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Un finanziamento democratico per cambiare la politica*

La politica non può essere solo l’attività delle aule parlamentari. Bisogna sostenere tutte le forme di associazione e partecipazione dei cittadini, ripensando il finanziamento pubblico. Servono trasparenza e codici di condotta. E una legge sulle lobby.

Lobbisti d’Italia

Manca ancora un albo dei lobbisti che operano in Italia. Il ministero dello Sviluppo economico ha però istituito un registro per chi svolge questa attività, con più di novecento iscritti. È un primo passo, ma il cammino verso la trasparenza è ancora lungo.

Il Punto

In vista della celebrazione del 25 marzo, Jean-Claude Juncker ha presentato il Libro bianco sul futuro dell’Europa. Non una proposta ma cinque scenari. Dal tirare a campare con l’unione di oggi a una federazione più coesa. Passando per altre idee come la Ue a più velocità e il ritorno al mercato comune.
Mentre il Senato si muove contro la povertà approvando il reddito di inclusione, molto rimane da fare per migliorare le politiche di assistenza. Le varie indennità monetarie che lo stato assegna a 2 milioni di disabili non autosufficienti potrebbero essere affiancate – come avviene in alcuni comuni – da assegni di cura da spendere presso strutture professionali.
Mentre da noi ci si preoccupa di consolidamenti e contenziosi legali, nel mercato globale dei media va in onda la sfida colossal tra Netflix e Amazon. La prima ha già rivoluzionato l’industria audiovisiva. Ma la seconda cresce a doppia cifra, con spalle finanziarie oggi più robuste. Chi vincerà?
La conversione in legge del Decreto milleproroghe presenta ogni anno curiose sorprese. Ad esempio rimanda a fine 2017 il termine per la presentazione dei bilanci 2013-15 dei partiti. Un favore da 200 mila euro per gli inadempienti. Che non sono i grandi partiti ma partitini minori. Che manina c’è dietro la proroga?
Il traffico di influenze illecite su cui si basa l’inchiesta Consip confina con l’attività di lobbying che – se trasparente – è del tutto lecita. In Europa c’è un registro dei lobbisti che conta 11.298 iscritti. In Italia la lista include solo 643 nomi e vale per ora solo per il ministero dello Sviluppo economico.
Quando una riforma fa flop, una delle cause è l’assenza del cosiddetto “ciclo di valutazione” dell’impatto dei provvedimenti politici. Prima ci vuole l’analisi delle ipotesi alternative in campo, poi il monitoraggio in corso d’opera, e alla fine la verifica dei risultati. Sembra facile e logico ma non lo è, almeno in Italia.

Ugo Arrigo, autore di “Alitalia, la zavorra dei costi che impedisce il decollo” e di “Come ridare una rotta ad Alitaliarisponde ai commenti.

Ai lobbisti serve un registro

Inquadrare il traffico di influenze illecite è difficile perché non esiste un concetto ben definito di quelle lecite, ovvero dell’attività di lobbying. Regolamentare meglio i rapporti fra i gruppi di interesse e la pubblica amministrazione porterebbe più trasparenza e chiarezza.

Il Punto

Senza investimenti niente crescita, ripetono spesso Renzi e Padoan. E a incoraggiare gli investimenti in nuove tecnologie è dedicato il piano Industria 4.0 del ministro Calenda. Ma non tutti gli incentivi vanno bene: servono se rimediano a indubbie insufficienze del settore privato. E per decidere, meglio lasciar da parte le “cabine di regia”. Un caso di sviluppo tecnologico a rischio è Human technopole, il centro di ricerca scientifica che sorgerà sull’area Expo di Milano. I terreni avrebbero dovuto fruttare una lauta plusvalenza per i contribuenti ma non sono stati venduti. Ora si mettono altri soldi pubblici per un progetto senza un’analisi costi-benefici che spieghi se ne vale la pena. Analisi che proviamo ad abbozzare noi, invece, su un’altra grande opera, il ponte sullo Stretto di Messina, riportato in auge dal premier, con la rosea prospettiva propagandistica di creare ben 100 mila nuovi posti di lavoro.
Offensive per le donne e inutili le quote rosa secondo Virginia Raggi, sindaca di Roma. Certo, in una società senza ostacoli per le carriere femminili non ce ne sarebbe bisogno. Intanto però si vede che le società quotate nei cui Cda cui sono state applicate si stanno affermando buone pratiche di governance.
Davvero i produttori di petrolio difenderanno i prezzi riducendo l’offerta, come deciso dall’Opec ad Algeri? Tanto per cambiare, dipenderà tutto dall’Arabia Saudita che – con un quarto delle riserve mondiali – difende le sue quote di mercato e non il prezzo, mentre adatta l’economia del paese alla nuova situazione.
Lento e modesto, l’aumento dell’occupazione lascia i giovani al palo. I dati Istat dicono che ad agosto il tasso di disoccupazione delle persone tra 15 e 24 anni si attesta al 38,8 per cento, appena sotto i picchi degli ultimi due anni. Il momento critico su cui agire è quello della transizione dall’istruzione al lavoro.
Dei 26 mila lobbisti che frequentano le istituzioni europee, poco più di un terzo è iscritto all’apposito registro della Ue creato per dare trasparenza a un’attività che non ama la luce del sole. La Commissione ora vuole rafforzare la credibilità di questo albo con nuove regole. Che potrebbero fare da esempio anche per l’Italia.

 

 

Lobbisti più trasparenti a Bruxelles. E a Roma?

