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Paradisi fiscali: quando i capitali fuggono da paesi emergenti

L’attenzione ai paradisi fiscali è stata finora legata alle conseguenze per i paesi avanzati. Ma cosa accade in quelli in via di sviluppo, in particolare dopo una crisi finanziaria? Fuga e scarsità di capitali rappresentano forti ostacoli alla crescita.

Il Punto

Il governo approva la Nota di aggiornamento al Def e rinvia a domani e dopodomani (2021 e 2022) tutte le decisioni difficili sui conti pubblici. A chiedere di correggere la dinamica del debito non è l’Europa ma gli italiani del futuro. Sul fronte della grande evasione ed elusione fiscale, rimane per ora insoluto (non solo per noi) il pagamento di quanto sia dovuto da parte delle grandi multinazionali che nascondono i loro profitti nei paradisi fiscali. Per l’Italia un buco di base imponibile da 24 miliardi l’anno.
Tra le lezioni che si possono trarre dai 70 anni della Repubblica Popolare Cinese, c’è la triste constatazione che la libertà – politica ed economica – non è necessaria alla crescita. Ma al capitalismo di stato di Pechino, raggiunti risultati straordinari, resta da fare il salto verso uno stato moderno.
L’autonomia differenziata rimane nella lista delle cose da fare. Ridiscutendo alcuni punti che si davano per acquisiti. Perché la devoluzione da stato a regioni di 23 materie o poco meno appare eccessiva e immotivata, e perché il sistema di finanziamento favorisce Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Arriverà un’altra riforma della giustizia. Intanto ci vogliono ancora oltre 1.100 giorni per recuperare un credito e 500 per una sentenza civile di primo grado. Mentre due misure efficaci potrebbero essere attuate subito: potenziamento della mediazione delle controversie ed estensione dell’esperimento “Giustizia semplice 4.0”.

Il podcast de lavoce.info
Da questa settimana parte lavoce in capitolo, il primo podcast de lavoce.info. Nel corso delle puntate, capitolo dopo capitolo, condivideremo le idee dei nostri esperti sulle politiche per l’Italia e per l’Europa. Ci potrete ascoltare ogni mercoledì, su tutte le app per i podcast e su questo sito. Si comincia il 2 ottobre con “Abolire davvero la povertà” con Tito Boeri.

Se i profitti delle multinazionali vanno in paradiso

Il problema dello spostamento dei profitti delle multinazionali nei paesi con una tassazione societaria molto bassa continua a essere grave. Il nuovo database Missingprofits aiuta a inquadrare meglio la dimensione del fenomeno. Ne esce un quadro preoccupante.

Il Punto

Nello sconcertante rimpallo di responsabilità tra Bankitalia e Consob su chi non ha vigilato sulle banche, in mezzo rimangono i risparmiatori con il cerino acceso in mano. Al netto di tutto c’è la tutela del risparmio da ridisegnare.
Mentre le previsioni della Commissione europea vedono la crescita italiana al traino di quella Ue per i prossimi due anni, nella finanziaria gli incentivi per le imprese che rientrano nel programma Industria 4.0 sono rafforzati. Ci sarebbe da azzerare il sostegno agli investimenti ordinari e concentrare tutto su quelli innovativi. Compresi quelli in formazione all’uso delle nuove tecnologie.
Anche quest’anno la riduzione di tasse inclusa nella manovra di bilancio consiste soprattutto nel disattivare parzialmente gli aumenti automatici delle imposte indirette previsti come salvaguardie contro i rischi di sforamento dei conti. Al prossimo Parlamento l’onere di interventi più strutturali sul fisco, specie sull’Iva. Sempre in tema di bilancio 2018, c’è da capire come gli statali beneficeranno dell’aumento di 85 euro al mese previsto nella legge. I conti vanno fatti con il nuovo regime del bonus da 80 euro per i dipendenti con salari fino a 26.600 euro annui. Ne viene fuori un quadro pieno di storture che sarebbe bene ridisegnare.
Ospitiamo un intervento di Claudio De Vincenti, ministro della Coesione territoriale che spiega come nel Mezzogiorno, sia ora lo stato a riprendersi dalle regioni le politiche per sviluppare nuove imprese e rafforzare quelle esistenti. Strumenti? Patti territoriali, masterplan, zone economiche speciali. Certo che al Sud, come indica l’ultimo Rapporto Svimez, a fianco di segnali positivi su occupazione e capacità di alcune imprese di agganciare la ripresa, mancano ancora un terzo del Pil locale e 200 mila occupati.
I paradise papers confermano che nei paradisi fiscali vanno ricchi e famosi per evadere il fisco, potenti che vogliono anzitutto occultare il patrimonio, imprese che li usano per operazioni inconfessabili. Sullo sfondo si sprecano ipocrite dichiarazioni pubbliche per la trasparenza. L’Ocse dovrebbe passare a maniere più spicce.

