali. Come rassicurare agenzie e italiani di domani? Con una nuova regola: “Non paga Pantalone”. Significa la fine del populismo come prassi politica. Quel populismo che porta a sottolineare solo l’aspetto politicamente pagante e di parte delle politiche e a far apparire le riforme come stupidi sacrifici. Mentre si dovrebbe parlare sempre dei due lati del bilancio pubblico: le entrate e le uscite.

BONUS ASSUNZIONI: CHE COSA C’È E CHE COSA MANCA

Nel decreto sviluppo si ricorre opportunamente al credito d’imposta per creare nuovi posti di lavoro stabili al Sud. L’obiettivo è di crearne soprattutto nelle nuove imprese. C’è però il rischio che dell’incentivo facciano uso soprattutto le grandi aziende. E il bonus dimentica i lavoratori precari del Nord. Dovrebbe essere solo un tassello di una strategia nazionale per il rilancio dell’occupazione. Strategia oggi più che mai urgente, dati i numeri allarmanti anche sulle vendite dei beni essenziali.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie dei commenti, tutti molto pessimisti nel descrivere la situazione dell’economia italiana. Solo due dei lettori (Dario Q. e Lugi Zoppoli) ricordano che ci sono perdenti anche dalle non riforme. Gli altri, con accenti diversi, sono concordi nel sottolineare i costi delle riforme. Antonio Ferrara e Luciano Galbiati sono i più nichilisti nei confronti degli esiti delle riforme.
Bob, Angelo e Pasquale Bolli suggeriscono implicitamente la scarsa efficacia delle riforme liberali nel tirarci fuori dai pasticci e argomentano che il vero problema italiano sia l’iniqua distribuzione del reddito e della ricchezza. Come si fa a non essere d’accordo? Il punto però è: come si rende la ricchezza e il reddito più equamente distribuiti? Io credo che in un paese come il nostro in cui i diritti individuali sono così poco rispettati in favore dei diritti che derivano dall’appartenenza (ad un gruppo o gruppetto dotato di qualche potere di ricatto) o dalla “conoscenza” (del fornitore del servizio di turno), le riforme liberali sono un primo passo irrinunciabile per ottenere una maggiore uguaglianza di opportunità. Non credo viceversa ad altri interventi statali per aumentare l’uguaglianza ex-post (patrimoniali & c.).
L’introduzione delle riforme liberali causa perdenti perchè sottrae rendite a chi fino a ieri beneficiava dell’assenza di concorrenza (lavoratori garantiti, tassisti, professionisti con tariffe minime). Come osserva Mario Brandi, ricompensare i perdenti sarebbe in definitiva un costo modesto rispetto al beneficio delle maggiori libertà economiche da ottenere con le riforme. Ma il dibattito pubblico mi pare che oscilli tra il colbertismo di Tremonti che finisce per negare i benefici delle riforme liberali e l’illusione delle riforme a costo zero diffuso da noi economisti (anche su questo sito). Sarebbe meglio dire che le riforme producono benefici, ma non sono a costo zero, per poi quantificare con precisione i costi delle varie riforme e presentare il costo di ognuna delle riforme o del “pacchetto” in modo che si sviluppi un dibattito pubblico informato sull’argomento.
Maurizio Sbrana sceglie tra le varie riforme quella fiscale come quella più appropriata per rilanciare i consumi. Riferendosi all’articolo 53 della costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Credo che la sua idea sia quella di una riforma fiscale che riduca l’evasione, riducendo le aliquote e semplificando il sistema fiscale. E’ quello che – per l’ennesima volta – ha annunciato anche il ministro dell’Economia: vuole una riforma che renda il sistema fiscale “progressivo, competitivo e semplice”. “Competitivo” per me vuol dire che, data la mobilità del capitale finanziario, non si possono fare le patrimoniali nè alzare le aliquote sui redditi da capitale. La tassazione del consumo è solitamente regressiva ma semplice. Quella sul reddito è di solito progressiva – ma solo in un paese dove tutti pagano le tasse – e spesso più complicata. In ogni caso, la riforma fiscale, per non spaventare i consumatori e i mercati, deve evitare di causare voragini di debito. E quindi anche una riforma fiscale che riduca l’onere della tassazione non è a costo zero, ma implica che si tagli la spesa pubblica più di quanto sia stato fatto finora.

MERCATO INTERNO AL PALO. COME LE RIFORME

Il mercato interno che stenta a riprendersi dalla crisi è l’ostacolo più rilevante per l’adozione delle riforme per crescere di cui tanto si parla. In un’economia debole diventa salato il costo di ricompensare i perdenti. Che sono numericamente molto maggiori rispetto a tre anni fa. Se non si condivide questa consapevolezza, si finisce per non capire perché le riforme rimangano sempre al palo.

NON BASTA LA FISCALITÀ DI VANTAGGIO PER IL SUD

Liberalizzazioni, libertà di impresa, fiscalità di vantaggio per investire al Sud: sono le misure individuate dal governo per far ripartire la crescita. Sono le idee giuste? Il Pil italiano è oggi frenato da consumi stagnanti. Perché sono fermi i salari reali e perché disoccupazione e cassa integrazione non scendono. Le ricette proposte non servono a risolvere i problemi del mercato del lavoro. Meglio sarebbe destinare la fiscalità di vantaggio alle piccole imprese che creano posti di lavoro a tempo indeterminato.

PERCHÉ È COSÌ LENTA LA RIPRESA ITALIANA

La ripresa dell’economia italiana nel 2010 è stata lenta. Per due ragioni. Alcune aziende guadagnano quote di mercato, ma ce ne sono molte altre che stanno perdendo competitività, il che fa salire le importazioni. E i consumi privati e pubblici sono frenati dal cattivo andamento del mercato del lavoro e dalle politiche di bilancio restrittive. Per un migliore 2011, è cruciale che la crescita diventi un fenomeno più diffuso. Con piccole imprese che crescono e giovani lavoratori che non vengono tenuti ai margini per troppi anni.

Perché alcune formiche crescono e altre no

Ripetere che l’economia, le banche e le famiglie italiane se la sono passata meglio degli altri durante la crisi è una litania che non aiuta a capire perché l’economia italiana, nonostante tutto, fatichi a ritrovare la strada di una crescita più robusta. Se il mercato del lavoro non riparte, la buona salute patrimoniale delle famiglie e delle imprese non ci consente niente di diverso da una crescita anemica.

 

C’è l’indulto dietro il boom e lo sboom della criminalità *

Negli ultimi anni abbiamo assistito prima a un boom della criminalità e poi a una sua rapida diminuzione. Il governo attribuisce il calo del numero dei delitti denunciati alla stretta sull’immigrazione, soprattutto quella clandestina. Invece l’ondata prima crescente e poi calante potrebbe essere dovuta all’indulto voluto dal governo Prodi. Gli indulti, come i condoni per gli evasori e le sanatorie per gli immigrati, sono presentati come pezze temporanee per tappare buchi, ma producono il risultato permanente di indebolire la fiducia nella legge e il senso della legalità.

 

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