L’Unione Europea ha da tempo un registro dei lobbisti, che indica le regole per svolgere l’attività e prevede l’adesione a un codice di condotta. Per superare alcune lacune si prepara ora una sua riforma. Che potrebbe essere di ispirazione anche in Italia, dove manca una normativa sulle lobby.

Senato più semplice? Una spiegazione semplicistica

Più che una semplificazione, una Babele

Nel loro articolo “Meno potere alle lobby con la riforma del Senato”, Giovanni Facchini e Cecilia Testa argomentano che la semplificazione del procedimento legislativo renderà le lobby meno efficaci nel perseguire i propri obiettivi a svantaggio dell’interesse pubblico, suggerendo così, nemmeno troppo velatamente, che la riforma costituzionale oggetto del referendum autunnale potrebbe portare in dono agli italiani un antidoto rispetto a fenomeni in senso ampio corruttivi.
L’articolo si fonda su un presupposto: che effettivamente il procedimento legislativo sarà più semplice perché più rapido, a differenza di quello attualmente in vigore, che sconterebbe invece il continuo rimpallo tra i due rami del Parlamento e dunque una più ampia possibilità di intervento per le lobby.
Tuttavia, il presupposto è altamente contestabile sia se guardiamo a quel che accadrebbe con la conferma della riforma, sia se consideriamo la storia della legislazione italiana fuori dalle vulgate di comodo.
La riforma prevede infatti una (irrazionale) moltiplicazione dei procedimenti legislativi.
Per oltre venti materie resta il bicameralismo perfetto, così com’è oggi. Si tratta di materie molto importanti: leggi costituzionali e di revisione costituzionale, leggi ordinarie elettorali, sui referendum, sulla partecipazione dell’Italia all’Ue, sulla ratifica dei trattati internazionali, sugli enti locali e altro ancora.
Per le altre materie, la legge viene votata dalla Camera e il Senato potrà solo proporre modifiche, su cui la Camera deciderà poi in via definitiva. Occorre, però, guardare alla materia su cui verterà la legge, perché in alcuni casi il Senato ha il dovere, in altri la facoltà di intervenire. In alcuni casi l’intervento deve avvenire entro 30 giorni, in altri entro 15, in altri ancora entro 10; in alcuni casi l’aula dovrà esprimersi a maggioranza assoluta, in altri a maggioranza semplice; in alcuni casi la Camera potrà non tener conto del parere del Senato a maggioranza assoluta, in altri a maggioranza semplice.
Vi è poi l’ipotesi in cui sia il Senato a segnalare alla Camera la necessità di approvare una legge, obbligandola a intervenire entro un dato termine. Le leggi elettorali potranno essere impugnate in via preventiva innanzi alla Corte costituzionale. Le leggi di conversione dei decreti legge seguiranno un ulteriore specifico iter. Ancora diverso e peculiare sarà quello per le leggi di iniziativa popolare. Le leggi dichiarate «urgenti» seguiranno tempistiche dimezzate.
Insomma, una Babele. E giova ricordare che nella nostra esperienza parlamentare le leggi non vertono quasi mai su una sola materia, ma su una pluralità: quale procedura seguire in tali casi? La nuova Costituzione prevede che decideranno i presidenti delle Camere di comune accordo. E se non si accordano? L’organo che si riterrà leso nelle proprie prerogative farà ricorso alla Corte costituzionale. Sarebbe questa la “semplificazione” del Senato?

Lentezze e rimpalli

Se poi andiamo a vedere i dati degli uffici parlamentari sull’attività legislativa, emerge ancor più nettamente l’insostenibilità della tesi sulla “lentezza” del Senato. Il “rimpallo” da una Camera all’altra (cosiddette navette) interessa il 20-25 per cento delle leggi approvate e per molte di queste l’intesa viene raggiunta alla terza votazione: molto spesso ciò serve a correggere errori non rilevati in sede di prima votazione. Ciò fa sì che per approvare la maggior parte delle leggi siano necessari in media 100-150 giorni, un tempo in linea con l’attività legislativa di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna.
In sintesi, dunque, la lentezza del procedimento legislativo attuale è una tesi falsa e la rapidità di quello futuro può essere al massimo un auspicio, della cui realizzabilità è tuttavia lecito dubitare (e noi appunto ne dubitiamo). Ci pare importante ribadire questi punti quando vengono utilizzati come premesse del ragionamento: altrimenti si continueranno ad alimentare nell’opinione pubblica convinzioni che non hanno alcun fondamento nella realtà. Non certo un buon modo per decidere razionalmente il prossimo ottobre.

Meno potere alle lobby con la riforma del Senato

In ottobre gli italiani saranno chiamati a dire sì o no alla riforma del Senato. Il superamento del bicameralismo perfetto non ridurrà solo i costi della politica, ma potrà anche rafforzare il Parlamento, rendendolo più sensibile agli interessi dei cittadini che a quelli delle lobby.

Concorrenza e mercati: i due approcci del governo

Su concorrenza e mercati, il governo Renzi ha avuto la capacità di mettere in agenda temi in rottura con il passato. Ma si è visto anche un intrecciarsi di visioni più dirigiste e approcci più liberali. I casi della legge sulla concorrenza e del piano strategico per lo sviluppo della banda larga.

Quanti fallimenti nella vicenda Volkswagen

La frode commessa da Volkswagen con l’installazione dei dispositivi di manipolazione dei sistemi di disinquinamento sul motore diesel è la spia di una discutibile cultura aziendale. Ma rivela anche un fallimento del sistema regolatorio europeo. Pressioni delle lobby e dubbia efficacia dei test.

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