È ora di cacciare all’inferno i paradisi fiscali

Il fatto che persone e aziende dei paesi avanzati utilizzino i paradisi fiscali non dovrebbe suscitare tanta ipocrita sorpresa. Se davvero si vuole farla finita con queste pratiche sono necessari interventi decisi, da applicare a livello internazionale.

Come combattere i paradisi dove si rifugiano i furbetti

Le giurisdizioni che garantiscono opacità finanziaria e societaria sono una conseguenza della globalizzazione. Lo sostengono Joseph Stiglitz e il criminologo Mark Pieth, indicando anche le misure per neutralizzarle. Ma la comunità internazionale deve essere compatta nella ricerca di trasparenza.

Il Punto

Deficit pubblico giù al 2,3 per cento nel 2016 e all’1,8 nel 2017, verso il pareggio del 2019. Con una politica fiscale moderatamente espansiva. Gli impegni del governo scritti nel Def (Documento di economia e finanza) sono però una scommessa rischiosa. Che Renzi vince solo se il Pil (inclusivo dell’inflazione) sale più del 2 per cento e se lo spread Btp-Bund rimane non lontano da quota 100 punti.
Gli 80 euro di bonus sulle pensioni minime che Renzi ha in mente costerebbero da 2 miliardi in su. Se servono contro la povertà, dovrebbero essere permanenti e non una tantum. Se invece sono un altro tentativo di far ripartire i consumi, sarebbe più efficace restringerli alle giovani coppie escluse dal credito.
I Panama papers ci mostrano che i paradisi fiscali, a dispetto delle liste nere e degli accordi internazionali, sono sempre in piena attività. Forzieri di ricchi evasori, usati da grandi imprese, primo anello di catene di hedge fund e fondi di private equity. Combattuti, ma solo a metà, dai paesi “normali”.
Torniamo sul referendum no-triv di domenica prossima. Ora vediamo, se vince il fronte referendario, i possibili effetti su industria, occupazione, gettito fiscale e tutela dell’ambiente. Anche su questi temi la campagna per il voto ha alimentato un gran polverone demagogico che non aiuta a capire.
Mentre l’unione bancaria dell’Eurozona continua fare passi avanti (e qualcuno indietro), sono tutte da creare le condizioni per un’unione dei mercati dei capitali che la completi. Arrivando a una più completa integrazione del settore finanziario privato, necessaria per la condivisione dei rischi.
“Maneggiare con cautela”: bisognerebbe scriverlo sulle statistiche mensili sull’occupazione. Perché la visione di cortissimo periodo può risultare fuorviante. Soprattutto se si parla di una variazione inferiore a 30 mila occupati in più o in meno.

Alberto Martini e Barbara Romano commentano l’articolo di Tiziano Vecchiato “Nella lotta alla povertà un ruolo per le fondazioni bancarie

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Il paradiso perduto dei Panama papers

I paradisi fiscali esistono perché l’industria finanziaria si basa sull’individuazione di prodotti competitivi da offrire al mercato. E alcuni privati cittadini cercano discrezione nella gestione delle proprie ricchezze, spesso per nasconderle al fisco. Situazioni che richiedono risposte diverse.

Come combattere l’evasione

La legge di Stabilità è molto ottimistica nelle stime di recupero dell’evasione fiscale: circa quattro miliardi solo per 2015. Una raccolta di articoli pubblicati su queste pagine analizza un fenomeno molto radicato in Italia e suggerisce alcuni strumenti di contrasto.

Quando l’autodenuncia non è un condono

Banca d’Italia stima che gli italiani detengano illegittimamente all’estero capitali per circa 200 miliardi.  Altri paesi prevedono procedure per dichiarare i redditi sottratti. Con una “confessione” spontanea e la rinuncia all’anonimato non sarebbe un condono.

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